Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4868 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4868 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROBERTO AMMIRATO, nato a Rossano (CS) il 5 luglio 1973
avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna in data 13 giugno 2014 (n.
99-100/2014 R.I.M.C./R. Bologna)
sentita la relazione del Consigliere Dott. Stefano Mogini
udite le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Francesco Mauro
Iacoviello, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile
udito l’Avv. Tiziana Zambelli, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto
1. Roberto Ammirato ricorre avverso l’ordinanza con la quale, in data 15 giugno 2014, il
Tribunale del riesame di Bologna ha confermato, con esclusione di alcuni beni intestati a
Corso Irene, il decreto di sequestro preventivo emesso il 15 aprile 2014 dal giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Bologna ai sensi dell’articolo 12 sexies D.L.
306/1992. L’ordinanza genetica era stata emessa nei confronti dell’Ammirato, indagato
per il delitto di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e plurime
cessioni di cocaina, e Corso Irene, convivente dell’attuale ricorrente e anch’essa
indagata per il reato associativo di cui all’art. 74 I.s., sul presupposto che i beni
sequestrati fossero stati acquistati con il provento dei traffici illeciti teste’ menzionati,

Data Udienza: 07/01/2015

per i quali nei confronti dell’Ammirato erano stati ritenuti gravi indizi di colpevolezza ed
era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere.

Considerato in diritto

1. Il ricorrente lamenta per mezzo del suo difensore violazione di legge con riferimento
agli articoli 125 e 321 cod. proc. pen. e 12 sexies L. 356/92. Il Tribunale avrebbe
violato il principio di correlazione temporale con riferimento all’immobile di proprietà del

acquistato dal ricorrente il 27 giugno 2002, mentre

il reato associativo di cui

all’imputazione è stato contestato “dal 2011 a oggi”. Il Tribunale non avrebbe poi
tenuto conto dei redditi leciti conseguiti dal ricorrente dal 2000 al 2004, a dimostrazione
dei quali era stata offerta documentazione, ed in particolare del corrispettivo della
vendita del Bar Pita, pari a 65.000,00 Euro, che il Tribunale attribuisce alla Pita s.n.c di
Ammirato Roberto e non già allo stesso Ammirato.

2. Il ricorso è inammissibile. Esso deriva infatti il denunciato vizio di violazione di legge da
una asserita, radicale carenza di motivazione, in realtà non ravvisabile nel
provvedimento impugnato. La motivazione dell’ordinanza in questione è infatti lungi
dall’essere del tutto carente e non presenta difetti tali da renderla meramente
apparente e in realtà inesistente, ovvero assolutamente inidonea a rendere
comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito oppure, ancora, caratterizzata
da linee argomentative talmente scoordinate e carenti di necessari passaggi logici da far
risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione sulla misura. Invero in tali
casi ben potrebbe ravvisarsi violazione di legge per mancata osservanza da parte del
giudice di merito dell’obbligo di provvedere con decreto motivato. Tale vizio non può
peraltro essere riscontrato, in nessuna delle forme teste’ descritte, nel provvedimento
impugnato. Esso risulta infatti dotato di adeguato percorso argomentativo, che
consente la necessaria verifica circa gli elementi ritenuti rilevanti ai fini del decidere, la
loro valutazione e la pertinenza logico-giuridica delle conclusioni adottate. In
particolare, contrariamente agli assunti del ricorrente, la lamentata violazione del
principio di correlazione temporale tra i fatti contestati e l’epoca di acquisto
dell’immobile sequestrato è contraddetta dal riferimento effettuato nell’ordinanza
impugnata alla circostanza che a fronte dell’acquisto dell’abitazione sita in Bologna,
Piazzetta Carlo Musi n. 13, l’Ammirato ha, nel 2002, contratto un mutuo quindicennale
di importo maggiore (114.000 Euro) dello stesso prezzo di acquisto (100.000 Euro) e al
fatto che, nonostante fosse sostanzialmente privo di redditi leciti e dedito al traffico di
sostanze stupefacenti sin dalla fine degli anni ’90 o dall’inizio del nuovo millennio, abbia
potuto comunque far fronte al pagamento dei ratei di rimborso, anche prima della

ricorrente e sito in Bologna, Piazzetta Carlo Musi n. 13. L’immobile è stato infatti

vendita del Bar Pita, avvenuta nel 2004. Del pari deve escludersi che dal provvedimento
impugnato sia dato evincere una motivazione meramente apparente circa le allegazioni
difensive riguardanti la vendita teste’ citata. A tal proposito, infatti, il Tribunale rileva in
primo luogo l’assenza di prova circa l’effettivo pagamento delle 37 rate mensili nelle
quali era stato frazionato il pagamento del residuo prezzo, pari a 60.000 Euro,
risultante a seguito del versamento da parte dell’acquirente, al momento della vendita,
di soli 5.000 Euro. Tali passaggi argomentativi appaiono invero idonei a giustificare anche nella prospettiva della confisca alla quale il sequestro in atto è finalizzato – il

il totale difetto di motivazione suscettibile di realizzare la violazione di legge denunciata
col ricorso. All’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 cod.
proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro 1000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 7 gennaio 2015.

provvedimento impugnato ed escludono che possa ritenersi integrato nel caso di specie

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