Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48641 del 04/12/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 48641 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Picozzi Gerardo, n. a Caserta il 20/8/1960
avverso la sentenza del 28/10/2015 della Corte di Appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Agnello Rossi,
che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso
udito per il ricorrente l’avv. Pierluigi Lorenti, in sostituzione dell’avv. Pierumberto Starace,
che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha disposto la
consegna di Picozzi Gerardo, cittadino italiano, all’Autorità Giudiziaria Francese in esecuzione
del mandato di arresto europeo emesso in data 24.9.2012 dal Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale penale di Strasburgo, a soddisfatta giustizia italiana. Nella sentenza si dà
atto che il Picozzi è stato condannato, con sentenza dell’11.9.2012, dal Tribunale Penale di
Strasburgo, alla pena di anni due di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle
costituite parti civili, per i reati di truffa, furto, falso commessi dal dicembre 2004 a gennaio
2009, meglio descritti nei capi di imputazione della predetta sentenza, emessa in contumacia
dell’imputato.
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Data Udienza: 04/12/2015

2. Il mandato di arresto europeo, emesso dal Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Strasburgo, concerne l’esecuzione della sentenza del Tribunale di Strasburgo e nel
relativo modulo si dà atto che l’interessato riceverà personalmente la notifica della sentenza,
dopo la consegna e che sarà espressamente informato del diritto di chiedere, entro dieci giorni,
un nuovo processo o proporre ricorso in appello, a cui avrà diritto di partecipare, processo che
permetterà di riesaminare il merito della causa, con la produzione di nuove prove e che potrà
condurre all’annullamento della decisione iniziale.
3. Avverso la sentenza, ricorre per cassazione il difensore del Picozzi articolando motivi di

sentenza impugnata ha disatteso principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano e del
giusto processo e, quindi, di rango costituzionale ai sensi dell’art. 111 Cost.. Denuncia, in
particolare, che il Picozzi non ha mai avuto conoscenza del procedimento penale incardinato
nei suoi confronti dal presso il Tribunale di Strasburgo non avendo ricevuto la notifica di atti
preliminari (assimilabili all’avviso di garanzia, all’ordine di comparizione per rendere
informazioni, o convocazione per essere interrogato dal Pubblico ministero, o chiusura della
indagini preliminari) e della citazione a giudizio, con conseguente nullità della sentenza; la
genericità e mancanza di precisione delle contestazioni ascritte al Picozzi,

relative alle

condotte di truffa ed alla indicazione delle persone offese (indicate solo numericamente); la
insufficienza del termine di impugnazione ovvero del termine nel quale chiedere un nuovo
processo o presentare ricorso in appello, termine che, anche tenuto conto della dedotta
genericità delle contestazioni, non consente di entrare nel merito delle vicende e, quindi,
presentare argomenti di difesa. Deduce, infine, che il mandato di arresto europeo in
esecuzione presenta i medesimi vizi di quello la cui esecuzione è stata rifiutata dal Tribunale di
Wiener Neustadt, poiché l’Autorità Giudiziaria Francese non aveva soddisfatto, in misura
sufficiente, l’invito a fornire informazioni sui diritti dell’imputato condannato in absentia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Sono, infatti, manifestamente infondate le dedotte violazioni di legge che investono la
sentenza della Corte di appello di Trieste che ha esaminato le eccezioni difensive – oggi
riproposte con i motivi di ricorso – offrendone una lettura conforme alle previsioni di cui all’art.
18 I. n. 69 del 22/4/2005. La conclusione alla quale la Corte di merito è pervenuta è in linea
con quella della giurisprudenza di legittimità che, in materia, ha ritenuto conforme ai principi
sul giusto processo il mandato di arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie francesi
sulla base di una sentenza di condanna pronunciata in contumacia, senza alcuna garanzia di
contraddittorio e di difesa, poiché l’ordinamento francese garantisce al condannato la
possibilità di chiedere, mediante opposizione, un nuovo giudizio nel rispetto del contraddittorio
e dei diritti di difesa (Sez. 6, sentenza n. 5400, del 30 gennaio 2008, Salkanovic, Rv 238332).
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impugnazione, con i quali deduce la violazione dell’art. 18 lett. v) L. 69/2005 perché la

Sebbene non sia ancora stato adottato nell’ordinamento italiano un atto legislativo idoneo a
dare esecuzione all’art. 4 bis, inserito nella decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea
2002/584 GAI con la decisione quadro 2009/299 del Consiglio dell’Unione Europea del
26.2.2009, pure richiamato nella decisione impugnata, il mandato di arresto europeo al quale
si è dato esecuzione contiene informazioni conformi alle previsioni della decisione quadro in
forza della quale sono state già apportate modifiche ai formulari da adottare ed alle quali,
ragionevolmente, si adatterà anche la legislazione italiana tenuto conto che con L. n. 114 del
9.7.2015 si è già conferita delega al Governo per la emanazione dei decreti legislativi in

riconoscimento di sentenze penali straniere.
3. Rileva il Collegio che non può essere condiviso l’inquadramento dei vizi denunciati dalla
difesa, richiamati con riferimento agli atti che regolano, nelle varie fasi processuali, il diritto di
difendersi personalmente e, quello strumentale, della compiuta contestazione dei fatti ovvero
quelle concernenti la previsione di un termine per l’opposizione o l’impugnazione della
sentenza di condanna posta a fondamento del mandato di arresto europeo, nel giusto motivo
di rifiuto di cui alla lett. v) dell’art. 18 I. 69 cit.. La norma richiamata dalla difesa, infatti,
contiene il riferimento a disposizioni della sentenza riferibili all’esecuzione del trattamento
sanzionatorio da eseguire, contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano,
laddove i principi e le regole contenuti nella Costituzione della Repubblica, attinenti al giusto
processo, sono oggetto di previsione nell’art. 2 della L. n. 69 del 22.4.2005. La giurisprudenza
di legittimità, per quanto concerne il rilievo delle garanzie costituzionali sul gíusto processo ex
art. 2, comma 1, lett. b, I. n. 69/2005, ha circoscritto in via generale l’incidenza delle clausole
di salvaguardia dei principi costituzionali nazionali, contenute nella legge attuativa, ai soli
principi comuni di cui all’art. 6 TUE ( cfr. Sez. U., sentenza n. 4614 del 30/1.2007, Rannoci, Rv.
235349). Secondo la Corte di cassazione, infatti, in un contesto di cooperazione giudiziaria
europea, sarebbe arbitrario ergere ogni previsione costituzionale interna a parametro della
legalità della richiesta di consegna e, in questa prospettiva, ai fini della decisione di consegna,
l’art. 2, comma 1, lett. b), della I. n. 69 del 2005 non richiede che l’ordinamento dello Stato
emittente presenti le stesse garanzie attinenti al “giusto processo” contenute nell’ordinamento
italiano essendo sufficiente, infatti, che esso rispetti i principi garantiti dalle Carte
sovranazionali e in particolare dall’art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo,
richiamato dall’art. 18, comma 1, lett. g), della I. n.69 del 2005. Si è, così, pervenuti alla
conclusione che non rileva, ai fini della decisione sulla consegna, il fatto che l’ordinamento
dello Stato emittente presenti garanzie che possano apparire, in tesi, meno soddisfacenti di
quelle dell’ordinamento italiano quanto alle specifiche norme che si ispirano ai principi di oralità
e del contraddittorio, ma è necessario che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte
sovranazionali, e, in particolare, dall’art. 6 della CEDU, cui si richiama l’art. 111 Cost..
4. Infondate sono le ulteriori deduzioni difensive secondo le quali sono inficiati da
genericità ed indeterminatezza i reati addebitati al Picozzi. Invero il controllo dell’autorità
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attuazione della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio in materia di esecuzione e

giudiziaria destinataria della richiesta di esecuzione del mandato di arresto europeo deve
intendersi limitato alla verifica che il mandato di arresto emesso all’estero, per il suo intrinseco
contenuto o per gli altri elementi raccolti in sede investigativa o processuale, sia fondato su un
“compendio indiziario” ritenuto dall’autorità giudiziaria emittente seriamente “evocativo” di un
fatto-reato commesso dalla persona di cui si richiede la consegna. Nel caso in esame, peraltro,
le deduzioni difensive si rivelano infondate alla luce della specificità – anche con riguardo alla
identità delle persone offese – nominativamente indicate nei capi di imputazione della sentenza
acquisita dalla Corte di appello di Trieste e posta a fondamento del mandato di arresto europeo

giudiziaria italiana in relazione alla richiesta consegna.
5. Né hanno pregio le deduzioni difensive che richiamano la decisione del 23.3.2015
dell’autorità giudiziaria austriaca che ha rifiutato la consegna del Picozzi perché l’autorità
giudiziaria francese non aveva soddisfatto, in misura sufficiente, l’invito a fornire informazioni
sul diritto dell’imputato a richiedere una nuova udienza o a proporre ricorso avverso la
sentenza pronunciata in assenza. Trattasi, infatti, di una valutazione meramente processuale
che non è suscettibile di assumere rilievo quale motivo di rifiuto di cui all’art. 18, lett. m), della
I. n. 69 del 2005 e, pertanto, non vincolante per l’Autorità giudiziaria italiana che, ha, invece,
compiuto un’autonoma valutazione, coerente con la legislazione anche di natura convenzionale
in materia e con l’esigenza di bilanciare il diritto al giusto processo, nella descritta
connotazione sovranazionale, con il principio della fiducia fra gli stati membri dell’Unione
europea che è alla base della cooperai zone fra autorità giudiziarie.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al pagamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, I. n. 69 del 2005.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2015
Il Consigliere relatore

Il Presidente

sentenza che, evidentemente, integra quest’ultimo ai fini delle verifiche demandate all’autorità

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