Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48737 del 13/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 48737 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MICCO MATTEO N. IL 04/02/1960
avverso la sentenza n. 82/2012 TRIBUNALE di TRANI, del
26/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
tio-ei.e.
che ha concluso per kt at,rt
gUit C4.0fri-‘`

q.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. V. 06~-laid4Z__

Data Udienza: 13/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Trani, con sentenza del 26.9.2012, ha condannato Matteo
DI MICCO alla pena dell’ammenda per la violazione dell’art. 256, comma 1, lett.
a) d.lgs. 152\2006 perché, nella qualità di legale rappresentante della «COFER
s.r.I.», effettuava attività di smaltimento di rifiuti mediante incenerimento, in

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 62 e 63
cod. proc. pen., rilevando come il giudice del merito avrebbe illegittimamente
utilizzato dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria la quale, intervenuta nell’area
aziendale dopo aver notato la presenza di una colonna di fumo, veniva informata
che si stavano bruciando rifiuti da imballaggio.
Osservava, a tale proposito, che tali dichiarazioni sarebbero state rilasciate
dopo l’avvio di una specifica attività di controllo sui rifiuti e l’accertamento
dell’illecito smaltimento e, pertanto, quando egli aveva già assunto la qualifica di
indiziato di reità e che, in ogni caso, tali dichiarazioni sarebbero state comunque
inutilizzabili se considerate come spontanee o rese nell’ambito di attività
ispettiva di natura amministrativa.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 256
d.lgs. 152\06, assumendo che gli imballaggi «pacificamente costituiscono rifiuti
assimilabili agli urbani» e, in quanto tali, sarebbero assoggettabili alla disciplina
di cui agli artt. 222 e ss. del medesimo decreto legislativo, la cui violazione
comporterebbe l’applicazione delle sole sanzioni amministrative di cui al
successivo art. 261.
Aggiunge che l’art. 256 d.lgs. 152\06 non contemplerebbe sanzioni per i
privati non esercenti professionalmente attività di smaltimento di rifiuti per
l’irregolare smaltimento di rifiuti urbani o ad essi assimilabili, bensì
esclusivamente per l’irregolare smaltimento di rifiuti speciali.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

1

assenza del prescritto titolo abilitativo (in Trani il 24.11.2009).

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.
Occorre rilevare, per ciò che concerne il primo motivo di ricorso, che il
Tribunale, nel descrivere le modalità di accertamento del reato, precisa come un
ufficiale del personale del Corpo Forestale dello Stato – Stazione di Andria,

strada provinciale 130, veniva notata una colonna di fumo levarsi dalla zona
industriale alla periferia di Trani e che, recatosi sul posto, entrò nello stabilimento
della «COFER s.r.I.» incontrando l’imputato e da questi apprendendo che si
stavano bruciando rifiuti di imballaggio, in particolare polistirolo.
Tale è, dunque, la ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice del merito che
non può essere ovviamente oggetto, in questa sede di legittimità, di nuova o
diversa valutazione.
Sulla base di tale dato fattuale il Tribunale ha escluso la fondatezza
dell’eccezione di inutilizzabilità sollevata dalla difesa dell’imputato, osservando
che l’affermazione riferita dal teste era stata percepita prima dell’accertamento
di qualsivoglia violazione penale e ciò in quanto lo scopo dell’intervento era
soltanto quello di verificare l’origine della colonna di fumo vista in precedenza.
Così facendo, il giudice del merito ha proceduto, ad avviso del Collegio, ad
una applicazione giuridicamente corretta delle disposizioni che in ricorso si
assumono violate e che risulta, peraltro, allineata alla costante giurisprudenza di
questa Corte.

5. Invero, come si è già avuto modo di osservare, il divieto di testimonianza
sulle dichiarazioni dell’ indagato o imputato, imposto dall’art. 62 cod. proc. pen.,
opera con riferimento alle sole dichiarazioni rese comunque nel procedimento e,
cioè, a quelle assunte nel compimento di uno specifico atto del procedimento
quale, ad esempio, l’interrogatorio o l’esame e ricevute da soggetto investito di
particolare qualifica processuale in relazione al procedimento medesimo e tra le
quali figura anche quella di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Osservando
che la disposizione codicistica in esame si riferisce alle dichiarazioni rese «nel
corso del procedimento» e non in pendenza di esso, si è dunque stabilito che
«vengono in considerazione, nell’ottica delineata dall’art. 62 cod. proc. pen., le
sole dichiarazioni rese dall’ imputato o dall’indagato nella sede processuale ed ai
soggetti deputati istituzionalmente alla loro raccolta, con conseguente inibizione
dell’ingresso, nel materiale cognitivo a disposizione del giudice, di fonti

2

escusso come teste, avesse riferito che, mentre erano in corso controlli sulla

surrogatorie o sostitutive dell’eventuale carenza di documentazione formale»,
mentre il divieto non opera per le dichiarazioni rese al di fuori del procedimento o
prima delle indagini, che possono essere oggetto di libera valutazione da parte
del giudice in quanto assumono la valenza di fatto storico percepito e riferito dal
teste (Sez. VI n. 1764, 15 gennaio 2013; Sez. VI n. 22456, 28 maggio 2009; Sez.
Il n. 17437, 23 aprile 2009; Sez. Il n. 4439, 2 febbraio 2009; Sez. V n. 32906, 17
agosto 2007; Sez. I n. 35539, 16 settembre 2003; Sez. V n. 2245, 22 febbraio
1999 ed altre conf.)

operi solo in relazione alle dichiarazioni rese nel corso del procedimento e non
anche al di fuori di esso, si è anche ricordato che la Corte Costituzionale (sent.
237 del 3 maggio 1993), dichiarando non fondata la questione di legittimità
costituzionale di tale articolo, ha precisato che il divieto in esso stabilito non ha
natura assoluta ed illimitata, operando soltanto «nel procedimento» e non «in
pendenza del procedimento» cosicché, per la sua operatività, è necessario che,
prescindendo dall’eventuale iscrizione nel registro degli indagati di cui all’art. 335
cod. proc. pen., le dichiarazioni siano state rese, anche spontaneamente, in
occasione del compimento di un atto del procedimento, avendo la disposizione in
esame la finalità di garantire il contraddittorio nella formazione delle prove nel
corso delle indagini preliminari e non anche per quelle dichiarazioni ricevute in
altro ambito, prima del formale inizio delle indagini, poiché in tal caso la
testimonianza di colui che le ha ricevute assume la valenza di fatto storico
direttamente percepito dal teste e liberamente valutabile dal giudice del merito
(Sez. VI n. 2231, 22 gennaio 2011; Sez. Il n. 46607, 3 dicembre 2009; Sez. VI n.
6085, 16 febbraio 2004).
Va inoltre ricordato come, in un caso, questa Sezione abbia ulteriormente
chiarito che, ai fini dell’operatività del divieto di utilizzazione di cui si tratta,
occorre l’effettiva sussistenza di indizi di reità già al momento dell’assunzione
delle dichiarazioni, non essendo sufficiente il semplice sospetto o la mera
possibilità che il soggetto da interrogare possa risultare coinvolto nel reato (Sez.
III n. 21747, 9 giugno 2005).

6. Date tali premesse, rileva il Collegio come, nella fattispecie, tenuto conto
del fatto storico come ricostruito dal giudice del merito, doveva escludersi che il
colloquio intervenuto tra la polizia giudiziaria operante ed il ricorrente potesse
qualificarsi come formale dichiarazione nel senso proprio del termine in
precedenza delineato né, tanto meno, che detta comunicazione verbale fosse
comunque avvenuta nell’ambito di un’attività di indagine ed in presenza di
concreti indizi di reità a carico del ricorrente.

3

g2

In altre occasioni, nel ribadire come il divieto di cui all’art. 62 cod. proc. pen.

Invero, come correttamente osservato dal Tribunale, la polizia giudiziaria,
che stava effettuando controlli lungo una strada provinciale, si era recata presso
l’azienda dopo aver visto una colonna di fumo alzarsi dalla zona industriale,
cosicché il motivo dell’intervento altro non poteva essere che quello indicato dal
giudice del merito e, cioè, l’accertamento dell’origine del fumo e la gestione di
eventuali situazioni di pericolo e solo in un momento successivo all’indicazione
delle cause da parte del ricorrente, occasionalmente incontrato sul posto, sono
state effettuate specifiche verifiche concernenti la corretta osservanza delle

controllo visivo della situazione in atto, ma anche la verifica della sussistenza dei
prescritti titoli abilitativi e la individuazione dei soggetti responsabili, tra i quali
non poteva essere automaticamente individuato, all’atto dell’intervento, il
rappresentante legale della società titolare dello stabilimento soltanto perché
rivestiva tale qualità.
In altre parole, al momento dell’intervento il personale di polizia giudiziaria si
era recato sul posto per ragioni che nulla avevano a che vedere con la violazione
poi accertata, rispetto alla quale non risultava alcun indizio o sospetto di reità a
carico del ricorrente.
Ne consegue l’infondatezza del motivo di ricorso.

7. Parimenti infondate risultano, inoltre, le censure sviluppate nel secondo
motivo di ricorso che risultano frutto di una non corretta lettura delle disposizioni
richiamate.
Va in primo luogo rilevato che, contrariamente a quanto indicato in ricorso, il
Tribunale ha specificato (pag. 2 della sentenza impugnata) che il materiale in
fase di combustione all’atto dell’accertamento era polistirolo e non cartone.
Merita inoltre un cenno la disciplina attualmente in vigore in tema di
imballaggio e rifiuti da imballaggio.

8. Come è noto, la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è
disciplinata dal Titolo Il del d.lgs. 152\06 per gli scopi indicati nell’articolo 217,
comma 1.
Le disposizioni che li riguardano recepiscono la direttiva 2004/12/CE, con la
quale è stata integrata e modificata la direttiva 94/62/CE e concernono la
gestione di tutti gli imballaggi immessi sul mercato nazionale e di tutti i rifiuti di
imballaggio derivanti dal loro impiego, utilizzati o prodotti da industrie, esercizi
commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici, a qualsiasi titolo, qualunque
siano i materiali che li compongono. La finalità è quella di ridurre al minimo il
complessivo impatto ambientale, coinvolgendo gli operatori del settore secondo

4

disposizioni in tema di rifiuti le quali, peraltro, presuppongono non soltanto un

il principio della «responsabilità condivisa», che comporta il coinvolgimento di
tutti i soggetti interessati al raggiungimento degli obiettivi generali della
normativa. Viene comunque fatto salvo il contenuto delle specifiche disposizioni
in materia di qualità degli imballaggi, sicurezza, protezione della salute, igiene
dei prodotti imballati, trasporto e rifiuti pericolosi.
La definizione di «imballaggio» è fornita dall’articolo 218, comma 1, lettera
a). Si intende dunque per imballaggio: «il prodotto, composto di materiali di
qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai

consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro
presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo».
La successiva lettera f) della medesima disposizione definisce come «rifiuto
da imballaggio»: «ogni imballaggio o materiale di imballaggio, rientrante nella
definizione di rifiuto di cui all’articolo 183, comma 1, lettera a), esclusi i residui
della produzione»,

mentre la lettera g) qualifica

«gestione dei rifiuti da

imballaggio»: «le attività di gestione di cui all’articolo 183, comma 1, lettera d)»

9. Vi è pertanto una sostanziale differenza tra gli imballaggi ed i rifiuti di
imballaggio, avendo i primi una specifica finalità, venuta meno la quale e
sussistendo le condizioni di cui all’art. 183, comma 1 lett. a) d.lgs. 152\06,
quando, cioè, il

detentore se ne disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di

disfarsene, rientrano a tutti gli effetti nel novero dei rifiuti oggetto delle attività di
gestione descritte nel medesimo articolo 183 (attualmente alla lettera n),
riferendosi l’art. 218 alla collocazione della definizione di gestione nell’art. 183
antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 205\2010 rispetto alle quali non è
stato aggiornato).
Non è dunque corretta la sostanziale coincidenza, ritenuta in ricorso, tra
imballaggi e rifiuti dovendosi invece qualificare i materiali inceneriti di cui
all’imputazione quali rifiuti da imballaggio.

10. Ciò posto, deve rilevarsi che nessun rilievo assume, nella fattispecie,
l’eventuale assimilabilità dei suddetti rifiuti da imballaggio ai rifiuti urbani dalla
quale il ricorrente ritiene discendere la insussistenza del reato contestato e
l’applicabilità eventuale di sanzioni amministrative, ipotizzando, sostanzialmente,
la possibilità di conferimento di detti rifiuti nei contenitori per la raccolta di quelli
urbani.
Va innanzi tutto rilevato che, nell’effettuare tali osservazioni, il ricorrente non
individua in alcun modo la originaria natura dell’imballaggio secondo la ulteriore
classificazione, operata dall’art. 218, lett. b) c) d) ed e) d.lgs. 152\06 in

5

prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro

imballaggi per la vendita (o primari), imballaggi multipli (o secondari), imballaggi
per il trasporto (o terziari) ed imballaggi riutilizzabili, soggetti a regimi diversi (si
consideri, ad es., il divieto di immissione di imballaggi terziari di qualsiasi natura
nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani di cui all’art. 226, comma 2 o la
possibilità, prevista dalla medesima disposizione, del conferimento, al servizio
pubblico, solo in raccolta differenziata, di imballaggi secondari non restituiti
all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio) e che le sanzioni amministrative
che egli richiama, previste dall’art. 261, riguardano specifici soggetti e situazioni

Invero all’imputato è stata contestata l’illecita attività di gestione di rifiuti
consistita nello smaltimento mediante incenerimento, attività correttamente
ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 256, comma 1 d.lgs. 152\06.
Tale disposizione sanziona infatti penalmente chiunque effettui una attività
di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di
rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di
cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216. Le sanzioni, pecuniarie e
detentive, sono indicate in modo diverso in relazione alla natura dei rifiuti
illecitamente gestiti, prevedendo così la pena alternativa, peraltro in misura
minore, con riferimento ai rifiuti non pericolosi e quella congiunta, in misura
maggiore, per i rifiuti pericolosi.
La disposizione, come è evidente, non effettua alcuna distinzione dei rifiuti
oggetto di illecita gestione in ragione della loro origine (urbani o speciali)
considerando esclusivamente la loro classificazione in base alle caratteristiche di
pericolosità.
Tra le attività di gestione illecita è contemplato anche lo smaltimento, che il
d.lgs. 152\06 espressamente considera con riferimento ai rifiuti di imballaggio
nell’art. 218, lett. p) definendolo come «ogni operazione finalizzata a sottrarre
definitivamente un imballaggio o un rifiuto di imballaggio dal circuito economico
e/o di raccolta e, in particolare, le operazioni previste nell’Allegato B alla parte
quarta del presente decreto». Tra dette operazioni figura quella di cui alla lettera
D10 dell’Allegato B, che il ricorrente svolgeva senza esservi abilitato.
11. Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale rientra
nell’attività di illecita gestione, sanzionata dall’art. 256, comma 1 d.lgs.
15212006, lo smaltimento mediante combustione di rifiuti di imballaggio
(nella specie, polistirolo) effettuato in assenza del prescritto titolo
abilitativo.
La sentenza impugnata risulta dunque immune da censure ed il ricorso deve
pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

6

del tutto differenti da quella individuata nel capo di imputazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento

Così deciso in data 13.11.2013

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA