Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48703 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 48703 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– RIZZA MARCO, n. 28/03/1989 a Torino

avverso l’ordinanza del tribunale della libertà di MESSINA in data 24/07/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa P. Filippi, che ha chiesto annullarsi con rinvio l’impugnata
ordinanza, limitatamente alle esigenze cautelari;

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 24/07/2015, depositata in data 29/07/2015, il
tribunale del riesame di MESSINA confermava l’ordinanza del GIP presso il
tribunale di PATTI del 30/06/2015 con cui l’indagato RIZZA MARCO veniva
sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora in relazione a numerose

cessione o detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.

2.

Ha proposto ricorso RIZZA MARCO a mezzo del difensore fiduciario

cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce due motivi, di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., in relazione all’art. 292, lett. b), c.p.p., e correlati vizi di motivazione
carente e manifestamente illogica.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza, in quanto, sostiene il
ricorrente, nel caso di specie non risulterebbe soddisfatto il requisito della
descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si
assumono violate; dei 21 capi di imputazione, ben 17 si connoterebbero per la
mancata precisazione del tipo e/o del quantitativo di sostanza stupefacente e/o
per la mancata individuazione del cessionario, in un arco temporale che si
estende dal 7/10/2011 al 10/01/2012; in tutti i capi vi sarebbe un generico
riferimento quanto alle norme violate all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990; gli
elementi indiziari sarebbero costituiti da intercettazioni telefoniche caratterizzate
da linguaggio criptico e, in maniera apodittica, il tribunale avrebbe affermato la
decifrabilítà di detto linguaggio con espressioni del tipo “non pare seriamente
riferibile a rapporti leciti”, così violando quanto affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte; nessuna risposta sarebbe stata fornita dal tribunale quanto alla
mancante od incompleta indicazione delle norme violate, non potendo essere
rimessa all’indagato l’individuazione della norma incriminatrice entro cui
sussumere i fatti reato in questione, anche alla luce della mancata individuazione
della sostanza stupefacente (i soli quattro capi per i quali vi sarebbe riferimento
a cessioni di marijuana non potrebbero peraltro integrare la pretesa gravità

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imputazioni meglio descritte nell’ordinanza genetica e relative a diversi episodi di

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., in relazione afli artt. 275, comma 2, 292, lett. c) e 274, lett. c),
c.p.p., e correlati vizi di motivazione carente e manifestamente illogica.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza, in quanto, sostiene il
ricorrente, La stessa sarebbe viziata in punto di valutazione delle esigenze
cautelari; in particolare, si osserva, l’indagato aveva specificamente dedotto

recidiva (unica esigenza cautelare sottesa alla misura applicata), in particolare
sottolinenando l’assenza di qualsiasi fatto criminoso dal 2012 alla data di
applicazione della misura, evidenziando sul punto sia la risalenza della misura
cautelare del PM al 10/04/2014, ossia a 13 mesi prima dell’entrata in vigore
della legge n. 47 del 2015, sia l’incensuratezza dell’indagato, tenuto conto
dell’arco temporale n cui i fatti si sarebbero verificai dal 7/10/2011 al
10/01/2012, donde dall’ultimo fato di reato erano trascorsi,rispetto alla data di
emissione dell’ordinanza custodiale (30/06/2015) 3 anni e quasi 5 mesi; la
motivazione dell’ordinanza sarebbe dunque carente ed illogica in punto di
valutazione dell’attualità dell’esigenza cautelare, essendo tale requisito assorbito
da quello della concretezza, laddove, invece, si imponeva una rigorosa
valutazione del tempo trascorso dalla commissione dei reati unitamente
all’individuazione di circostanze sintomatiche delle occasioni prossime favorevoli
alla commissione nuovi reati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è solo parzialmente fondato.

4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione
di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee
direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio
prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli
elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte
Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent.
n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico
di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori
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l’assenza del duplice requisito della concretezza ed attualità del pericolo di

garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure
restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato
anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta
ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di
merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della

indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo
della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni
per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque
a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

5. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure
cautelari personali, per “gravi indizi di colpevolezza” devono intendersi tutti
quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in
nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità
dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che,
attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a
dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità
di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e
altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995,
dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep.
15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep.
03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep.
09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le
altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n.
31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n.
29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003,

Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n.

36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441
del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del
04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601). Si è, al riguardo,
affermato che, se la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di
colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo a integrare la condizione
minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del
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cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di

potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti,
dell’ipotesi accusatoria, è problema diverso quello delle regole da seguire, in
sede di apprezzamento della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., per la
valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U,
n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv.
234598).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del

1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il
richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un
espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

6. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia
denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento
emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare
natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto
dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del
tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del
17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del
12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del
22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del
22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500
del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre,
Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez.
1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n.
6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

7. Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi
riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed
esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle
stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del
20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

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condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma

Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in
tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il
provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale
provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo
di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze
motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni
addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008,

Panebianco R., Rv. 212685).

8. Premesso quanto sopra – e osservato che il perimetro del sindacato di questa
Corte è delimitato dall’impugnazione rivolta specificamente in ordine alla ritenuta
sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, cod. proc. pen., e,
genericamente, anche con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza per i reati
contesati – ritiene il Collegio che il motivo sia fondato solo sulla censura relativa
alla sussistenza delle esigenze cautelari, sotto il profilo dell’attualità delle stesse
(segnatamente di quella di cui alla lett. c) dell’art. 274 c.p.p., unica richiamata).

9. Quanto al primo motivo, con cui si censura l’ordinanza per una presunta
incompletezza nella descrizione dei fatti e nell’indicazione delle norme violate, al
fine di evidenziarne l’infondatezza, è sufficiente in questa sede distinguere il
grado di specificità richiesto in fase cautelare rispetto a quello richiesto in fase
successiva all’esercizio dell’azione penale.
Ed invero, l’art. 292, lett. b), c.p.p. prevede che l’ordinanza che dispone la
misura cautelare contiene, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio:

la

descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si
assumono violate;

la giurisprudenza di questa Corte ha interpretato la

disposizione in esame nel senso che il requisito della descrizione sommaria del
fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, previsto
dall’art. 292, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen., ha la funzione di
informare l’indagato circa il tenore delle accuse, al fine di consentirgli il pieno
esercizio del diritto di difesa, con la conseguenza che esso può dirsi soddisfatto
allorché le condotte addebitate siano indicate in modo tale che l’interessato ne
abbia immediata e sicura conoscenza, in ciò essendo sufficiente una sintetica e
sommaria enunciazione dei lineamenti essenziali della contestazione, senza la
necessità di specificare eventuali elementi di dettaglio (da ultimo: Sez. 6, n.
50953 del 19/09/2014 – dep. 04/12/2014, Patera, Rv. 261372).

6

Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998,

E ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, come del resto di desume
agevolmente dalla lettura dell’impugnata ordinanza che richiama, imputazione
per imputazione, la contestazione mossa all’indagato e gli elementi indiziari
fondanti la sussistenza del fumus dei reati, specificando le condotte addebitate al
ricorrente medesimo, donde nessun vizio è seriamente ravvisabile nel caso di

9.1. Quanto poi alla generica censura di inidoneità del materiale indiziario, in
particolare di quello costituito da intercettazioni telefoniche dal linguaggio
criptico, a sostenere la gravità indiziaria, al di là della genericità della censura
che non tiene conto della spiegazione fornita nell’impugnata ordinanza del
significato delle conversazioni oggetto di captazione, è sufficiente qui ricordare il
recente ed autorevole arresto delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui in
tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del
linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato,
costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la
quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si
sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 – dep.
28/05/2015, Sebbar, Rv. 263715). E, sotto tale profilo, la spiegazione fornita
dall’ordinanza impugnata si sottrae a qualsiasi censura di legittimità.

10. A diverso approdo deve invece pervenirsi quanto alla censura svolta nel
secondo motivo, che attinge l’ordinanza l’impugnata per non aver correttamente
valutato l’attualità dell’esigenza cautelare alla luce della remota verificazione dei
Colì
fatti (risalenti ad oltre 3 anni dall’ultimo dei fatti addebitati al ricorrente), tenuto
del comportamento successivo tenuto dall’indagato e dell’incensuratezza del
medesimo.
Sul punto, i giudici del riesame si limitano a condividere le argomentazioni del
GIP affermando che la misura sarebbe consona alla entità delle esigenze valutate
anche in relazione al

tempus commissi delicti (v. amplius,

pag. 13

dell’ordinanza); sul punto, tuttavia, le censure della difesa paiono del tutto
corrette, soprattutto alla luce della sopravenuta novella introdotta dalla legge n.
47 del 2015. Ed invero, già prima delle modifiche normative, le Sezioni Unite di
questa Corte ben avevano chiarito che in tema di misure cautelari, il riferimento
in ordine al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292,
comma secondo, lett. c) cod. proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il
profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al
tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare,
7

specie.

giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un
affievolimento delle esigenze cautelari. (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009 – dep.
20/10/2009, Lattanti, Rv. 244377; principio affermato in relazione a fattispecie
di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in relazione a fatti
commessi più di tre anni prima). Trattasi di orientamento cui, anche nel recente
passato, questa Corte ha inteso dare continuità e che, a maggior ragione deve
ritenersi oggi condivisibile, posto che in tema di misure coercitive, la distanza

tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare,
comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia
in relazione alla scelta della misura (da ultimo: Sez. 4, n. 24478 del 12/03/2015
– dep. 08/06/2015, Palermo, Rv. 263722). A ben vedere, dunque, la motivazione
dell’ordinanza impugnata se può ritenersi adeguata quanto alla scelta della
misura, non altrettanto appare quanto alla necessità della stessa in relazione
all’attualità dell’esigenza cautelare alla cui salvaguardia la misura stessa è
preordinata, non emergendo dall’impugnata ordinanza alcuna giustificazione
logico

giuridica a sostegno della necessità della sua applicazione nonostante i

fatti per cui si procede fossero risalenti (avuto riguardo all’ultimo di essi) al
10/01/2012, tenuto conto della data di emissione della misura, risalente al
30/06/2015.

11. L’impugnata ordinanza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al tribunale
di MESSINA, sezione per il riesame della misure cautelari personali, al fine di
sanare detto deficit motivazionale in punto di attualità dell’esigenza cautelare.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente alle esigenze cautelari,
con rinvio al tribunale di MESSINA, sezione per il riesame.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 25 novembre 2015

temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché

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