Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48775 del 25/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 48775 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Procuratore Generale presso la corte di appello di Catanzaro e da Lopez
Francesca, nata a Napoli il 4.8.1970, avverso la sentenza pronunciata
dalla corte di appello di Catanzaro il 4.12.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Antonio Mura, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio dell’impugnata sentenza.
udita per la costituita parte civile, l’avv. Nicola Carratelli, in qualità di
sostituto processuale del difensore di fiducia, avv. Ferdinando
Pietropaolo, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento di entrambi i
ricorsi.

Data Udienza: 25/06/2013

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 4.12.2012 la corte di appello di Catanzaro
confermava la sentenza con cui il tribunale di Cosenza, in data

595, co. 3, e 13, I. n. 47 del 1948, con la formula perché il fatto non
costituisce reato.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiedono l’annullamento, hanno
proposto distinti ricorsi per Cassazione il procuratore generale presso la
corte di appello di Catanzaro e la parte civile costituita, articolando
autonomi motivi di impugnazione.
3. Il procuratore generale lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione della sentenza impugnata, per non avere la corte territoriale
fatto buon uso dei principi in materia di applicazione della scriminante
del diritto di cronaca, pervenendo ad una motivazione manifestamente
illogica e contraddittoria.
3.1 In particolare, rileva il pubblico ministero che, stante la natura
oggettivamente diffamatoria degli articoli di stampa indicati nel capo
d’imputazione, in quanto volti a rappresentare che l’assunzione
lavorativa della Lopez Francesca presso la “Società Sviluppo Italia
Calabria” fosse dovuta non per meriti propri, ma in virtù del rapporto di
coniugio con il marito magistrato, dunque “nel contesto di una gestione
clientelare e non meritocratica del sistema di selezione del personale
della predetta società”, la corte territoriale, nel momento in cui ha
escluso, al pari del giudice di primo grado, che l’assunzione della Lopez
fosse stata determinata da motivi clientelari, dando atto di come il
rapporto di lavoro di quest’ultima fosse risalente nel tempo e solo
occasionalmente derivato da successivi fenomeni di incorporazione tra
enti, ha commesso un evidente errore di diritto nell’applicare
all’imputato la scriminante del diritto di cronaca, sul presupposto della
riscontrata verità della notizia relativa al rapporto di coniugio tra la parte
civile ed un magistrato, posto che il controllo sulla verità della notizia

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16.9.2010, aveva assolto Troya Antonello dal reato di cui agli artt. 57,

pubblicata – nel caso in esame particolarmente stringente, in quanto gli
articoli diffamatori, non essendo firmati, sono da ricondurre direttamente
al Troya Antonello, direttore responsabile della testata (“La Provincia
Cosentina”) dove sono stati pubblicati – andava estese anche alla
indicata causale dell’assunzione della Lopez.

3.2 Evidenzia, inoltre, il procuratore generale che, ai fini di escludere la
responsabilità dell’imputato, non può nemmeno parlarsi di impossibilità
della verifica da parte del direttore del giornale della verità della notizia
ovvero di erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto
riferito, posto che, ove non vi sia certezza sulla verità della notizia, il
giornalista che la pubblica accetta il rischio che essa non corrisponda a
verità.
4. La parte civile, che ha proposto ricorso personalmente, lamenta vizio
di legge, in relazione agli artt. 51, 57, 595, c.p., 13, I. n. 47 del 1948, e
vizio di motivazione della sentenza impugnata, collocandosi nel solco dei
motivi indicati dalla parte pubblica, che arricchisce di ulteriori
considerazioni.
5. In via preliminare va dichiarato inammissibile il ricorso sottoscritto
personalmente dalla parte civile, non risultando esso corredato da
clausole da cui emerga la volontà del difensore di farne propri i motivi
(cfr. Cass., sez. III, 22/06/2011, n. 34779, T., rv. 251246), con
conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al
pagamento delle spese del procedimento, nonché in favore della cassa
delle ammende, di una somma a titolo di sanzione pecuniaria, che
appare equo fissare in euro 1000,00, tenuto conto della evidente
inammissibilità del ricorso, circostanza facilmente evitabile dalla
ricorrente stessa, che, quindi, non può ritenersi immune da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte
Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
6. Fondato appare il ricorso del procuratore generale, che va, pertanto,
accolto.
7. La corte territoriale, invero, non ha fatto buon governo dei principi,
frutto di elaborazione giurisprudenziale, in tema di efficacia scriminate

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(q-

dell’esercizio del diritto di cronaca nel reato di diffamazione a mezzo
stampa.
7.1 Va, infatti, ribadito un principio da tempo affermato dalla
giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema
di diffamazione a mezzo stampa, condizioni indispensabili per il corretto

assunto a presupposto delle espressioni di critica, in quanto – fermo
restando che la realtà può essere percepita in modo differente e che due
narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze
anche marcate – non può essere consentito attribuire a un soggetto
specifici comportamenti dallo stesso non tenuti o espressioni mai
pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle
espressioni fossero effettivamente a lui riferibili; mentre, qualora il fatto
risulti obiettivamente falso, la possibilità di applicare la scriminante,
sotto il profilo putativo ai sensi dell’art. 59 c.p., presuppone che il
giornalista abbia assolto all’onere di controllare accuratamente la notizia
risalendo alla fonte originaria e che l’errore circa la verità del fatto non
costituisca espressione di negligenza, imperizia o, comunque, di colpa
non scusabile, come nel caso in cui il fatto non sia stato sottoposto alle
opportune verifiche e ai doverosi controlli; b) l’interesse pubblico alla
conoscenza dei fatti; c) la continenza, che deve ritenersi superata
quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e
sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica;
la verifica circa l’adeguatezza del linguaggio alle esigenze del diritto del
giornalista alla cronaca e alla critica impone l’accertamento della verità
del fatto riportato e la proporzionalità dei termini adoperati in rapporto
all’esigenza di evidenziare la gravità dell’accaduto, quando questo
presenti oggettivi profili di interesse pubblico; con la precisazione che,
pur essendo consentita una polemica anche intensa su temi di rilievo
sociale e politico, esula comunque dalla critica il gratuito attacco morale
alla persona (cfr. Cass., ex plurimis, sez. I, 04/07/2008, n. 35646, G. e
altro).

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esercizio del diritto di critica sono: a) la verità del fatto attribuito e

Ciò implica a carico del giornalista, anche ai fini della eventuale
sussistenza della scriminante putativa dell’esercizio del diritto di
cronaca, l’obbligo di esaminare, controllare e verificare quanto oggetto
della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio sulla verità della
notizia, che va riportata in modo completo, in quanto l’intreccio del

dovere del giornalista di informare e del diritto del cittadino di essere
informato merita rilevanza e tutela costituzionale se ha come base e
come finalità la verità e la sua diffusione (cfr. Cass., sez. V, 17/07/2009,
n. 45051, V. e altro; Cass., sez. V, 26/09/2012, n. 41249, S.A.; Cass.,
sez. V, 04/11/2010, n. 44024, .rv. 249126)
Appare, dunque, evidente, l’errore di prospettiva in cui è caduta la corte
territoriale, perché la notizia, della cui verità si discute ed in relazione
alla quale era posto a carico del giornalista l’obbligo di procedere ad un
compiuto esame, controllo e verifica di quanto avrebbe pubblicato, non è
il rapporto di coniugio tra la Lopez ed il marito magistrato, come
erroneamente ritenuto dalla corte territoriale (cfr. p. 2 della sentenza
impugnata), ma la diretta dipendenza dell’assunzione della parte civile
presso la “Società Sviluppo Italia Calabria” da tale rapporto e, quindi, da
una logica clientelare, dipendenza che avrebbe potuto essere esclusa,
evitando la pubblicazione della notizia nei termini indicati, ove il
giornalista avesse accertato in che momento e secondo quali modalità
era sorto il rapporto di lavoro tra quest’ultima e la menzionata società.
7.2 Nel caso in esame, peraltro, il dovere di controllo della verità della
notizia che gravava sul direttore del giornale deve ritenersi
particolarmente stringente, trattandosi di articoli non firmati.
Costituisce, infatti, principio ormai sedimentato nella giurisprudenza di
legittimità quello, condiviso dal Collegio, secondo cui, essendo il
direttore di un organo di stampa titolare di una posizione di garanzia
preordinata alla tutela dell’interesse diffuso, prevenendo la lesione
dell’altrui reputazione e garantendo l’aderenza alla verità storica, la
carenza di una firma dell’informazione induce a supporre un diretto e più
stringente controllo al riguardo, divenendo immediato il titolo di
coinvolgimento del preposto al giornale verso i destinatari di eventuali

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/’

resoconti diffamatori (cfr. Cass., sez. V, 22/02/2012, n. 15004, C., rv.
252484; Cass., sez. V, 22/02/2012, n. 15004).
7.3 Va, infine, sottolineato come il dovere di controllo della verità della
notizia non sia derogabile dalla impossibilità, per il giornalista, di
adempiervi compiutamente: in questo caso, infatti, quando, cioè, per il

della notizia da pubblicare, l’ostacolo, lungi dal comportare l’abdicazione
del dovere di controllo, implica la non pubblicazione della notizia
incontrollabile (cfr., in questo senso, Cass., sez. V, 04/03/2005, n.
15986, A.G., rv. 232131).
8 Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va,
dunque, annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di
Catanzaro per nuovo esame, che andrà svolto in conformità ai principi di
diritto in precedenza indicati.
P.Q.M.
in accoglimento del ricorso del procuratore generale annulla la sentenza
impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Catanzaro
per nuovo esame; dichiara inammissibile il ricorso della Lopez, che
condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della
somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 25.6.2013

giornalista non sia possibile, per qualsiasi ragione, verificare la verità

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