Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48787 del 28/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 48787 Anno 2013
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Nava Vincenzo, nato ad Oppido Mamertina il 10.10.1950; da
D’Agostino Pasqualina, nata ad Oppido Mamertina il 25 maggio
1959 e dalla Ismea, ex Cassa per la Formazione della Proprietà
Contadina, avverso l’ordinanza emessa dalla corte di appello di
Reggio Calabria il 2.12.2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
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FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 28/05/2013

Con ordinanza del 2.12.2011 la corte di appello di Reggio
Calabria, sezione misure di prevenzione rigettava l’istanza con cui
i coniugi Nava Vincenzo e D’Agostino Pasqualina chiedevano la

2038, foglio 4, particella 7/a, e foglio 3, particelle 27/a, 28/a e
146/a, acquistati dalla Cassa per la Formazione della Proprietà
Contadina sulla base di un contratto di vendita con patto di
riservato dominio, che il tribunale di Reggio Calabria, sezione
misure di prevenzione, in data 5.6.1993, aveva sottoposto alla
misura di prevenzione patrimoniale della confisca e di cui, in
seguito ed erroneamente secondo gli istanti, era stata ordinata,
ma non eseguita, la restituzione in favore della Cassa per la
Formazione della Proprietà Contadina, successivamente
incorporata nella I.S.M.E.A. (Istituto di Servizi per il Mercato
Agricolo Alimentare), che, costituitasi nel giudizio di secondo
grado, chiedeva, dal suo canto, la restituzione dei beni immobili
innanzi indicati, rilevando che il contratto di vendita stipulato con i
coniugi Nava/D’Agostino, era stato risolto dal tribunale di Roma,
per inadempimento degli acquirenti.
La corte territoriale, nel ripercorrere la vicenda per cui è ricorso,
ha innanzitutto evidenziato come la confisca delle particelle in
questione sia stata motivata dalla convinzione che Graziano Nava
avesse svolto il ruolo di intestatario fittizio di beni in realtà
riconducibili al cognato Saverio Mammoliti, esponente di vertice di
una cosca della ‘ndrangheta calabrese operante nel territorio di
Oppido Mamertina, confisca, che, tuttavia, veniva revocata, in
sede di gravame, dalla corte di appello di Reggio Calabria, che,
con provvedimento del 4.12.1996, aveva disposto, in

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restituzione di due fondi, catastalmente individuati alla partita

motivazione, la restituzione alla Cassa per la Formazione della
Proprietà Contadina di tutti i fondi (quindi anche di quelli relativi
alle particelle innanzi indicate) che avevano formato oggetto del
contratto di vendita in cui i coniugi Nava/D’Agostino risultavano

“complessa vicenda negoziale ritenuta lecita in sede penale”,
laddove in dispositivo si disponeva la restituzione delle sole
particelle n. 168 e n. 308.
Tale provvedimento, in data 16.12.1997, veniva annullato con
rinvio dalla Corte di Cassazione e la corte di appello di Reggio
Calabria, investita del nuovo esame, con provvedimento del
26.3.2001, nell’accogliere i gravami proposti sul rilievo della
carenza di prova in ordine alla disponibilità dei beni da parte dei
prevenuti, rilevava come nel decreto annullato dal Supremo
Collegio del tutto immotivatamente la restituzione era stata
limitata alle richiamate particelle, in quanto, alla luce della
“indubbia estraneità della cassa alle vicende di prevenzione
personale che hanno coinvolto personaggi legati al gruppo
Mammoliti-Nava”, la restituzione andava estesa anche ad altre
particelle, specificamente indicate nel suddetto provvedimento.
Tuttavia, come rilevato dalla corte di appello nell’ordinanza
oggetto del presente ricorso, anche in questo caso il giudice di
secondo grado era incorso nel medesimo errore di chi lo aveva
proceduto, non disponendo la restituzione dei fondi di cui alle
particelle in precedenza indicate, reclamati dagli istanti e dalla
I.S.M.E.A, beni in relazione ai quali, si legge in motivazione,
“valgono le considerazioni svolte, da un canto, in ordine alla
estraneità della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina
alle dinamiche che hanno caratterizzato l’agire della cosca

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acquirenti, qualificato dalla stessa corte di appello come

Mammoliti e, dall’altro, alla carenza di prova circa la disponibilità
dei fondi in testa agli esponenti di spicco della ‘ndrina”.
A tale omissione, ad avviso della corte territoriale, non è possibile,
ormai, ovviare, in quanto il decreto con cui è stata disposta

alle particelle di cui si discute ed il provvedimento adottato in sede
di rinvio dopo la pronuncia di annullamento, è divenuto
irrevocabile il 3.7.2001, dovendosi, pertanto, concludere nel senso
della definitività della confisca disposta il 5.6.1993.
Tale definitività, ad avviso della corte territoriale, che richiama sul
punto arresti della Suprema Corte, impedisce di accogliere la
richiesta degli istanti, da qualificare, ai sensi dell’art. 7, I. n. 1423
del 1956, come richiesta di revoca della disposta confisca, anche
perché, inerendo la suddetta richiesta all’ambito della rivedibilità
del giudicato ex artt. 630, ss., c.p.p., essa postula l’acquisizione di
prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento
ovvero l’inconciliabilità di diversi provvedimenti giudiziari oppure
che il procedimento di prevenzione si fondi su atti falsi o su un
altro reato, condizioni, evidenzia la corte, del tutto assenti nel
caso in esame.
Avverso la menzionata ordinanza, di cui chiedono l’annullamento,
hanno proposto tempestivo ricorso i coniugi Nava/D’Agostino e la
I.S.M.E.A., articolando autonomi motivi di impugnazione.
Il Nava e la D’Agostino, in particolare, lamentano il vizio della
erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 7, I. n.
1423 del 1956, evidenziando come nel caso in esame si verta in
una ipotesi di contraddittorietà dei presupposti fattuali, atteso
che, nell’ambito del medesimo provvedimento, da un lato si è
riconosciuta espressamente l’estraneità della Cassa per la

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originariamente la confisca non è mai stato riformato in relazione

Formazione della Proprietà Contadina agli illeciti accertati a carico
del Mammoliti, ragione per la quale è stata disposta a favore
dell’ente la restituzione della particella 7/b, dall’altro si è
proceduto alla confisca della particella 7/a, come se, per

delittuose del Mammoliti; per ciò, a prescindere dall’esistenza di
“prove nuove”, l’istanza meritava accoglimento in quanto tesa a
rimediare ad una inconciliabilità tra ricostruzioni del fatto e
conseguenti disposizioni contenute nel medesimo provvedimento.
Identico vizio, fondato sulle medesime ragioni, lamenta
l’I.S.M.E.A., che, al pari dei coniugi Nava/D’Agostino, evidenzia
come una corretta interpretazione dell’art. 7, I. n. 1423 del 1956,
impone di salvaguardare la possibilità di rimuovere un
provvedimento erroneo ed ingiusto a prescindere se
l’inconciliabilità shsterna, cioè tra diversi provvedimenti giudiziari
ovvero interna, vale a dire tra valutazioni e statuizioni contenute
nel medesimo provvedimento, aggiungendo come nel caso in
esame ricorra, in realtà, un’ipotesi di errore materiale, che può
essere corretto indipendentemente dalla definitività del
provvedimento ablativo.
Con requisitoria scritta depositata 1’11.6.2012 il pubblico
ministero, nella persona del sostituto procuratore generale, dott.
Gioacchino Izzo, chiedeva l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata.
Tanto premesso, i ricorsi appaiono fondati e vanno, pertanto,
accolti.
Ed invero appare non condivisibile il richiamo operato dalla corte
territoriale,

al

fine

di

rigettare

l’appello

dei

coniugi

Nava/D’Agostino, ai principi affermati nella nota sentenza delle

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converso, la Cassa fosse coinvolta nelle menzionate vicende

Sezioni Unite della Suprema Corte del 19.12.2006, n. 57, Auddino
ed altri, secondo cui la misura di prevenzione della confisca è
soggetta soltanto alla revoca con effetti “ex tunc”, su iniziativa di
quanti abbiano partecipato al procedimento di prevenzione o siano

stati messi in condizione di prendervi parte, per il caso in cui si
accerti, sulla base di elementi nuovi sopravvenuti, l’invalidità
genetica del provvedimento per difetto di uno o più dei
presupposti di legge, dati dalla pericolosità del proposto, dalla
disponibilità diretta o indiretta del bene da parte di questi, dalla
sproporzione del valore del bene rispetto al reddito dichiarato o
all’attività economica svolta, dall’essere il bene frutto di attività
illecite o del reimpiego di profitti illeciti.
Tale condivisibile orientamento giurisprudenziale, confermato da
più recenti arresti (cfr. Cass., sez. I, 31/01/2013, n. 6016,
C.D.G.; Cass., sez. II, 13/01/2012, n. 4312, P. e altro, rv.
251811), valorizza la finalità di revisione della revoca ex tunc
della confisca, funzionale a porre rimedio ad un errore giudiziario,
facendo valere l’originaria insussistenza dei presupposti che hanno
condotto alla sua emanazione, che resta pur sempre un rimedio
straordinario, incompatibile con il mero riesame degli stessi
elementi fattuali che hanno portato a disporre la confisca, anche
dopo l’introduzione dell’art. 28 del d.Ig. 6 settembre 2011 n. 159,
che prevede casi e modalità tassativi di revocazione della misura.
Infatti, come è stato osservato, nella menzionata sentenza delle
Sezioni Unite Penali, “la dimostrazione dell’insussistenza non è
tanto diretta a far cessare gli effetti di una confisca
legittimamente imposta, quanto a farne palese un vizio d’origine.
Talchè, una volta riconosciuta l’invalidità del titolo, la ritenuta
irreversibilità dell’ablazione non esclude la possibilità di una

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(/

restituzione, per determinazione discrezionale della Pubblica
Amministrazione, e, quanto meno, provoca l’insorgenza di un
obbligo riparatorio della perdita patrimoniale, priva di
giustificazione sin dal momento in cui si è verificata”.

autorevole espressione, “la richiesta di rimozione del
provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della
rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 e ss. c.p.p., con
postulazione dunque di prove nuove sopravvenute alla
conclusione del procedimento (e sono tali anche quelle non
valutate nemmeno implicitamente: S.U., 26 settembre 2001,
Pisano), ovvero di inconciliabilità di provvedimenti giudiziari,
ovvero di procedimento di prevenzione fondato su atti falsi o su
un altro reato. Gli elementi dedotti saranno diretti a dimostrare
l’insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento
reale e pertanto in primo luogo la pericolosità del proposto, ma
anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o
indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore
sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all’attività
economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di
profitti illeciti”.
Nella fattispecie in esame, tuttavia, tali principi non sono
applicabili, in quanto, se è vero che i ricorrenti non si sono mossi
nell’alveo della rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 e ss.,
c.p.p. (ovvero dell’art. 28 del d.Ig. 6 settembre 2011 n. 159) non
prospettando elementi sopravvenuti da cui desumere l’invalidità
genetica del provvedimento impositivo della misura di
prevenzione reale, è altrettanto vero che essi non erano in
condizione di farlo, perché l’illegittimità del provvedimento

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Come chiarito, inoltre, dal Supremo Collegio nella sua più

ablativo era già stata sancita dalle precedenti decisioni della corte
di appello di Reggio Calabria.
Essi, peraltro, non hanno dedotto il mero riesame degli elementi
fattuali in base ai quali è stata disposta la confisca, che avrebbe
ex tunc del

giustificato il rigetto di una richiesta di revoca
provvedimento di confisca.

L’ oggetto della richiesta non accolta dai giudici di merito, infatti,
va, piuttosto, individuato nella correzione dell’evidente e reiterato
errore, riconosciuto dalla stessa corte territoriale nell’impugnata
ordinanza, in cui è incorsa la corte di appello di Reggio Calabria
nei provvedimenti del 4.12.1996 e del 26.3.2001, nel non
disporre, conformemente a quanto deciso, l’integrale restituzione
all’avente diritto di tutti i fondi che i coniugi Nava/D’agostino
avevano acquistato dalla Cassa per la Formazione della Proprietà
Contadina, rispetto ai quali il provvedimento ablativo era stato
ritenuto dalla stessa corte di appello nelle sue diverse
composizioni ab origine privo di giustificazione, errore che non
può ritenersi sanato dal formarsi del giudicato, per mancata
impugnazione, sull’ultimo provvedimento adottato dalla corte di
appello di Reggio Calabria il 26.3.2001, che i ricorrenti non
avevano interesse ad impugnare, per avere il giudice di secondo
grado accolto i rilievi difensivi sulla insussistenza dei presupposti
per l’adozione della confisca.
Si impone, pertanto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con
rinvio alla corte di appello di Reggio Calabria Bari, che si atterrà
per il nuovo esame ai principi sopra esposti.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla corte di appello di
Reggio Calabria per nuovo esame.

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Così deciso in Roma il 28.5.2013

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