Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48825 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48825 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAZZARELLA ROBERTO N. IL 06/01/1978
avverso l’ordinanza n. 2366/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 10/07/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 16/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata in data 10 luglio 2014, il Tribunale di
Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 11 febbraio 2014, di proroga per anni due
del regime differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato nei confronti di
Mazzarella Roberto, detenuto in espiazione di provvedimento di unificazione
della pena di anni dieci e mesi due di reclusione per associazione a

armi e ricettazione; e della pena di anni diciotto di reclusione per
associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con la
circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, convertito dalla
legge n. 203 del 1991.
Il Tribunale ha ritenuto ancora attuale il pericolo di collegamenti del
reclamante con la criminalità organizzata sulla premessa della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie, e in considerazione degli elementi emergenti dai precedenti
dell’interessato e dalle notizie fornite dagli uffici investigativi qualificati:
DDA (Direzione distrettuale antimafia) di Napoli e DNA (Direzione nazionale
antimafia), Comando generale dell’Arma dei carabinieri e Ministero
dell’Interno – Direzione centrale anticrimine.
Sono stati, in particolare, sottolineati: il profilo criminale del Mazzarella
riconosciuto esponente apicale dell’omonimo sodalizio camorristico; la
perdurante vitalità del gruppo criminale sul territorio, desunta da recenti
arresti in Spagna e in Italia, rispettivamente nel 2012 e nel 2013, di
membri dell’associazione criminale datisi alla latitanza, e da ulteriori arresti
di affiliati al clan per reati in materia di sostanze stupefacenti, estorsioni e
sfruttamento della prostituzione, commessi, in concorso con cittadini
albanesi e rumeni, in alcuni quartieri di Napoli fino al 2013.

2.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il

Mazzarella personalmente, il quale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b)
ed c), cod. proc. pen., deduce la violazione dell’art. 41 bis Ord. Pen. e la
mancanza di motivazione.
Non sussisterebbe attuale pericolo di collegamento del ricorrente con
presunti sodali criminali e la contraria motivazione del Tribunale sarebbe
puramente apparente.

1

delinquere di tipo mafioso, con il ruolo di capo, violazione della legge sulle

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta basato su motivi, in parte, non consentiti nel giudizio
di legittimità e, in parte, manifestamente infondati.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono
prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando

criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art.

41-bis, a norma del quale il

Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

2. Alla luce di questi principi, osserva la Corte che il ricorso è
inammissibile.
L’ordinanza impugnata, invero, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale, sottolineando l’attuale
operatività del sodalizio camorristico e, in esso, il ruolo dirigenziale del
Mazzarella, membro della consorteria criminale dal 1999 con termine
aperto, donde la coerente affermazione, in assenza di elementi concreti da
2

risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione

cui desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali, dell’attuale pericolo
che il detenuto possa mantenere i collegamenti con l’associazione criminale
di appartenenza, ove sottoposto al regime penitenziario ordinario.
La motivazione è, dunque, esaustiva e coerente, mentre i rilievi difensivi
configurano censure non consentite nella misura in cui postulano una
rivisitazione del giudizio di merito in punto di pericolosità, e si rivelano
manifestamente infondati laddove denunciano violazione di legge per

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai
sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il
minimo e il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa
delle ammende.
Così deciso il 16/04/2015.

inesistenza o mera apparenza della motivazione.

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