Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48643 del 25/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48643 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BANDOLO BENEDETTO N. IL 24/12/1948
avverso la sentenza n. 1646/2012 TRIBUNALE di PALERMO, del
20/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 25/09/2013

Motivi della decisione
Bandolo Benedetto ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del Tribunale di Palermo in data 20.04.2012, con la quale, ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine al reato
di furto aggravato. Il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale,
in riferimento alla congruità della pena. L’esponente rileva che il giudice si sia
limitato a richiamare alla pena concordata dalle parti.

Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena – che viene specificamente in rilievo nel caso di specie – e la sua sospensione,
la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle
Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a
struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti
valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione
censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal morriento
che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del
giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che il giudicante ha espressamente

Il ricorso è inammissibile.

considerato che, avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., la pena
concordata dalle parti doveva indubbiamente valutarsi congrua.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2013.

processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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