Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4883 del 23/09/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4883 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAPONARO ANTONIO N. IL 23/03/1945
avverso la sentenza n. 785/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
29/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/09/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
(

«AAA1/45

Udito, per la p e civile, l’Avv
Uditi dif sor Avv.

Data Udienza: 23/09/2014

Ritenuto in fatto.

-2- Deduce il ricorrente:
a) Violazione degli artt. 516 e 520 cod. proc. pen. per omessa notifica all’imputato contumace
del verbale contenente sostanziali modifiche all’originario capo d’imputazione, rappresentate
dal cambio della data e del luogo commissi delicti; Irrituale notificazione all’imputato, ex art.
157 co. 8 bis cod. proc. pen., del predetto verbale, benché lo stesso avesse regolarmente
dichiarato il luogo di residenza all’atto della nomina del difensore di fiducia;
b) Violazione di legge in punto di notifica ex art. 157 co 8 bis cod. proc. pen. del decreto di
citazione a giudizio in grado di appello, avendo il difensore nominato dichiarato di non volere
accettare tale notifica;
c) Mancata assunzione di prova decisiva, rappresentata dall’espletamento di perizia tecnica
volta ad accertare la quantità di principio attivo presente nella droga in sequestro;
d) Vizio di motivazione, laddove la corte territoriale ha sostenuto che la droga detenuta
dall’imputato non fosse destinata al consumo personale;
e) Mancanza di motivazione in punto di determinazione della pena.
Considerato in diritto.
Premesso che il reato oggetto di esame, commesso il 29 aprile 2006, non è ancora prescritto,
ai sensi dell’art. 157 co. 2 cod. pen. (come modificato dalla legge n. 251 del 2005), il quale
dispone che, per la determinazione del tempo di prescrizione dei reati, si deve tener conto
dell’aumento massimo della pena previsto per le aggravanti ad effetto speciale (quale è ritenuta
la recidiva specifica e infraquinquennale contestata all’imputato, con conseguente aumento
della metà della pena, ricorrendo due circostanze di recidiva);
tanto premesso, dunque, osserva la Corte che il ricorso è infondato.
-1- Quanto al primo dei motivi proposti, osserva la Corte che, a prescindere dalla ritualità
della notifica del verbale contenente le modifiche apportate al capo d’imputazione (giustamente
ritenute, come più avanti si dirà, in linea con la normativa in vigore), la denunciata nullità non
rileva nel caso di specie, atteso che tale notifica non era necessaria. Ciò in considerazione della
natura delle modifiche apportate nel capo d’imputazione che, pur avendo riguardato la data ed
il luogo di consumazione del reato, non hanno tuttavia determinato alcuna effettiva
trasformazione degli elementi essenziali del fatto contestato, tale da creare incertezze in ordine
all’oggetto dell’imputazione, e quindi capace di arrecare un effettivo pregiudizio del diritto di
difesa.
Tali modifiche, in realtà, alla luce delle complessiva e precisa descrizione del fatto nel capo
d’imputazione, devono ritenersi del tutto secondarie, al punto da non rendere necessaria alcuna
ulteriore comunicazione all’imputato, comunque nelle condizioni di svolgere un’adeguata
difesa senza incertezze di sorta.
In particolare, qualsiasi dubbio deve ritenersi escluso ove si consideri che la sostanza
stupefacente, nella cui indebita detenzione è stato sorpreso il Saponaro, è stata rinvenuta, alla
sua presenza, all’interno del cassetto della cucina dell’abitazione dello stesso, sita in Falconara

-1- Saponaro Antonio, imputato del reato di cui all’art. 73 co. 5 del d.p.r. n. 309/90 (per avere
detenuto a fini di cessione a terzi, gr. 1,7 circa di sostanza stupefacente del tipo cocaina) ricorre
per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona, del 29 ottobre 2012, che,
pur avendo ridotto (ad anni uno e mesi otto di reclusione e 6.667,00 euro di multa) la pena
inflitta dal primo giudice, previo giudizio di prevalenza dell’ipotesi attenuata di cui al 50
comma, sulla contestata recidiva, ne ha confermato la penale responsabilità.

-2- Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la nullità della
notifica all’imputato, ex art. 157 co. 8 bis cod. proc. pen. del decreto di citazione in appello, in
ragione del fatto che il difensore, appena ricevuta la notifica dell’atto, aveva comunicato di non
accettarla.
Occorre, in proposito, anzitutto osservare, anche con riferimento ad analoga censura proposta
dal ricorrente, con il primo motivo di ricorso, nei riguardi della notifica del verbale di udienza
contenente le modifiche del capo d’imputazione, che, come già affermato da questa Corte
(Cass. n. 42916/10), la semplice enunciazione dell’imputato del luogo di residenza, contenuto
nell’atto di nomina del difensore di fiducia, non è sufficiente per dedurne la volontà di
dichiarare il proprio domicilio presso l’indirizzo indicato, mancando in tale affermazione la
manifestazione di un consapevole atto di volontà diretto ad effettuare una scelta in ordine alla
notifica degli atti in uno dei luoghi indicati nell’art. 157 cod. proc. pen. Di guisa che deve
ritenersi legittimamente eseguita la notifica dei predetti atti mediante consegna degli stessi al
difensore di fiducia.
Mentre correttamente la corte territoriale ha ritenuto, con specifico riguardo alla notifica del
decreto di citazione in appello, di non attribuire alcun rilievo alla comunicazione del difensore
di non accettare la notifica dell’atto, in quanto effettuata dopo la notifica stessa; decisione che
si pone in linea con la condivisa e maggioritaria giurisprudenza di questa Corte (Cass. n.
16615/13)
-3- Ugualmente infondati sono il terzo ed il quarto motivo, alla luce di quanto questa Corte
ha, ancora di recente, affermato, in tema di ricorso a perizia tossicologica per accertare la
il giudice non ha alcun dovere di
natura e la qualità dello stupefacente; e cioè, che: ”
procedere a perizia o ad accertamento tecnico per stabilire la qualità e la quantità del
principio attivo di una sostanza drogante, in quanto egli può attingere tale conoscenza anche
da altre fonti di prova acquisite agli atti” (Cass. n. 22238/14).
Nel caso di specie, la corte territoriale ha giustamente osservato, quanto alla natura della
sostanza in sequestro, che essa era stata accertata attraverso il narcotest, per cui non era
necessario ricorrere ad alcuna perizia. Mentre la presenza, in ora notturna, sul tavolo ove si
trovava l’imputato (agli arresti domiciliari per reati in tema di stupefacenti), al momento
dell’intervento degli agenti, della somma di 340,00 euro in tagli da 20 e da 50, ritenuta non
conciliabile con i modesti redditi dello stesso, nonché di sostanza da taglio, di un bilancino di
precisione e di ritagli circolari di cellophane, non consentiva dubbi di sorta circa la destinazione
allo spaccio della sostanza stupefacente detenuta, ed anche della la capacità drogante della
stessa.
Né poteva ritenersi necessaria la perizia per verificare se la sostanza in questione superava i
limiti tabellari previsti nelle apposite tabelle ministeriali. In proposito, invero, questa Corte ha
ripetutamente affermato che, ai fini della configurabilità del reato contestato, non rileva il fatto
che la sostanza stupefacente oggetto di cessione non superi la c.d. soglia drogante (Cass. nn.
32317/09 – 21814/10 – 5230 del 4.11.10 rv 249702 – 3354 del 26.10.10 rv 249748), stante
anche la natura legale della nozione di sostanza stupefacente.

3

Marittima. Essendo l’imputato residente in detta località, nessun dubbio poteva residuare in
ordine al luogo, né alla data di commissione del reato, anche in considerazione della
indicazione, ancora nel capo d’imputazione, della qualità e della precisa quantità di sostanza
rinvenuta (gr. 1,7 di cocaina).
Nessuno può, quindi, seriamente dubitare che le semplici correzioni della data e del luogo del
reato abbiano, nel caso di specie, determinato incertezze di sorta e violazioni del diritto di
difesa dell’imputato. Incertezze la cui natura, del resto, lo stesso ricorrente non indica, se non
con il generico richiamo ad un presunto “disorientamento difensivo”.

-4- Tanto affermato, osserva tuttavia la Corte che, a seguito di recenti interventi della Corte
Costituzionale e dello stesso legislatore, l’assetto normativo in materia di stupefacenti è
radicalmente mutato.
In particolare, occorre evidenziare che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 32 del
2014, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l’art. 77, secondo
comma, della Costituzione, gli artt. 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 30.12.05 n. 272 (convertito
dall’art. 1 co. 1 della legge 21.2.06 n. 49), che avevano unificato il trattamento
sanzionatorio, in precedenza differenziato, previsto dal d.p.r. n. 309/90 per i reati aventi ad
oggetto le c.d. “droghe leggere” e per quelli concernenti le c.d. “droghe pesanti”.
In conseguenza di tale pronuncia, ritrova oggi applicazione l’art. 73 del richiamato d.p.r., e
relative tabelle, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le norme ritenute
incostituzionali, con il conseguente ripristino del differente trattamento sanzionatorio in
precedenza previsto per i reati concernenti le diverse tipologie di droghe (da due a sei anni di
reclusione, oltre la multa, per le “droghe leggere”, da otto a venti anni di reclusione, oltre la
multa, per le “droghe pesanti”).
Nella materia, per quanto oggi in particolare interessa, è altresì intervenuto il legislatore
con il d.l. 23.12.13 n. 146, convertito con la legge 21.2.14 n. 10, con riguardo alla fattispecie
prevista dall’art. 73 co. 5 del d.p.r. n. 309/90, nel senso che, se da un lato ne sono stati
confermati gli elementi caratterizzanti la individuazione dei fatti di minor gravità, dall’altro,
ne è stata ridefinita la natura giuridica poiché essa non costituisce più circostanza attenuante,
bensì autonomo titolo di reato (come è già possibile rilevare fin dall’apertura del testo
normativo che, con la formula “salvo che non costituisca più grave reato”, chiarisce che si è
in presenza di un’autonoma fattispecie incriminatrice). La stessa novella ha anche rivisto in
melius il trattamento sanzionatorio che, per l’ipotesi di cui al 5° comma, prevede una pena
edittale massima più contenuta (cinque anni di reclusione). Ancor più di recente, poi, la
materia ha subito un’ulteriore modifica, ancora favorevole all’imputato, posto che, in sede di
conversione del d.l. 20.3.14 n. 36, (con la legge 16.5.14 n. 79) è stata prevista, per la
fattispecie in esame, la pena della detenzione da sei mesi a quattro anni e della multa da
1032,00 a 10.329,00 euro, con eventuale sostituzione della stessa con la sanzione del lavoro
di pubblica utilità.
Il nuovo assetto normativo, sensibilmente mutato e, per diversi profili, in termini più
favorevoli all’imputato rispetto alla normativa precedente, deve essere applicato alla
fattispecie in esame, ex art. 2 del codice penale.
In conseguenza, essendo stata irrogata una pena non rapportata a tale nuovo assetto ed ai
nuovi parametri edittali, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al
trattamento sanzionatorio, con rinvio, sul punto, alla Corte d’Appello di Perugia; restando
quindi assorbito l’ultimo motivo di ricorso, concernente il trattamento sanzionatorio.
Per il resto, il ricorso deve essere respinto, con conseguente declaratoria di irrevocabilità
delle statuizioni della sentenza impugnata concernenti l’affermazione di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per
nuovo esame sul punto alla Corte d’Appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso. Visto
l’art. 624 c.p.p. dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità del ricorrente.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2014.

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