Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48658 del 25/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48658 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FESTANTE PEPPINO N. IL 22/02/1976
avverso la sentenza n. 1584/2009 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 10/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 25/09/2013

Motivi della decisione
Festante Peppino ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Catanzaro in data 10.05.2012, con la quale è stata
confermata la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Lamezia Terme in
data 4.06.2009, in ordine al reato di furto aggravato.
Con unico motivo la parte deduce la violazione di legge ed il vizio di
motivazione, in riferimento alla mancata esclusione della circostanza aggravante

oggetto del furto si trovavano, in realtà, non all’interno del parcheggio di un centro
commerciale, bensì in una specifica area chiusa, recintata e video sorvegliata.
Rileva, inoltre, che la natura dei beni asportati porta ad escludere che gli stessi
possano essere esposti alla pubblica fede.
Il ricorso è inammissibile.
Si osserva che l’esponente propone censure non consentite nel giudizio di
legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come
pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu ocu/i, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, la
Corte di Appello ha effettuato un coerente vaglio del complessivo compendio
probatorio, evidenziando, in particolare: che la presenza di un sistema di

della esposizione alla pubblica fede. La parte osserva che le pedane di legno

videosorveglianza, sul luogo teatro dei furti, non escludeva la sussistenza della
aggravante in parola, trattandosi di presidio inidoneo ad impedire la consumazione
dell’illecito, attraverso un immediato intervento ostativo; e che, nel caso di specie,
il prevenuto aveva infatti potuto asportare ripetutamente diverse pedane, nei tre
episodi criminosi oggetto di addebito, pur in presenza del sistema di
videosorveglianza. Orbene, si tratta di valutazioni del tutto coerenti, rispetto
all’insegnamento espresso, sul punto di interesse, dalla giurisprudenza di

dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo
in cui si consuma il delitto, di un sistema di videoregistrazione, che non può
considerarsi equivalente alla presenza di una diretta e continua custodia da parte
del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
35473 del 20/05/2010, dep. 01/10/2010, Rv. 248168).
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2013.

legittimità. Si è chiarito che, nel delitto di furto, la circostanza aggravante

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