Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48688 del 25/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48688 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 25/09/2013

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RHIAT MUSTAPHA N. IL 24/05/1988
avverso la sentenza n. 2895/2012RIBUNALE di PESARO, del
09/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

A

Motivi della decisione
Rhiat Mustapha ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
G.i.p. presso il Tribunale di Pesaro in data 9.01.2013, con la quale, ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, di un anno e
mesi otto di reclusione oltre la multa, in ordine alle contestate violazioni dell’art.
73, d.P.R. n. 309/1990.
L’esponente deduce la violazione di legge; osserva di dissentire dalle
parte richiama lo stato di semi-incensuratezza del prevenuto, la modestia del fatto
per cui si procede, il buon comportamento processuale e le attuali condizioni
personali del Rhiat, padre di famiglia.
Il ricorso è inammissibile.
Nel procedere all’esame del ricorso in oggetto, giova considerare che questa
Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della
motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato
dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica
che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod.
proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in
cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la
possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione,
anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non
ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27
marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena – che viene specificamente
in rilievo nel caso di specie – e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di
questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la
motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che
il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere
interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e
sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice
coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa

valutazioni effettuate dal giudice, in ordine alla congruità della pena. Al riguardo, la

Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che il giudice ha espressamente
rilevato che l’entità della pena richiesta dalle parti risultava complessivamente
adeguata, in riferimento da un lato alla concreta gravità del fatto – sussumibile
nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990 – dall’altro,
alla personalità dell’imputato, che aveva scelto lo spaccio di sostanze stupefacenti

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro
1.500,00 a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2013.

come sistema di vita.

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