Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48565 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48565 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHIARUCCI DEVIS N. IL 14/11/1988
avverso l’ordinanza n. 26/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
12/05/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
lette/sentite le conclusioni del PGDott. ViYal
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Data Udienza: 22/10/2013

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Chiarucci Devis avverso l’ordinanza in
data 16.5.2011 della Corte di Appello di Roma con cui veniva rigettata la richiesta del
Chiarucci volta ad ottenere la somma di C 29.556,10, quale equa riparazione per
ingiusta detenzione sofferta agli arresti domiciliari dal 13.9.2008 al 17.3.2009, per i
reati coltivazione di piante di canapa indiana e detenzione di 15 dosi di marijuana, dai
quali era stato poi prosciolto dal Tribunale di Latina.
La reiezione dell’istanza era motivata dalla rilevata sussistenza della causa ostativa

causa alla misura con colpa grave, ravvisata nella sua condotta: egli, infatti, era stato
trovato dai carabinieri, nel corso di una perquisizione domiciliare, nell’abitazione, di
modeste dimensioni, di suo zio Carletti Riccardo, che lo ospitava da oltre un anno;
all’esito della perquisizione, erano stati rinvenuti all’esterno della casa quattro vasi
con piantine di canapa indiana, nonché, in un cassetto della cucina di uso comune,
quindici dosi già confezionate di stupefacente -canapa indiana- ed un bilancino di
precisione. Il ricorrente aveva protestato la sua innocenza, dichiarando la sua totale
estraneità ai fatti e giustificando la sua presenza presso l’abitazione dello zio come
temporanea, mentre si era accertato che viveva in quella casa da oltre un anno. Il
Chiarucci era stato prosciolto dalle accuse relative alla coltivazione e
commercializzazione dello stupefacente, perché non era stata raggiunta una prova
tranquillizzante in ordine al suo coinvolgimento.
La Corte territoriale, invece, sulla scorta di quanto osservato dal Tribunale del
riesame, ravvisava nella sua condotta una ipotesi di colpa grave, individuata nella sua
lunga coabitazione con lo zio, dedito al traffico oltre che alla coltivazione di
stupefacenti, in una casa nella quale non era possibile non accorgersi sia della
presenza dei quattro vasi di piantine di canapa all’esterno, sia e soprattutto della
sostanza nascosta nel cassetto della cucina di uso comune, circostanze poste a base
della decisione del tribunale del riesame per respingere la richiesta dell’istante di
riesame della misura cautelare.
Il ricorrente deduce il vizio motivazionale consistente nella carente ricostruzione e
valutazione della sua condotta, effettuata ispirandosi alla decisione del tribunale del
riesame ed ignorando la sentenza assolutoria di merito; ci si duole, inoltre, di una
interpretazione dell’art. 314 c.p.p. in contrasto con le norme della Convenzione dei
diritti dell’uomo.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per il
rigetto del ricorso.
E’ stata presentata una memoria nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle
Finanze ad opera dell’Avvocatura generale dello Stato.

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prevista dall’art. 314, comma 1, c.p.p per aver lo stesso richiedente concorso a dare

E’ stata depositata, altresì, una memoria difensiva nell’interesse del ricorrente con cui
vengono rappresentati nuovi motivi, deducendo ancora il vizio motivazionale, sul
presupposto che il giudice del dibattimento aveva fondato l’assoluzione sugli stessi
elementi disattesi dal GIP e dal Tribunale del riesame, nonchè la violazione dell’art.
314 c.p.p. e dell’art. 5 comma 5 CEDU.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
E’ opportuno premettere quanto all’asserito contrasto dell’art. 314 c.p.p. con l’art. 5,

presupposti di fondatezza della stessa, che questa Corte ha già rilevato, in proposito,
che “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, non si pone in contrasto con
l’art. 5, par. 5 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo la previsione dell’art.
314 cod. proc. pen. che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per
colpa grave, alla custodia cautelare subita, posto che l’indennizzo, come previsto dalla
fonte sopranazionale citata, spetta soltanto a chi sia stato “vittima” di una detenzione
in violazione dell’art. 5 cit.. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha altresì rilevato
che una diversa interpretazione della norma internazionale finirebbe per contraddire il
fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione e
comportare una violazione dell’art. 2 Cost) (Sez. IV, n. 35689 del 9.7.2009, Rv.
245311).
Orbene, questa Corte ha ritenuto che “in tema di riparazione per ingiusta detenzione
il giudice di merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il
giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto” (Cass. pen. Sez. Un.
26.6.2002 n. 34559, Rv. 222263).
Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 comma 1
c.p.p. va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere,
per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di
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comma 5 CEDU, a parte il rilievo che non sono stati esplicitati a sufficienza i

leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non
voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi
nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà
personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. IV, 15.2.2007, n. 10987, Rv. 236508).
Ritiene il Collegio che nel caso di specie l’ordinanza impugnata non abbia applicato
correttamente tali principi.
Invero, la motivazione della Corte territoriale non pone in evidenza una specifica
condotta gravemente colposa (e tanto meno dolosa) dell’istante, ma si limita a

abitava da oltre un anno e che era di modesta grandezza, sì che era facile accorgersi
dei vasi con piante di marijuana coltivate all’esterno nonché delle dosi già
confezionate che erano tenute nell’unico cassetto della cucina, utilizzata da tutti.
Ma, a ben vedere, si tratta di un comportamento meramente passivo, idoneo ad
integrare, al massimo, la connivenza del Chiarucci circa il reato di detenzione e
coltivazione dello stupefacente ascrivibile ad altri, come tale non punibile, ma non già
un concorso in detto reato.
Nel caso di specie, dunque, non è stato evidenziato alcun elemento concreto -diverso
dalla mera presenza in loco- che consentisse di ipotizzare un contributo partecipativo
del ricorrente -morale o materiale- alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto
il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un apporto concorsuale alla
realizzazione dell’evento illecito, sicchè il rischio che l’istante avrebbe accettato,
secondo la tesi propugnata del giudice a quo, rimane circoscritto a quella neutra
connivenza ma non può estendersi al coinvolgimento nella detenzione, a fini di
spaccio, dello stupefacente rinvenuto.
Il ricorso va, pertanto, accolto onde segue l’annullamento dell’ordinanza impugnata
con rinvio alla Corte di Appello di Roma alla quale si ritiene di rimettere anche il
regolamento tra le parti delle spese relative al presente giudizio.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma cui rimette
anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 22.10.2013

presumere la conoscenza della presenza dello stupefacente nella casa dello zio ove

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