Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48717 del 25/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48717 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PARAVIZZINI ANTONIO N. IL 02/11/1972
FICICCHIA GIOVANNI N. IL 13/06/1970
avverso la sentenza n. 3606/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di RAGUSA, del 09/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 25/09/2013

Motivi della decisione
Paravúzini Antonio e Ficicchia Giovanni hanno proposto ricorso per
cassazione avverso la sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Ragusa in data
9.01.2013, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la
pena concordata dalle parti, in ordine alla violazione dell’art. 73, d.P.R. n.
309/1990.
Con unico motivo gli esponenti denunciano la carenza di motivazione in

condizioni legittimanti l’adozione di sentenza liberatoria ex art. 129 cod. proc. pen.
Le dedotte censure, che si esaminano congiuntamente, sono inammissibili.
Giova considerare che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che
l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice/

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riferimento al giudizio di congruità della pena ed al mancato apprezzamento delle

ha evidenziato che non emergevano le condizioni per procedere ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen. nei riguardi degli odierni ricorrenti, alla luce del verbale di
arresto e dell’ordinanza applicativa della misura cautelare; e che l’entità della pena
risultava congrua, essendo commisurata alla gravità del fatto.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00
ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di C 1.500,00 ciascuno in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2013.

P.Q.M.

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