Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48654 del 25/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48654 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
POLICARP PETRE N. IL 06/09/1975
avverso la sentenza n. 6720/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del
04/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 25/09/2013

Motivi della decisione
Policarp Petre ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Corte di Appello di Torino in data 4.05.2012, con la quale è stata confermata la
sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Torino in data 6.07.2011, in ordine
al reato di furto aggravato, in fattispecie tentata.
Con unico motivo la parte deduce il vizio motivazionale, in riferimento alla
mancata derubricazione del fatto in furto semplice. L’esponente contesta che

come abitazione; rileva che le dichiarazioni rese, al riguardo, dalla figlia dei custodi
dell’edificio, non provano che l’imputato avesse la consapevolezza di introdursi in
una abitazione privata. La parte ritiene che, illogicamente, i giudici di merito hanno
poi ritenuto che il prevenuto fosse consapevole della condizione di non abbandono
dell’edificio, sulla base delle dichiarazioni rese dal medesimo imputato, il quale
aveva dichiarato di avere visto, in precedenza, il tetto dell’edificio di cui si tratta, in
occasione di una festa pubblica.
Il ricorso è inammissibile.
Si osserva che l’esponente propone censure non consentite nel giudizio di
legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come
pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu °culi,

in quanto l’indagine di legittimità sul discorso

giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI

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l’edificio presso il quale è stato realizzato il tentativo di furto possa qualificarsi

sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, nel
caso di specie, la Corte di Appello ha effettuato un coerente vaglio del complessivo
compendio probatorio, evidenziando, in particolare, che non poteva trovare
accoglimento la richiesta difensiva di derubricazione del fatto, risultando accertato
che gli autori del tentativo di furto si erano introdotti in aree di pertinenza di
immobili destinati almeno in parte a privata dimora, secondo quanto riferito dalla
testimone oculare Siriano. Oltre a ciò, il Collegio ha rilevato: che lo stesso Policarp,

dell’edificio di cui si tratta; e che meritavano piena condivisione le considerazioni
svolte dal primo giudice, il quale aveva sottolineato che le caratteristiche esteriori
della struttura rendevano evidente la destinazione dell’immobile a pubblico ufficio.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2013.

in sede di convalida di arresto, aveva dichiarato di avere visto in precedenza il tetto

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