Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48727 del 25/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48727 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LEOCATA VITO N. IL 29/01/1954
avverso la sentenza n. 43/2013 TRIB.SEZ.DIST. di ACIREALE, del
11/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 25/09/2013

Motivi della decisione
Leocata Vito ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, in data 11.02.2013, con la
quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena di mesi otto e
giorni 27 di reclusione oltre la multa, in ordine al delitto di furto aggravato in
fattispecie tentata.

attenuanti generiche in rapporto di equivalenza sulla contestata recidiva, al fine di
adeguare la pena al fatto.
Il ricorso è inammissibile.
Giova considerare che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che
l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede l’applicazione della
pena ex art. 444 cod. proc. pen. rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare
l’accusa. Ne consegue, come questa Suprema Corte ha più volte avuto modo di
affermare, che l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure

Con unico motivo l’esponente si duole della mancata concessione delle

che coinvolgono il patto dal medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che,
nel caso di specie, il giudice ha evidenziato che la qualificazione giuridica del fatto
appariva corretta e che l’entità della pena risultava congrua, alla luce dei criteri di
cui all’art. 133 cod. pen.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2013.

P.Q.M.

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