Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48542 del 28/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 48542 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PO MARILENA N. IL 31/03/1955
avverso la sentenza n. 2021/2013 TRIBUNALE di BOLOGNA, del
19/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
11-e-e
;
che ha concluso per r,/,-,–.4A-t–f-YD

\Udito, z_r_la-part~le, lAvv”)

Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Marilena Po, a mezzo del difensore avv. Luciano Bertoluzza, ricorre per
cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale gli è stata
applicata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. la pena di mesi sei di reclusione ed
euro 300 di multa per il reato di cui agli artt. 56, 624, 625, n. 4 e 7 cod. pen.,
commesso il 18.4.2013.
Deduce la violazione di legge e vizio motivazionale in relazione:
alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 7 cod.

pen., non risultando quale accertamento sia stato compiuto per potersi
concludere che la merce presente nell’esercizio pubblico dal quale venne
sottratta fosse esposta alla pubblica fede;
b) alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 4 cod. pen.,
non risultando quali elementi abbiano permesso di affermare che l’imputata
abbia commesso il reato con una particolare abilità. Sottrarre beni nel momento
in cui le commesse del negozio sono impegnate non integra l’aggravante in
parola;
c) alla validità della querela proposta, essendo la medesima proveniente dal
responsabile dell’esercizio commerciale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è parzialmente fondato.
2.1. Per assunto condivisibile, nel procedimento di applicazione della pena su
richiesta delle parti, le parti (anche quella pubblica) non possono prospettare con
il ricorso per cassazione questioni incompatibili con la richiesta di
patteggiamento, in particolare afferenti le prove risultanti dagli atti del
procedimento nonché la qualificazione giuridica del fatto risultante dalla
contestazione, in quanto l’accusa come giuridicamente qualificata non può essere
rimessa in discussione. Ne consegue che, una volta pronunciata la sentenza che
ha recepito l’accordo, sul quale il giudice ha preventivamente esercitato il suo
potere di controllo, le parti non possono più prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento alla applicazione delle circostanze ed alla entità della
pena, che non sia illegale. Né tale doglianza può essere formulata prospettando il
difetto di motivazione, in quanto, con l’accordo intervenuto tra loro, le parti
hanno implicitamente esonerato il giudice dell’obbligo di rendere conto (almeno
inter partes) dei punti non controversi della decisione, non potendosi pretendere
l’esposizione dei motivi di un convincimento che le parti stesse hanno già fatto
proprio (cfr. Sezione IV, 29 novembre 2006, Proc. gen. App. Genova in proc.
Antog netti).

2

a)

Con specifico riferimento alla deducibilità in cassazione di questioni che
attengono alla qualificazione giuridica del fatto, questa Corte ha precisato che in
tema di patteggiamento, tale deducibilità deve essere limitata ai casi di errore
manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si
trasformi in un accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui
la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità; inoltre, anche in questo
caso, la verifica sull’osservanza della previsione contenuta nell’art. 444, comma
secondo, cod. proc. pen. deve essere compiuta esclusivamente sulla base dei

dedotti nel ricorso (Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012 – dep. 02/04/2013,
Bisignani, Rv. 254865).

2.2. Orbene, avuto riguardo alla deduzione che concerne l’aggravante
dell’esposizione del bene alla pubblica fede, occorre rammentare che la
giurisprudenza di legittimità precisa che sussiste l’aggravante di cui all’art. 625,
comma primo, n. 7 cod. pen. – sub specie di esposizione della cosa per necessità
o per destinazione alla pubblica fede- nel caso in cui il soggetto attivo si
impossessi della merce sottratta dagli scaffali di un esercizio commerciale, in
presenza di una sorveglianza soltanto saltuaria da parte del detentore della res o
di altri per conto di quest’ultimo, nella specie gli addetti alle vendite, in quanto
tali, incaricati anche di servire i clienti. Infatti al fine dell’esclusione
dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede non è sufficiente che il fatto
avvenga occasionalmente nel momento in cui la persona offesa ne abbia diretta
percezione ma è necessario che la situazione sia tale per cui, salvo imprevisti,
detta percezione sia pressoché inevitabile (Sez. 5, n. 8019 del 22/01/2010 dep. 26/02/2010, Addyani, Rv. 246159).
Nel caso che occupa, la contestazione elevata dall’accusa esplicita che la Po
venne osservata nell’atto del prelievo della merce e del suo occultamento in una
borsa da un diverso cliente del negozio, carabiniere libero dal servizio e in abiti
civili, e non dal responsabile o da altri occupati nell’esercizio commerciale. Ciò
depone per la saltuarietà del controllo operato dagli addetti; va quindi escluso
l’errore manifesto nella qualificazione giuridica del fatto come circostanziato ai
sensi dell’art. 625, n. 7 cod. pen.; piuttosto, tale qualificazione risulta corretta.
Ne deriva la inammissibilità del motivo di ricorso.

2.3. La ricorrenza della menzionata aggravante evidenzia l’infondatezza del terzo
motivo di ricorso, che fa riferimento alla mancanza di una condizione di
procedibilità che rileverebbe solo ove il reato non fosse aggravato. Ed infatti l’art.

3

capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi

649 cod. pen. limita la procedibilità a querela al reato previsto dall’art. 624 cod.
pen.
Per completezza, va comunque ricordato che le sezioni unite di questa Corte
hanno precisato che la querela è validamente proposta anche dal responsabile
dell’esercizio commerciale presso il quale era detenuta la merce sottratta, poiché
il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella
proprietà o nei diritti reali personali o di
inteso come relazione di fatto

che non richiede la diretta fisica disponibilità –

configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando

esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche
al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di
conseguenza, la legittimazione a proporre querela (Sez. U, n. 40354 del
18/07/2013 – dep. 30/09/2013, Sciuscio, Rv. 255975).

2.4. Per contro, un errore manifesto si appalesa nella qualificazione giuridica che
rimanda alla circostanza aggravante della destrezza.
Tale circostanza ricorre, nel caso di tentato furto di merce esposta all’interno di
un esercizio commerciale quando le modalità della condotta si concretizzino in un
“quid pluris” rispetto all’ordinaria materialità del fatto-reato, dovendosi quindi
escludere l’aggravante in parola quando la condotta furtiva si concretizza nel
prelievo della merce esposta negli appositi scaffali e nel suo repentino
occultamento, così da sottrarla alla sorveglianza (in tal senso, Sez. 5, n. 26560
del 16/03/2011 – dep. 07/07/2011, Tini, Rv. 250921, con riferimento a DVD
posti in vendita in un supermercato).
Nel caso che occupa, la contestazione menziona il prelievo dagli scaffali e
l’occultamento nella borsa di 32 capi di abbigliamento femminile del complessivo
valore di euro 391,70, sia pure rilevando di tale condotta la “agilità, la sveltezza
di movimenti ed abilità”. Pertanto, il giudice del merito non ha fatto corretto
governo dei principi qui richiamati, valutando “corretta la qualificazione giuridica
dei fatti come descritta in imputazione”, ancorché in quest’ultima la condotta
dell’imputata sia stata descritta in termini riproducenti la mera materialità
dell’azione furtiva.

3. A quanto sin qui esposto, per il venir meno in radice dell’accordo intervenuto
tra le parti quanto alla pena, consegue l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Bologna per
l’ulteriore corso.

P.Q.M.

4

f

che si

godimento, ma anche nel possesso –

annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Bologna per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/11/2013.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA