Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4884 del 23/09/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4884 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASAMONICA ANGELINA N. IL 02/05/1967
avverso la sentenza n. 9993/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
20/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/09/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la p

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e civile, l’Avv

Uditi difensor Avv.

AA9,(101)

Data Udienza: 23/09/2014

Ritenuto in fatto.

-2- Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione la Casamonica, che deduce il
vizio di violazione di legge, laddove è stata affermata la responsabilità dell’imputata benché
il quantitativo di droga ceduto fosse inferiore alla c.d. detta soglia dopante.
Con motivo aggiunto contenuto in una memoria difensiva pervenuta presso la cancelleria
di questa Corte, il difensore dell’imputata richiama il nuovo assetto normativo determinatosi
in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope a seguito della sentenza
della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 e delle modifiche legislative che hanno riguardato
il quinto comma dell’art. 73 del d.p.r. n. 309/90 in punto anche di più mite trattamento
sanzionatorio e di consistente riduzione dei termini di prescrizione.
Considerato in diritto.
-1- Il ricorso è inammissibile quanto ai motivi proposti con l’originario atto di ricorso.
Già con la sentenza di primo grado, invero, era stato sostenuto, richiamando i condivisi
principi affermati da questa Corte, che ai fini della configurabilità del reato in questione non
rileva il fatto che la sostanza stupefacente oggetto di cessione non superi la c.d. soglia
drogante (Cass. nn. 32317/09 – 21814/10 – 5230 del 4.11.10 rv 249702 – 3354 del 26.10.10
rv 249748), stante anche la natura legale della nozione di sostanza stupefacente.
Nel suo ricorso, l’imputata ha riproposto la questione, senza tuttavia indicare le ragioni per
le quali, a suo giudizio, le argomentazioni svolte in proposito dai giudici del merito
sarebbero in contrasto con la vigente normativa di riferimento.
-2- Tanto affermato, osserva tuttavia la Corte, anche con riferimento a quanto la ricorrente
ha dedotto con il motivo aggiunto, che, a seguito di recenti interventi della Corte
Costituzionale e dello stesso legislatore, l’assetto normativo in materia di stupefacenti è
radicalmente mutato.
In particolare, occorre evidenziare che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 32 del
2014, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l’art. 77, secondo
comma, della Costituzione, gli ara. 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 30.12.05 n. 272 (convertito
dall’art. 1 co. 1 della legge 21.2.06 n. 49), che avevano unificato il trattamento
sanzionatorio, in precedenza differenziato, previsto dal d.p.r. n. 309/90 per i reati aventi ad
oggetto le c.d. “droghe leggere” e per quelli concernenti le c.d. “droghe pesanti”.
In conseguenza di tale pronuncia, ritrova oggi applicazione l’art. 73 del richiamato d.p.r., e
relative tabelle, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le norme ritenute
incostituzionali, con il conseguente ripristino del differente trattamento sanzionatorio in
precedenza previsto per i reati concernenti le diverse tipologie di droghe (da due a sei anni di
reclusione, oltre la multa, per le “droghe leggere”, da otto a venti anni di reclusione, oltre la
multa, per le “droghe pesanti”).
Nella materia, per quanto in particolare oggi interessa, è altresì intervenuto il legislatore
con il d.l. 23.12.13 n. 146, convertito con la legge 21.2.14 n. 10, con riguardo alla fattispecie
prevista dall’art. 73 co. 5 del d.p.r. n. 309/90, nel senso che, se da un lato ne sono stati

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-1- Con sentenza del 20 maggio 2013, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la
sentenza del giudice monocratico del tribunale della stessa città, del 14 luglio 2011, che,
giudicando nelle forme del rito abbreviato, ha ritenuto Casamonica Angelina colpevole del
reato di cui all’art. 73 co. 5 del d.p.r. n. 309/90, per avere (in concorso con altra imputata,
non ricorrente) illegalmente ceduto a Caporaso Marco gr. 0,325 di sostanza stupefacente del
tipo cocaina, e l’ha condannata, applicata la diminuente del rito, alla pena di otto mesi di
reclusione ed euro 2.000,00 di multa.

P .Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per
nuovo esame sul punto alla Corte d’Appello di Roma, altra sezione. Rigetta nel resto il
ricorso. Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità della
ricorrente.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2014.

confermati gli elementi caratterizzanti la individuazione dei fatti di minor gravità, dall’altro,
ne è stata ridefinita la natura giuridica poiché essa non costituisce più circostanza attenuante,
bensì autonomo titolo di reato (come è già possibile rilevare fin dall’apertura del testo
normativo che, con la formula “salvo che non costituisca più grave reato”, chiarisce che si è
in presenza di un’autonoma fattispecie incriminatrice). La stessa novella ha anche rivisto in
melius il trattamento sanzionatorio che, per l’ipotesi di cui al 5 0 comma, prevede una pena
edittale massima più contenuta (cinque anni di reclusione). Ancor più di recente, poi, la
materia ha subito un’ulteriore modifica posto che, in sede di conversione del d.l. 20.3.14 n.
36, (con la legge 16.5.14 n. 79) è stata prevista, per la fattispecie in esame, la pena della
detenzione da sei mesi a quattro anni e della multa da 1032,00 a 10.329,00 euro, con
eventuale sostituzione della stessa con la sanzione del lavoro di pubblica utilità.
Il nuovo assetto normativo, sensibilmente mutato e, per diversi profili, in termini più
favorevoli all’imputata rispetto alla normativa precedente, deve essere applicato alla
fattispecie in esame, ex art. 2 del codice penale.
In conseguenza, essendo stata irrogata una pena non rapportata a tale nuovo assetto ed ai
nuovi parametri edittali, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al
trattamento sanzionatorio, con rinvio, sul punto, alla Corte d’Appello di Roma.
Per il resto, precisato anche che i termini di prescrizione non sono ancora decorsi
(trattandosi di reato commesso il 18.5.2011), il ricorso deve essere respinto, con
conseguente declaratoria di irrevocabilità delle statuizioni della sentenza impugnata
concernenti l’affermazione di responsabilità.

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