Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48695 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 48695 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Hamja Astrit, nato in Albania il 25/6/1976

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Perugia in data
5-7/8/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Cesare Gai, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5-7/8/2015, il Tribunale del riesame di Perugia
rigettava il ricorso proposto da Astrit Hamja avverso il provvedimento emesso il
22/7/2015 dal Giudice per le indagini preliminari in sede, così confermando a suo
carico la misura cautelare della custodia in carcere; allo stesso era contestato il

Data Udienza: 10/11/2015

delitto di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver detenuto, a fine
di spaccio, oltre 3,2 kg. di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
2. Propone ricorso per cassazione l’Hamja, personalmente, deducendo – con
unico motivo – la violazione dell’art. 309, commi 9 e 10, cod. proc. pen..

Il

Tribunale, pur contraddicendo il G.i.p. quanto all’applicabilità, nel caso di specie,
del comma 10 citato, non ne avrebbe però tratto l’inevitabile conseguenza, e
cioè che il Giudice medesimo – avuta annullata la prima ordinanza per motivi
procedurali – avrebbe potuto emetterne una nuova soltanto con la motivazione

cautelari e fornendo di queste specifica motivazione. Quel che non si rinverrebbe
nel provvedimento del Giudice, a differenza di quanto affermato dal Tribunale del
riesame, per aver lo stesso redatto soltanto una motivazione “ordinaria”, non già
“rafforzata”, avendo previamente escluso l’operatività dell’art. 309, comma 10,
cod. proc. pen.; dal che, la nullità dell’ordinanza collegiale che, per contro,
avrebbe ravvisato in detti argomenti i requisiti di cui alla norma medesima.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che l’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.

(Riesame

delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva) – come novellato dalla I.
16 aprile 2015, n. 47 – stabilisce che “se la trasmissione degli atti non avviene
nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il
deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini
prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve
eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere
rinnovata”; la ratio della disposizione, come affermato sin dai primi commenti,
deve essere rinvenuta nella necessità che il procedimento di riesame avverso
misure coercitive – coinvolgendo la libertà personale – si svolga nel rispetto dei
brevi e perentori termini imposti dalla legge, sì da pervenire entro 10 giorni dalla
ricezione degli atti ad una delle decisioni di cui al comma 9 del medesimo articolo
(nei termini di una pronuncia di inammissibilità, annullamento, riforma o
conferma del provvedimento). Qualora ciò non accada, oppure l’ordinanza non
sia depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione assunta, oppure
ancora – a “monte” – gli atti non vengano trasmessi al tribunale entro 5 giorni
dall’avviso, il provvedimento genetico della misura perde efficacia, e non può
essere rinnovato; ciò in quanto non deve farsi gravare sul ricorrente, attinto da
una misura coercitiva in esecuzione, un qualsivoglia ritardo nella definizione del

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“rafforzata” di cui alla norma stessa, ravvisando cioè eccezionali esigenze

gravame che sia comunque ascrivibile agli uffici giudiziari e, in particolare, al
Collegio decidente.
Per espressa previsione normativa, poi, la disciplina così descritta fa in ogni
caso salva l’ipotesi in cui le esigenze cautelari abbiano una tale rilevanza e
portata da rendere comunque necessaria l’adozione di una nuova ordinanza
coercitiva, pur nella dichiarata inefficacia della precedente; in tal caso, però, ed
al fine di non vanificare il fondamento della previsione in esame, l’art. 309,
comma 10 citato richiede che tali esigenze rivestano carattere “eccezionale” e

Esige, in sintesi, una motivazione “rafforzata”.
4. Ciò premesso in termini generali, ritiene necessario il Collegio richiamare i
termini propri della specifica vicenda in oggetto: 1) Astrit Hamja viene tratto in
arresto il 1°/7/2015; 2) l’arresto viene convalidato, ed applicata la misura della
custodia in carcere; 3) il Tribunale del riesame, con ordinanza del 21/7/2015,
dichiara la nullità dell’udienza di convalida per omessa notifica dell’avviso ad uno
dei due difensori di fiducia, ordinando la liberazione dell’arrestato; 4) il pubblico
ministero sollecita quindi l’adozione di una nuova ordinanza restrittiva, emessa
dal G.i.p. di Perugia il 21-22/7/2015; 5) nel corpo di questa, il Giudice afferma
non ricorrere le citate condizioni di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.,
provvedendo, quindi, a stendere la motivazione del provvedimento soltanto in
forma “ordinaria”; 6) il Tribunale del riesame, investito del ricorso, contesta la
premessa del G.i.p., ravvisando invece i chiari presupposti di cui alla norma, ma,
ciononostante, conferma l’ordinanza impugnata, evidenziando che la particolare
gravità dei fatti ascritti all’Hamja e lo spessore criminale dallo stesso dimostrato
sostengono ex se le “eccezionali esigenze cautelari” di cui alla disposizione come
novellata dalla I. n. 47 del 2015.
Orbene, ritiene la Corte che il Tribunale del riesame abbia errato sul punto,
stendendo una motivazione contraddittoria con la quale, per un verso, ha
ritenuto comunque necessaria la motivazione “rafforzata” di cui sopra e, per altro
verso, ha riconosciuto la stessa in quella – palesemente “ordinaria”, per espressa
indicazione del G.i.p. – di cui all’ordinanza del 21-22/7/2015; la quale
motivazione, peraltro, deve essere confermata in questa sede.
Ed invero, la ratio della novella di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc.
pen., come sopra sinteticamente richiamata, non può condurre ad imporre una
argomentazione “rafforzata” anche in un caso come quello in esame, nel quale
non si è verificata alcuna inerzia dell’Ufficio a danno del soggetto sottoposto a
misura coercitiva, da sanzionare con l’inefficacia dell’ordinanza genetica, ma – ed
anzi – si è annullata l’ordinanza medesima per un vizio procedurale
eminentemente aderente all’esercizio delle facoltà difensive (mancata notifica ad

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che delle stesse il provvedimento dia “specifica motivazione”.

uno dei legali di fiducia); in questa occasione, dunque, il Tribunale del riesame
ha adottato una “decisione” nel pieno rispetto dei termini perentori di cui alla
norma in esame, e non si è quindi verificata alcuna delle ipotesi “patologiche” già
menzionate, che impediscono il rinnovo dello stesso provvedimento se non a
fronte di “eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate”.
Ne consegue che risultava adeguata e sufficiente la motivazione “ordinaria”
di cui all’ordinanza del G.i.p. 21-22/7/2015 (comunque confermata e ribadita dal
Tribunale), nel corpo della quale erano state compiutamente evidenziate le

1) nella più che rilevante quantità e qualità della sostanza sequestrata (3,2 kg. di
cocaina); 2) nelle caratteristiche di presentazione della stessa (ancora in blocchi
ad altissimo principio attivo e, dunque, «nella prima fase dello smercio»); 3) nel
conseguente, profondo inserimento dell’Hamja in circuiti criminali di elevato
spessore, peraltro con ruolo di sicuro rilievo, e piena fiducia goduta presso
fornitori di calibro. Sì da concludere che la misura custodiate risulta l’unica
idonea a soddisfare le ravvisate esigenze cautelari; quelle, cioè, che il Collegio
del riesame riconosce a fronte di chi, «custodendo chili di cocaina dal valore
commerciale elevatissimo, con gravissimi rischi (tra cui quello di perdere il
proprio lecito lavoro), ove scoperto, è sicuramente in contatto con ambienti
criminali di elevato spessore rispetto ai quali la detenzione domiciliare, seppur
aggravata, è strumento vistosamente inidoneo per difetto».
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art.
94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2015

onsigliere estensore

Il Presidente

esigenze cautelari a carico del ricorrente, ravvisate, con specifica motivazione:

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