Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48701 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 48701 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– SCIURELLO GIUSEPPE IGNAZIO, n. 25/02/1961 a Paternò

avverso l’ordinanza del tribunale della libertà di CATANIA in data 5/05/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa P. Filippi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 5/05/2015, depositata in data 1/06/2015, il
tribunale del riesame di CATANIA confermava l’ordinanza del GIP presso il
medesimo tribunale del 10/02/2015 con cui l’indagato SCIURELLO GIUSEPPE
IGNAZIO veniva sottoposto alla misura cautelare detentiva carceraria per i reati

2. Ha proposto ricorso SCIURELLO GIUSEPPE IGNAZIO a mezzo del difensore
fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce un
unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.,
in relazione all’art. 273, comma 1 bis, c.p.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza, in quanto, sostiene il
ricorrente, il tribunale della libertà, nel ritenere sussistenti i gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato per il reato di distruzione, soppressione o
sottrazione di cadavere, avrebbe fondato il proprio giudizio unicamente sulle
dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie rese dal chiamante in correità Massimo
Distefano, omettendo tuttavia sulla attendibilità di quest’ultimo qualsiasi
motivazione, come invece impone la giurisprudenza di legittimità, alla luce del
disposto dell’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p.; censurabile, sul punto, sarebbe
l’affermazione del tribunale che ritiene mancante qualsiasi interesse del
Distefano ad accusare il ricorrente, atteso che, secondo la lettura operata in
ricorso dalla difesa dell’indagato, l’intento del dichiarante non era affatto quello
di ammettere il proprio coinvolgimento, quanto piuttosto quello di attenuare la
propria responsabilità in ordine all’omicidio di Pappalardo Massimo; il
coinvolgimento dell’indagato nel reato contestato sarebbe stato quindi del tutto
funzionale alle giustificazioni addotte dal Distefano per attenuare le proprie
responsabilità; in secondo luogo, il ricorrente svolge censure avverso
l’impugnata ordinanza per aver confermato la misura custodiale nonostante
l’assenza di qualsiasi elemento idoneo a riscontrare le dichiarazioni accusatorie
del Distefano; sul punto, non sarebbe idoneo riscontro la traccia emergente dal
tabulato telefonico della telefonata dell’8/03/2015 tra i due fratelli Sciurello,
telefonata pacificamente ammessa dall’indagato, ma spiegata in maniera diversa
da quella del tribunale (il fratello dell’indagato lo avrebbe chiamato chiedendo di

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di cui agli artt. 410 e 411 c.p. (capo c) dell’imputazione cautelare).

andarlo a prendere perché era rimasto a piedi con il Distefano, essendo
l’autovettura senza carburante), con spiegazione del tutto verosimile, anche
nella parte in cui l’indagato aveva dichiarato di aver prima riaccompagnato a
casa il fratello che sapeva essere agli arresti domiciliari, per poi successivamente
munirsi della benzina per riaccompagnare il Distefano a recuperare l’autovettura;
attesa la verosimiglianza della spiegazione alternativa, i giudici ne avrebbero
dovuto tener conto in sede di valutazione della chiamata in correità del

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione
di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee
direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio
prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli
elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte
Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent.
n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico
di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori
garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure
restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evìdenziato
anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta
ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di
merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della
cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di
indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo
della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni
per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque
a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

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Distefano, donde il grave difetto motivazionale che inficia l’impugnata ordinanza.

5. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure
cautelari personali, per “gravi indizi di colpevolezza” devono intendersi tutti
quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in
nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità
dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che,
attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a

di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e
altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995,
dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep.
15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep.
03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep.
09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le
altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n.
31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n.
29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n.
36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441
del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del
04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601). Si è, al riguardo,
affermato che, se la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di
colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo a integrare la condizione
minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del
potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti,
dell’ipotesi accusatoria, è problema diverso quello delle regole da seguire, in
sede di apprezzamento della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., per la
valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U,
n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv.
234598).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del
condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma
1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il
richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un
espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

6. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia
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dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità

denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento
emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare
natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto
dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del
tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano

17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del
12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatinì G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del
22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del
22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500
del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre,
Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez.
1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n.
6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

7. Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi
riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed
esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle
stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del
20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).
Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in
tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il
provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale
provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo
di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze
motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni
addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008,
Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998,
Panebianco R., Rv. 212685).

8. Premesso quanto sopra – e osservato che il perimetro del sindacato di questa
Corte è delimitato dall’impugnazione rivolta esclusivamente in ordine alla
ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto sub c), non
investendo il ricorso l’ordinanza nella parte in cui conferma la misura emessa dal
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l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del

GIP sotto il profilo della ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari di cui
all’art. 274, cod. proc. pen. – ritiene il Collegio che il motivo sia infondato.

9. Si è già visto, in sede di illustrazione del motivo, come la censura investa
esclusivamente l’ordinanza impugnata per un preteso vizio motivazionale in
relazione al disposto dell’art. 273, co. 1bis, c.p.p.; in sostanza, i giudici
avrebbero confermato il giudizio di gravità indiziaria sulle soliti, dichiarazioni del

attenuare la propria responsabilità e, perdipiù, in assenza di idonei riscontri alle
dichiarazioni del medesimo.
La questione dev’essere ovviamente valutata dal Collegio alla luce del sindacato
di legittimità sulla gravità indiziaria che questa Corte può svolgere, che, come
detto, tanto con riferimento all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex
art. 273 cod. proc. pen. che delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso
codice, è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della
motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, non concernendo
il controllo di legittimità nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del
giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei
dati probatori, con la conseguenza che sono inammissibili quelle censure che,
pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di
una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (v., da
ultimo: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014 – dep. 19/11/2014, Contarini, Rv.
261400).
Sotto tale profilo l’ordinanza impugnata ha confermato tale giudizio di gravità
indiziaria attraverso una logica ricostruzione degli elementi fattuali, che
convergono verso il coinvolgimento dell’indagato Sciurello Giuseppe in termini di
correità nel delitto di cui al capo c); in particolare, si legge nell’impugnata
ordinanza, l’inverosimiglianza della condotta tenuta dal ricorrente (piuttosto
motivata dalla consapevolezza di aiutare il fratello Ignazio ad eliminare le tracce
del delitto commesso), rapportata invece alla versione logica e lineare del
chiamante in correità Distefano che – secondo il tribunale – non aveva motivo di
accusare ingiustamente l’attuale indagato, a fronte del personale coinvolgimento
dello stesso dichiarante che aveva ammesso di aver appiccato lui il fuoco
all’autovettura del Pappalardo, non lasciavano dubbi sull’esistenza del gravi indizi
del coinvolgimento dell’indagato nel reato sub c); in particolare, tra gli elementi
valorizzati nell’ordinanza impugnata, particolare accenno viene posto
all’inverosimiglianza del racconto dell’indagato che, pur ammettendo di aver
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chiamante in correità Distefano, nonostante questi fosse interessato ad

ricevuto nel cuore della notte una telefonata dal fratello Ignazio che gli chiedeva
di andarlo a prelevare in aperta campagna prendendo una tanica di benzina per
rifornire l’auto del Distefano rimasta a secco, aveva cercato di sostenere di non
conoscere il reale motivo della richiesta di auto da parte del fratello, versione,
tuttavia, non creduta dal tribunale del riesame soprattutto per la sua assurdità
laddove questi aveva affermato di essere rimasto all’interno della sua auto in
attesa che il Distefano recuperasse la sua e, alla vista delle fiamme del mezzo

benché minima spiegazione di quanto accaduto, limitandosi a riaccompagnarlo a
casa.

10. Trattasi di ricostruzione fattuale, certamente basata sulla chiamata in
correità del Distefano rispetto alla quale riveste carattere individualizzante
l’elemento di riscontro costituito dalla telefonata ricevuta nel cuore della notte
dall’indagato da parte del fratello Ignazio – autore materiale del delitto del
Pappalardo unitamente al dichiarante Distefano -, telefonata rispetto alla quale le
dichiarazioni rese dall’indagato medesimo (pur ammissive della telefonata), sono
state coerentemente e logicamente ritenute inattendibili dal tribunale della
libertà per le ragioni esplicitate nel precedente paragrafo, così facendo venir
meno l’apparente spiegazione alternativa lecita, così rispettando i canoni dettati
dalla giurisprudenza di questa Corte sul punto (v., tra le tante: Sez. 6, n. 29425
del 09/07/2009 – dep. 16/07/2009, Marrazzo, Rv. 244472). Perdono, quindi di
spessore argomentativo le doglianze difensive circa l’esistenza di un presunto
vizio motivazionale, anche per quanto concerne la censura di inattendibilità del
dichiarante chiamante in correità in ordine all’interesse concreto che questi
avrebbe avuto ad attenuare la propria responsabilità in ordine al delitto di
omicidio, trattandosi, evidentemente, di una personale lettura da parte del
ricorrente di per sé inidonea a sminuire di valenza indiziaria le dichiarazioni del
propalante, indubbiamente autoaccusatosi non solo del concorso nell’omicidio ma
anche del reato di cui al capo c), non rilevando certo l’affermazione di essere
andato a distruggere il cadavere del Pappalardo in quanto c’era il fratello dello
Sciurello e per il timore che lo Sciurello lo uccidesse.
Risultano pertanto rispettati i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte
che, sul punto, hanno autorevolmente affermato che affinché la chiamata in reità
o correità possa assurgere a grave indizio di colpevolezza ai sensi dell’art. 273
cod. proc. pen. è necessario che la stessa sia corredata da riscontri esterni – non
necessariamente riferiti in modo specifico alla posizione soggettiva del chiamato,
poiché l’assenza di questo ulteriore requisito, nell’ipotesi in cui non risultino
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incendiato, non aveva nemmeno chiesto al Distefano al rientro in macchina la

elementi contrari al coinvolgimento di costui, non esclude, di per sè, anche per la
naturale incompletezza delle indagini, l’attendibilità complessiva della chiamata o quanto meno da un principio di riscontro di tale natura da confortarne la
portata accusatoria, essendo peraltro oggi ammessa, in materia cautelare,
l’applicabilità dell’art. 192 c.p.p..
Deve, peraltro, precisarsi che, alla luce della nuova disciplina di cui all’art. 273,
comma primo bis succitato, i gravi indizi non sono altro che “una prova allo stato

ancora

in itinere

e non è stato sottoposto al vaglio del contraddittorio

dibattimentale ed è precisamente questo aspetto dinamico e non la loro
differente capacità dimostrativa a contraddistinguerli rispetto alla prova idonea a
giustificare la pronuncia di condanna. La valutazione della chiamata in correità,
rimessa sempre al cauto apprezzamento del giudice di merito – insindacabile in
cassazione se non sotto il profilo della manifesta assenza o illogicità della
motivazione – deve svolgersi sotto un duplice profilo, intrinseco ed estrinseco.
Sotto il primo profilo, il giudice è tenuto ad apprezzarne la precisione, la
coerenza interna e la ragionevolezza, nonché a individuare il grado di interesse
dell’autore per la specifica accusa, alla stregua della sua personalità e dei motivi
che lo hanno indotto a coinvolgere l’indagato, avendo riguardo alla circostanza
che lo spessore dell’attendibilità intrinseca della chiamata, è certamente
influenzato dal tipo di conoscenza acquisita dal chiamante, variando secondo che
costui riferisca vicende alle quali abbia partecipato o assistito, ovvero che abbia
appreso “de relato” (e, nella specie, la conoscenza era diretta, con doppio
coinvolgimento del chiamante non tanto nel meno grave episodio di
occultamento di cadavere, ma piuttosto nel più grave delitto di omicidio, il che
determina il cedimento logico della tesi difensiva). Sotto il secondo profilo, il
giudice deve appurare se sussistano, o non, elementi obiettivi che la
smentiscano e se la stessa sia confermata da riscontri esterni di qualsiasi natura,
rappresentativi o logici, dotati di tale consistenza da resistere agli elementi di
segno opposto eventualmente dedotti dall’accusato (e, nella specie, il riscontro
costituito dalla telefonata, a fronte di una spiegazione inverosimile ed illogica
della stessa fornita dall’indagato, rende priva di pregio la tesi difensiva). Ne
consegue che soltanto quando l’indagine del giudice di merito abbia avuto un
esito positivo in ordine a entrambi i profili indicati la chiamata in correità integra
un grave indizio di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. (Sez. U, n.
11 del 21/04/1995 – dep. 01/08/1995, Costantino ed altro, Rv. 202001; Sez. 1,
n. 19867 del 04/05/2005 – dep. 25/05/2005. Lo Cricchio, Rv. 232601).

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degli atti”, valutata dal giudice allorché la formazione del materiale probatorio è

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11. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94,
comma 1 ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 25 novembre 2015

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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