Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4855 del 21/10/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4855 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SORECA FRANCESCO N. IL 22/02/1990
avverso il decreto n. 53/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
04/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMANUELE DI
SALVO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dett fa-et
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Data Udienza: 21/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Soreca Francesco ricorre per cassazione avverso il decreto emesso dalla Corte
d’appello di Napoli,iI4-6-2013, con cui è stato confermato il provvedimento
di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza , per la
durata di anni uno.
comma 1, lett. b) d. 1g. 159/11, nella parte in cui individua, quali soggetti
destinatari delle misure di prevenzione, coloro che, per la condotta ed il
tenore di vita, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano
abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, in relazione
agli artt. 13 e 25 Cost, per violazione del principio di legalità e tassatività della
fattispecie. Preziose indicazioni in tal senso sono desumibili, ad avviso del
ricorrente, dalle sentenze della Corte costituzionale n. 27 del 5-5-1959; n. 23
del 4-3-1964 e n. 177 del 22-12-1980.
2.1.Con II secondo motivo, il ricorrente deduce illegittimità costituzionale
dell’art. 7 d. Ig. 159/11, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. , nella parte in
cui tale norma rinvia, per la disciplina del procedimento di prevenzione,
all’art. 666 cod. proc. pen. e nega il diritto alla prova a discarico, come sancito
dall’ art. 495, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione del percorso di
progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento applicativo delle misure
di prevenzione, enucleabile, in particolare, dalle sentenze della Corte
costituzionale n. 76/1970, 69/1975, 283/2000 e 93/2010.
2.2.Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione degli artt. 678, 666 e
127 cod. proc. pen., perché l’avviso di fissazione dell’udienza di fronte al
Tribunale di Benevento non ha indicato la forma di pericolosità posta a
fondamento della richiesta. Il predetto avviso infatti è anche uno strumento di
contestazione dell’addebito prevenzionale, onde non è sufficiente il mero
richiamo all’art. 4 d. Ig. 159/11, norma che contempla una pluralità di ipotesi
di pericolosità, assai eterogenee fra loro.
2.3.Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta che nemmeno il decreto della
Corte d’appello di Napoli abbia indicato gli articoli di legge applicati e la
fattispecie di pericolosità posta a fondamento della decisione. Ragion per cui
il ricorrente è posto nell’impossibilità di verificare la corrispondenza della
propria condotta alla norma astratta, codificata dall’ordinamento. È stata

2. Con il primo motivo, il ricorrente deduce illegittimità costituzionale dell’art. 1,

dunque applicata una misura di prevenzione per una fattispecie inesistente, in
violazione dell’art. 4 d. Ig. 159/11.
2.5.Con il quinto motivo di ricorso, si denuncia vizio di motivazione poiché,
non essendo stata mai indicata la specifica fattispecie di pericolosità sulla
quale la decisione si fonda, è evidente che al giudice dell’impugnazione ed
allo stesso proposto è stata preclusa ogni valutazione sulla congruità della
motivazione, poiché manca, nel caso di specie, il paradigma di riferimento al
motivazione meramente apparente anche in merito alle questioni di
legittimità proposte.
2.6 Con il sesto motivo di ricorso, si deduce violazione del divieto di
reformatio in peius, poiché la Corte d’appello ha irrogato una misura più
grave rispetto a quella ordinata dal Tribunale, applicando l’obbligo di
soggiorno nel comune di residenza, senza che vi fossero elementi di fatto
nuovi o diversi che potessero in qualche modo giustificare l’aggravio. Non si
tratta nemmeno di un errore materiale, emendabile attraverso la procedura
di correzione di errore materiale.
Si chiede pertanto annullamento del provvedimento impugnato.
3.Con requisitoria depositata il 30 aprile 2014, il Procuratore Generale presso
questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento. Correttamente
infatti la Corte d’appello ha ricordato come la questione relativa alla
compatibilità dell’art. 1, comma 1, lett. b) d. Ig. 159/11 con i principi di
legalità e tassatività della fattispecie, di cui agli artt. 13 e 25 Cost, sia stata
reiteratamente esaminata e dichiarata non fondata o manifestamente
infondata sia dalla Corte costituzionale che dalla Corte di cassazione, con le
pronunce citate dal giudice a quo. Né è dato riscontrare nell’impianto
argomentativo proposto dal ricorrente profili di novità tali da indurre ad una
riconsiderazione delle ragioni a fondamento delle molteplici pronunce
reiettive.
2.Analoghe considerazioni ineriscono al secondo motivo di ricorso. Anche la
questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art 7 d. Ig. 159/11, in
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quale parametrare il vaglio. La Corte d’appello ha comunque formulato una

relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., è stata infatti affrontata e respinta da
questa suprema Corte, come ricordato dal giudice d’appello. In questa sede è
opportuno sottolineare, comunque, come nessun vulnus al diritto di difesa
possa dirsi arrecato dalla normativa in disamina , poiché l’art. 7, comma 9, d.
Ig. 159/11 rinvia all’art. 666 cod. proc. pen. e quest’ultimo prevede
espressamente, al comma 5, la possibilità, per il giudice, non solo di chiedere
alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia
contraddittorio, senza particolari formalità, anche per quanto concerne, a
norma dell’art. 185 disp. att. cod. proc. pen., la citazione e l’esame dei
testimoni e l’espletamento della perizia: mezzi di prova la cui assunzione è
dunque testualmente contemplata dalla norma, a conferma della latitudine
dei poteri istruttori del giudice, in questa fase. La legittimità di eventuali
interpretazioni restrittive al riguardo costituisce d’altronde questione di
natura ermeneutica, estranea all’ottica del giudizio di legittimità
costituzionale. Si consideri, comunque, che è giurisprudenza costante del
giudice delle leggi che le forme di esercizio del diritto di difesa possano essere
diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun
procedimento, allorché di tale diritto siano comunque assicurati lo scopo e la
funzione ( v. , ad es., Corte cost. sent. 22-6-2004 n. 321).
2. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso. Correttamente, infatti, sia la
Corte d’appello che il Procuratore generale presso questa Corte hanno
richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nel
procedimento di prevenzione, non si ha violazione del principio di
correlazione tra contestazione e pronuncia qualora gli elementi fattuali posti
a fondamento della prognosi di pericolosità, pur non essendo stati
espressamente enunciati nella proposta, siano stati acquisiti in
contraddittorio con l’interessato ( Cass., Sez 1 , n 11494 del 25-2-2009, Rv.
243494; Sez 1, 8-4-2013, n. 29966, RV. 256415) , come è avvenuto nel caso in
disamina.
4. Nemmeno le doglianze di cui al quarto e al quinto motivo di ricorso
possono trovare accoglimento. Non è infatti ravvisabile alcun profilo di
irritualità allorché l’interessato sia stato posto in grado di difendersi in ordine
agli elementi di fatto poi assunti a base della decisione (Cass. , Sez 1 2-121992 n. 4509; Cass. , Sez 1, 1-3-1993 n. 226). Orbene, nel caso di specie, la
Corte d’appello, richiamando anche la motivazione del decreto emesso dal
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bisogno ma anche di assumere prove, procedendo in udienza, nel rispetto del

,

Tribunale, ha puntualmente indicato, ben al di là dell’enunciazione degli
articoli di legge, agevolmente enucleabile dalla descrizione delle circostanze
di fatto su cui si fonda la valutazione di pericolosità, i lineamenti fattuali
del”addebito prevenzionale (le frequentazioni del Soreca con soggetti
appartenenti alla criminalità, ricollegabili alla realizzazione di condotte illecite;
i molteplici arresti del proposto, per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale,
rapina, lesioni, danneggiamento, spaccio di sostanze stupefacenti , anche a
prescrizioni connesse alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla
polizia giudiziaria). La difesa era pertanto perfettamente in condizioni di
conoscere le circostanze che i giudici di merito hanno posto a base del
provvedimento di prevenzione e quindi di esercitare appieno il diritto di
difesa, anche controdeducendo in merito all’estraneità di esse al paradigma
normativo di riferimento. Al riguardo, il richiamo ai predetti elementi fattuali
e , segnatamente , ai delitti per i quali il Soreca era stato arrestato è tale da
non lasciare dubbi in ordine al riferimento ad una pericolosità generica, non
essendo mai stata neanche ipotizzata dai giudici di merito la sussistenza di
elementi sulla base dei quali ravvisare una pericolosità qualificata.
5.L’ultimo motivo di ricorso è fondato. Dall’esame del dispositivo del
provvedimento di primo grado emerge infatti che era stata applicata la sola
misura della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, per la durata di un
anno. Non vi è alcun cenno all’obbligo di soggiorno. Erroneamente dunque la
Corte d’appello ha ritenuto che, con il decreto del Tribunale, fosse stata
applicato anche l’obbligo di soggiorno. Né , in mancanza di impugnazione da
parte del pubblico ministero, esso poteva costituire oggetto di una nuova
statuizione, emessa, per la prima volta, dalla Corte d’appello, a pena di
violazione del divieto di reformatio in peius. La sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno costituisce infatti non una
semplice modalità di esecuzione della misura della sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza, come ritenuto dal Procuratore generale presso questa
Corte, ma autonoma misura di prevenzione, indubbiamente più gravosa di
quella della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza semplice. Essa pertanto
non poteva essere disposta dalla Corte d’appello, onde tale statuizione è
illegittima.

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distanza di pochi mesi dalla revoca della misura cautelare; la violazione delle

6.11 decreto impugnato va pertanto annullato senza rinvio, limitatamente alla
statuizione relativa all’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, che deve
essere eliminata. Il ricorso va rigettato nel resto.

PQM

SOGGIORNO NEL COMUNE DI RESIDENZA, CHE ELIMINA. RIGETTA NEL RESTO IL RICORSO.

Così deciso in Roma, ali ‘udienza del 21-10-14 .

ANNULLA SENZA RINVIO IL DECRETO IMPUGNATO LIMITATAMENTE ALLA STATUIZIONE DELL’OBBLIGO DI

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