Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48786 del 28/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 48786 Anno 2013
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 28/05/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Er Avni, nato ad Askaray (Turchia), il 10.7.1971, avverso
l’ordinanza pronunciata dal tribunale di sorveglianza di Napoli il
23.11.2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
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FATTO E DIRITTO

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Con ordinanza del 23.11.2011 il tribunale di sorveglianza di
Napoli, pronunciando in qualità di giudice dell’appello proposto
contro l’ordinanza con cui il magistrato di sorveglianza di Avellino,
in data 22.2.2010, aveva dichiarato eseguibile, nei confronti di Er

Stato, disposta nella sentenza con cui la corte di assise di appello
di Perugia, in data 23.10.2008, aveva condannato il suddetto Er
Avni alla pena di anni sette di reclusione per il reato di cui all’art.
270 bis, c.p., dichiarava eseguibile nei confronti di quest’ultimo la
misura di sicurezza della casa di lavoro per la durata di anni uno,
così modificando l’originaria misura di sicurezza della espulsione
dal territorio dello Stato.
Il tribunale di sorveglianza di Napoli, peraltro, pronunciava in sede
di giudizio di rinvio ex art. 627, c.p.p., avendo la Corte di
Cassazione, con sentenza del 19.4.2011, annullato, per vizi
procedurali (mancata notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza
camerale) la precedente ordinanza con cui sempre il tribunale di
sorveglianza di Napoli, in data 7.7.2010, aveva rigettato l’appello
proposto dall’Er Avni contro il menzionato provvedimento del
magistrato di sorveglianza di Avellino.
Avverso la decisione resa il 23.11.2011 dal tribunale di
sorveglianza di Napoli, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
tempestivo ricorso l’Er Avni, articolando tre motivi di
impugnazione.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta i vizi di cui all’art. 606,
co. 1, lett. b) ed e), c.p.p., per avere il tribunale di sorveglianza
fondato il giudizio sulla sussistenza della attualità della pericolosità
sociale del ricorrente stesso, esclusivamente sulla capacità
criminale di quest’ultimo, desunta dal pedissequo richiamo alla

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Avni, la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello

natura del delitto per il quale l’Er Avni è stato condannato ed
all’entità della pena inflittagli, omettendo di considerare tutti gli
altri parametri indicati dall’art. 133, c.p., ed in particolare la
condotta serbata dall’imputato durante l’espiazione della pena, di

tenere conto in sede di accertamento sull’attualità della
pericolosità sociale ai fini dell’applicazione di una misura di
sicurezza, nonché la reale consistenza delle due infrazioni
disciplinari di cui l’Er Avni si sarebbe reso responsabile in costanza
di detenzione, cui ha fatto riferimento il tribunale di sorveglianza
nella sua motivazione in ordine alla ritenuta pericolosità sociale
del ricorrente.
L’Er Avni, inoltre, rileva una evidente contraddizione della
motivazione dell’impugnata ordinanza.
Il tribunale di sorveglianza, infatti, dopo avere constatato che il
ricorrente, alla luce delle azioni violente patite dall’autorità turca
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in conseguenza dell’attività politica da _egli svolta nel proprio
paese, non era stato estradato in Turchia ed aveva, anzi, ottenuto
il riconoscimento del diritto di beneficiare della protezione
umanitaria, pur ritenendo “incongrua e lontana dai principi
umanitari richiamati nella C.E.D.U.” la misura di sicurezza
dell’espulsione dal territorio dello Stato, originariamente disposta
nei suoi confronti, siti aveva, tuttavia, applicato alli Er Avni, del
tutto illogicamente, la misura di sicurezza dell’assegnazione ad
una casa di lavoro, valorizzando, ai fini del necessario
accertamento riguardante l’attualità della pericolosità sociale, tra
gli altri elementi utilizzabili, quello dello stato di irreperibilità
dell’Er Avni, derivante dalla mancata conoscenza del suo domicilio
o del suo luogo di residenza, che, lungi dal poter essere

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cui, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, si deve

interpretato come sintomatico di un atteggiamento di totale ed
ostinata pervicacia del ricorrente nel sottrarsi ai dettami della
legge, trova piuttosto giustificazione proprio nell’esigenza di
sottrarsi all’esecuzione di un provvedimento ingiusto ed illegittimo

proprio paese ad una detenzione contraria a quei principi
umanitari di diritto internazionale consacrati nella C.E.D.U., ai
quali lo stesso tribunale di sorveglianza ha inteso richiamarsi.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta i vizi
di cui all’art. 606, co. 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt.
235, 205, 215, c.p., e 679, c.p.p., eccependo la mancanza in capo
al tribunale di sorveglianza, la cui motivazione sul punto è
carente, del potere di applicare all’Er Avni la misura di sicurezza
della assegnazione ad una casa di lavoro.
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta i vizi di
cui all’art. 606, co. 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt.
216, 199, c.p., e 25, Cost., per avere il tribunale di sorveglianza
proceduto all’aggravamento della misura di sicurezza
dell’espulsione dal territorio dello Stato (non detentiva) con quella
dell’assegnazione ad una casa di lavoro (detentiva), al di fuori
delle ipotesi di cui all’art. 216, c.p., e senza indicare le ragioni che
giustificano tale aggravamento.
Con requisitoria scritta depositata il 9.7.2012 il pubblico ministero,
nella persona del sostituto procuratore generale, dott. Giovanni
D’Angelo, concludeva per il rigetto del ricorso, trovando il
provvedimento del tribunale di sorveglianza la sua ragione
giustificatrice nel combinato disposto degli artt. 202; 215 e 216,
c.p.

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(-.

(l’espulsione dal territorio dello Stato), che lo avrebbe esposto nel

Con memorie depositata il 13.5.2013 ed il 24.5.2013, il ricorrente
insisteva nella propria richiesta, riportandosi ai motivi già esposti,
che arricchiva con nuove osservazioni, ed allegava
documentazione.

Ed invero il tribunale di sorveglianza non aveva il potere di
dichiarare eseguibile, e, quindi applicabile nei confronti dell’Er
Avni, la diversa misura di sicurezza detentiva dell’affidamento ad
una casa di lavoro per la durata di un anno, prevista dall’art. 216,
c.p.
Ciò per un duplice ordine di ragioni.
Innanzitutto perché non lo consente il divieto della reformatio in
peius previsto dall’art. 597, co. 3, c.p.p., principio di portata
generale, secondo cui quando l’appellante è il solo imputato, il
giudice non può, tra le altre possibili statuizioni più sfavorevoli per
quest’ultimo previste dal menzionato dettato normativo,
“applicare una misura di sicurezza nuova o più grave”.
Una interpretazione costituzionalmente orientata, necessaria per
evitare irrazionali, perché ingiustificate, disparità di trattamento,
impone, infatti, di estendere tale principio al caso in esame, in cui
l’appello è stato presentato dal solo imputato, ai sensi dell’art.
680, co. 1, c.p.p., avverso il provvedimento con il quale il
magistrato di sorveglianza di Avellino aveva dichiarato eseguibile,
nei confronti di Er Avni, ai sensi dell’art. 679, c.p.p., la misura di
sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato, disposta, come
si è detto, nella menzionata sentenza della corte di assise di
appello di Perugia (sulla natura di principio generale del divieto di
cui all’art. 597, co. 3, c.p.p., applicabile anche nel giudizio di
rinvio in seguito ad annullamento, cfr. Cass., sez. I, 11.3.1997, n.

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Tanto premesso, il ricorso appare fondato e va, pertanto, accolto.

1980, relativa ad una fattispecie in cui oggetto del ricorso era un
provvedimento del tribunale di sorveglianza di Trento, che, in
sede di rinvio ex art. 627, c.p.p., aveva non solo ribadito il
precedente rigetto della richiesta dell’imputato di affidamento in

del minor beneficio della semilibertà, in precedenza riconosciuto
ed in ordine al quale l’imputato non aveva proposto
impugnazione).
Né appare revocabile in dubbio che la misura di sicurezza
dell’assegnazione ad una casa di lavoro prevista dall’art. 216, c.p.,
rientrante per espressa disposizione legislativa (art. 215, co. 2, n.
1, c.p.) nelle misure di sicurezza detentive, costituisca, in
considerazione della notevole compressione della libertà personale
che essa determina durante la sua esecuzione all’interno di istituti
penitenziari, giusta il disposto dell’art. 213, c.p.p., una misura più
grave rispetto alla misura di sicurezza non detentiva (art. 215, co.
3, n. 4, c.p.) dell’espulsione dello straniero dal territorio dello
Stato, di cui all’art. 235, c.p.
La mancanza dell’appello del pubblico ministero, il quale, peraltro,
nel corso dell’udienza innanzi al tribunale di sorveglianza, si
limitava a chiedere il rigetto del gravame proposto dall’Er Avni,
non consentiva, dunque, al giudice di secondo grado di modificare
in senso più sfavorevole all’imputato la decisione del magistrato di
sorveglianza di Avellino, applicandogli una misura di sicurezza
senza dubbio più grave, in quanto maggiormente afflittiva.
Per altro verso la decisione del tribunale di sorveglianza di Napoli
va censurata, sotto il profilo della mancanza dei presupposti di
legge per l’applicazione della misura di sicurezza dell’affidamento
ad una casa di lavoro, con conseguente violazione del disposto

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prova al servizio sociale, ma aveva anche negato la concessione

dell’art. 199, c.p. (oltre che dell’art. 25, co. 3, Costituzione),
secondo cui nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza
fuori dei casi previsti dalla legge.
Possono essere, infatti, sottoposti alla misura di sicurezza

dell’assegnazione ad una colonia agricola, solo le persone che si
trovino nelle condizioni, tassativamente indicate nell’art. 216, c.p.,
vale a dire: “1) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali,
professionali o per tendenza; 2) coloro che, essendo stati
dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, e non
essendo più sottoposti a misura di sicurezza, commettono un
nuovo delitto, non colposo, che sia nuova manifestazione della
abitualità, della professionalità o della tendenza a delinquere; 3)
le persone condannate o prosciolte, negli altri casi indicati
espressamente nella legge” (artt. 212, 215, 223, 226, 231, c.p)
Orbene il ricorrente non versa in nessuna di tali condizioni, ed, in
particolare, l’applicazione nei suoi confronti della misura di
sicurezza di cui si discute non può trovare giustificazione, come
affermato dal pubblico ministero, nella previsione dell’art. 215, co.
4, c.p., richiamato dall’art. 216, n. 3), stesso codice, che consente
al giudice di disporre l’assegnazione ad una casa di lavoro o ad
una colonia agricola del condannato per delitto, solo nel caso in
cui la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la
specie, trattandosi nel caso in esame, invece, come più volte
evidenziato, della sostituzione di una specifica misura di sicurezza
non detentiva già disposta dal giudice di primo grado con altra
detentiva di fatto applicata dal giudice dell’appello.
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa
va, dunque, accolto, con conseguente annullamento senza rinvio

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dell’affidamento ad una casa di lavoro ovvero a quella

dell’impugnata ordinanza limitatamente alla disposta eseguibilità
della misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di lavoro,
rimanendo ferma la statuizione del tribunale di sorveglianza in
ordine alla affermata incompatibilità della misura di sicurezza

principi umanitari richiamati nella Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo”, come lamentato dall’Er Avni nella sua impugnazione,
che, ovviamente, incide, rendendola ineseguibile, sulla misura di
sicurezza originariamente imposta al ricorrente.
P.Q. M.
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla
disposta eseguibilità della misura di sicurezza dell’assegnazione a
una casa di lavoro.
Così deciso in Roma il 28.5.2013

dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato con i ”

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