Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48540 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48540 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Cagliari
nei confronti di:
Viola Leograziano n. il 3.9.1968; Di Gregorio Giosuè n. il 29.8.1970;
Fois Tiberio n. il 18.8.1959; Loccisano Giorgio Salvatore n. il 9.8.1959
inoltre:
Viola Leograziano n. il 3.9.1968; Di Gregorio Giosuè n. il 29.8.1970;
Argiolas Maurizio n. il 5.7.1972; Melis Salvatore n. il 18.3.1960; Melis
Mattia n. il 29.1.1985; Melis Antonello n. il 8.3.1976; Pilloni Simone
n. il 22.8.1972; Puddu Francesco n. il 16.11.1971; Vujic Slavoljub n. il
1.1.1960; Giotti Antonio n. il 8.6.1965; Melis Antonio n. il 22.3.1983;
Manca Alessio n. il 10.11.1978; Palmas Sergio n. il 16.10.1964; Pilloni
Alessandro n. il 11.2.1975; Sale Flavio Antonio n. il 23.2.1968; Piloni
Fausto n. il 8.10.1969
avverso la sentenza n. 34/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Cagliari il 18.5.2012;

Data Udienza: 21/11/2013

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visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udito il Procuratore Generale, in persona del dott. M. Galli, che ha
concluso, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore
Generale presso la Corte d’appello di Cagliari, per l’annullamento con
rinvio in relazione alle posizioni di Viola Leograziano, Di Gregorio
Giosuè, Fois Tiberio e Loccisano Giorgio Salvatore con riguardo al
reato di cui al capo 38) della rubrica; per l’annullamento con rinvio in
relazione alle posizioni di: Argiolas Maurizio limitatamente al reato
di cui al capo 22) della rubrica; Melis Antonello, limitatamente al
capo 34.31, secondo capoverso, della rubrica; Manca Alessio e Melis
Salvatore limitatamente ai capi 29.1 e 29.3 della rubrica, con il
rigetto, nel resto, dei ricorsi dei ridetti imputati; per il rigetto dei
ricorsi proposti da Viola Leograziano, Melis Mattia, Piloni Simone,
Palmas Sergio e Sale Flavio Antonio; per la dichiarazione
d’inammissibilità dei ricorsi proposti da Di Gregorio Giosuè, Melis
Antonio, Puddu Francesco, Piloni Alessandro, Giotti Antonio, Vujic
Slavoljub e Pilloni Fausto;
udito, per Giotti Antonio, Palmas Sergio e Puddu Francesco, l’avv.to
MA. Lisu del foro di Cagliari, che ha concluso per l’accoglimento dei
rispettivi ricorsi; per Loccisano Giorgio Salvatore e Di Gregorio
Giosuè, ravv.to V. Cotroneo del foro di Milano, che ha concluso per il
rigetto del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’appello
di Cagliari e per l’accoglimento del ricorso di Di Gregorio Giosuè; per
Viola Leograziano, l’avv.to F. Federico del foro di Roma, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso del
Procuratore Generale presso la corte d’appello di Cagliari e per
raccoglimento del proprio ricorso; per Vujic Slavoljub, l’avv.to L.
Pingitore del foro di Milano, che ha concluso per l’accoglimento del
proprio ricorso; per Manca Alessio, l’avv.to L. Sanna del foro di
Cagliari, che ha concluso per raccoglimento del proprio ricorso.

udita nell’udienza pubblica del 21.11.2013 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;

Ritenuto in fatto
i. — Con sentenza resa in data 11.3.2011, il giudice dell’udienza
preliminare presso il tribunale di Cagliari, tra le restanti statuizioni,
ha condannato Leograziano Viola, Giosuè Di Gregorio, Tiberio Fois,
Antonio Giotti, Mauro Atzori, Antonio Melis, Maurizio Argiolas, Slavoljub Vujic, Salvatore Melis, Alessio Manca, Sergio Palmas, Fausto
Piloni, Simone Piloni, Mattia Melis, Antonello Melis, Francesco
Puddu, Alessandro Piloni e Flavio Antonio Sale alle pene rispettivamente loro inflitte in relazione a una serie di reati concernenti il traffico di sostanze stupefacenti, nonché, in relazione ai soli Leograziano
Viola, Giosuè Di Gregorio, Tiberio Fois, Maurizio Argiolas, Giorgio
Salvatore Loccisano, Mauro Atzori, Antonello Melis, Antonio Melis,
Mattia Melis, Salvatore Melis, Sergio Palmas, Fausto Piloni, Simone
Piloni e Francesco Puddu, al reato di associazione per delinquere finalizzata al compimento di detto traffico, commessi, nei territori della provincia di Cagliari e, più in generale, della regione Sardegna, nei
luoghi e nei periodi di tempo specificamente indicati nei capi
d’imputazione ascritti a ciascun imputato.
Con sentenza in data 18.5.2012, la corte d’appello di Cagliari,
confermate integralmente le restanti statuizioni, ha assolto Leograziano Viola, Giosuè Di Gregorio, Tiberio Fois e Giorgio Salvatore Loccisano dal reato associativo loro ascritto, nonché lo stesso Leograziano Viola, Salvatore Melis, Sergio Palmas, Simone Pilloni e Francesco
Puddu da alcuni degli episodi criminosi ritenuti viceversa accertati
dal giudice di primo grado, rideterminando la pena nei relativi confronti, nonché nei confronti di Maurizio Argiolas, in considerazione
del relativo comportamento processuale.
Avverso la sentenza d’appello, anche a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati di
seguito indicati, nonché il procuratore generale presso la corte
d’appello di Cagliari.
Il procuratore generale presso la corte d’appello di Cagliari censura la sentenza impugnata in relazione alle sole posizioni di
Leograziano Viola, Giosuè Di Gregorio, Tiberio Fois e Giorgio Salvatore Loccisano per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’assoluzione di detti imputati dal reato associativo loro
ascritto ad esito del giudizio di primo grado.
In particolare, il procuratore ricorrente si duole che la corte
territoriale abbia escluso la sussistenza, a carico dei predetti imputa2.1. –

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ti, del delitto associativo in esame sulla base dell’assenza dell’elemento costitutivo rappresentato dal numero minimo degli associati.
In contrasto con tale prospettazione, il ricorrente rileva come,
con particolare riguardo alle posizioni del Viola, del Di Gregorio e del
Loccisano, la corte cagliaritana avrebbe contraddittoriamente trascurato il dato, pur dettagliatamente descritto dalla stessa corte, dell’intreccio delle relazioni soggettive tra gli imputati, espressivo del ricorso di un evidente vincolo organizzativo d’indole strutturale tra gli
stessi, peraltro già in tal senso valutato, in altro procedimento, dalla
corte d’appello di Milano (in relazione alle condotte che i tre imputati
avevano tenuto in Lombardia) e incidentalmente confermato dalla
stessa corte d’appello cagliaritana.
A giudizio del procuratore distrettuale, del tutto contraddittoriamente la corte territoriale avrebbe valutato in modo frazionato la
condotta degli imputati, ritenendo sussistente l’ipotesi criminosa associativa in relazione alle relative condotte tenute nel territorio lombardo, per ascrivere inspiegabilmente agli stessi la sola responsabilità
di concorso nei diversi reati-fine con riguardo alle attività poste in
essere nel territorio sardo.
Sul punto, nessun valore poteva essere riconosciuto alla ritenuta sporadica presenza del Loccisano in Sardegna, avuto riguardo
alla preponderante partecipazione d’indole morale di quest’ultimo al
sodalizio criminoso costituito con gli altri due imputati, come manifestamente attestato dai dialoghi intercettati dalle forze dell’ordine e
dalle risultanze dei servizi di pedinamento della polizia giudiziaria
partitamente richiamati in ricorso.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della sottovalutazione
in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nell’esame del ruolo rivestito da Tiberio Fois, dalla corte cagliaritana qualificato come soggetto
operante in autonomia, là dove lo stesso aveva viceversa manifestato
in modo inequivoco la propria adesione (sia pure in progresso di
tempo) all’accordo associativo dagli altri imputati già precedentemente definito: adesione agevolmente desumibile dalla complessiva
valutazione degli elementi di prova acquisiti al giudizio, viceversa sul
punto valutati, dalla corte territoriale, in modo inammissibilmente
isolato.
Da ultimo, il procuratore ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la valutazione, al fine di predicarne
la partecipazione quali associati al sodalizio criminoso oggetto di giudizio, di altri soggetti separatamente giudicati (identificabili, ad
esempio, in tale Accocci), incorrendo nell’asserito errore di diritto

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consistito nel ritenere non eseguibile un esame solo incidentale della
posizione di quei soggetti che, per ragioni processuali, risultano giudicati in altra sede, al solo fine di valutarne l’eventuale partecipazione
al vincolo associativo ascritto ai soggetti imputati nel procedimento
in corso.
Leograziano Viola censura la sentenza impugnata sulla
base di due motivi di ricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ricostruire
l’accertamento della responsabilità dell’imputato (in relazione ai singoli episodi criminosi allo stesso ascritti) sulla base di elementi di
prova del tutto insufficienti, consistiti nell’utilizzazione di un’erronea
chiave interpretativa delle relative conversazioni intercettate dal contenuto totalmente inadeguato a costituire riscontro di alcuna responsabilità dell’imputato oltre il limite normativo del ragionevole dubbio, avendo peraltro l’imputato fornito la prova dell’effettiva corrispondenza, del linguaggio utilizzato nel corso delle ridette conversazioni, al reale svolgimento di attività imprenditoriali sul territorio
sardo, e attesa l’intrinseca inattendibilità del riscontro costituito dalle
dichiarazioni rese dall’informatore Fonnesu, in considerazione dei
controversi pregressi rapporti economici dallo stesso intrattenuti con
l’imputato.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di
legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata in ordine alla commisurazione della pena allo stesso inflitta,
con particolare riguardo all’omessa specifica considerazione del comportamento processuale del ricorrente.
Con memoria pervenuta in data 5.11.2013, il Viola ha illustrato
motivi aggiunti al ricorso proposto in via principale, insistendo sul
rilievo concernente l’assoluta inidoneità del tenore del complesso delle conversazioni captate a carico del ricorrente a giustificare l’accertamento della relativa responsabilità in relazione alla commissione
dei reati allo stesso ascritti.
2.3. – Giosuè Di Gregorio censura la sentenza impugnata sulla
base di tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente si duole della violazione di
legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza
d’appello nella parte in cui ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato sulla base delle risultanze di conversazioni intercettate il cui

2.2. –

contenuto linguistico era stato oggetto di un’indebita ed erronea operazione interpretativa dei giudici del merito, stante l’assenza di qualsivoglia inequivoca riferibilità di dette conversazioni allo svolgimento
del preteso traffico di stupefacenti arbitrariamente dedotto nella decisione impugnata, avendo peraltro l’imputato fornito la prova della
differente alternativa spiegazione del lecito significato delle ridette
conversazioni.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento,
in favore dell’imputato, della circostanza attenuante relativa alla c.d.
ipotesi ‘lieve’ di cui al quinto comma dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90, dalla corte territoriale esclusa sulla base di una motivazione meramente
apodittica; circostanza attenuante il cui riconoscimento sarebbe stato
viceversa imposto dalla persistita incertezza circa l’effettiva entità del
fatto illecito riscontrato, anche in applicazione del principio del favor
rei ex art. 2 c.p..
Con l’ultimo motivo, il ricorrente si duole della violazione di
legge e dell’omessa motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza
impugnata in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio inflitto all’imputato, avendone i giudici del merito definito
l’entità in assenza di adeguata motivazione e in violazione dei criteri
positivamente imposti dall’art. 133 c.p., oltre che in contrasto con il
principio di parità di trattamento, essendo stata irrogata al Di Gregorio una pena identica a quella inflitta al correo Viola, a dispetto del
maggior numero di imputazioni a quest’ultimo concretamente ascritte.
2.4. – Maurizio Argiolas censura la sentenza d’appello sulla base di un’articolata serie di motivi.
In primo luogo, il ricorrente si duole della violazione di legge e
del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale per
aver negato la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado
d’appello in forza dell’erroneo presupposto costituito dal preteso carattere ostativo dell’originaria richiesta, avanzata dall’imputato, di
celebrare il processo nelle forme del giudizio abbreviato; richiesta
che, viceversa, l’Argiolas aveva condizionato all’assunzione delle prove dallo stesso proposte, con la conseguente insussistenza di alcuna
preclusione all’invocazione della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, dalla corte d’appello negata in assenza di alcuna motivazione.

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Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per aver affermato la responsabilità dell’imputato, in relazione ai singoli episodi criminosi allo stesso ascritti, sulla base del significato
probatorio asseritamente univoco delle relative conversazioni intercettate, il cui contenuto appariva viceversa suscettibile di giustificare
plausibili spiegazioni alternative a quelle fatte pregiudizialmente
proprie dalla corte d’appello, sul punto acriticamente uniformatasi
alle motivazioni dettate nella sentenza di primo grado, senza fornire
alcuna giustificazione in relazione alle corrispondenti censure argomentate dall’imputato.
Nel dettaglio, il ricorrente censura la sentenza impugnata in
relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato con riguardo al
reato di cui al capo 22) della rubrica, dalla corte territoriale ascritto
all’Argiolas sulla base di una travisata interpretazione del contenuto
delle conversazioni telefoniche intercorse con altri coimputati (tali
Bojken e Denotti), rispetto alle quali la posizione dell’Argiolas non
era emersa sotto alcun profilo in termini penalmente rilevabili, essendo rimasto financo incerta la riferibilità all’odierno imputato
dell’appellativo (‘Mauri’) asseritamente utilizzato per nominarlo.
Allo stesso modo, del tutto priva di fondamento deve ritenersi,
ad avviso del ricorrente, la condanna dell’imputato pronunciata in
relazione al reato di cui al capo 26) della rubrica, avendo la corte
d’appello sul punto totalmente omesso di dettare alcuna motivazione,
nella specie esaurita in sporadici e inconsistenti passaggi privi di alcuna effettiva concretezza probatoria idonea a sostenere la decisione
al riguardo assunta dalla corte territoriale.
Parimenti errata, da ultimo, deve ritenersi, secondo la lettura
del ricorrente, la sentenza d’appello nella parte in cui ha confermato
la responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui al capo 24)
della rubrica, dai giudici del merito ascritto all’Argiolas sulla base del
contenuto di conversazioni telefoniche in nessun modo ricollegabili al
traffico degli stupefacenti, siccome realmente intercorse tra i dialoganti con riferimento al mondo dei motori al quale l’Argiolas, quale
appassionato, era da lungo tempo personalmente legato.
2.5. – Salvatore Melis, Mattia Melis e Simone Pilloni impugnano con un unico ricorso la sentenza d’appello censurando la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui la stessa sarebbe incorsa nel
pronunciare la condanna dei ricorrenti in relazione al reato associativo di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309/90.

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In particolare, i ricorrenti si dolgono della mancata verifica, ad
opera della corte territoriale, dell’effettivo ricorso dell’elemento soggettivo del reato de quo, avendo la corte d’appello trascurato di accertare la concreta sussistenza della coscienza e volontà di ciascun agente di partecipare al sodalizio criminoso agli stessi ascritto, a tal fine
dovendo ritenersi insufficiente la sola prova della commissione, da
parte di ciascun imputato, dei singoli reati-fine, apparendo viceversa
indispensabile l’accertamento, nella specie mancato, della specifica
volontà di ciascun partecipante di apportare il proprio concreto contributo alla realizzazione delle finalità del gruppo criminale, nella
consapevolezza del ricorso del concorrente apporto altrui.
Sotto altro profilo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver riscontrato la responsabilità degli imputati in relazione ai
singoli reati-fine attraverso un mero richiamo per relationem alle
motivazioni della sentenza di primo grado, senza alcun ulteriore apporto critico idoneo a superare le corrispondenti censure articolate in
chiave difensiva da ciascuno dei ricorrenti, con particolare riguardo
all’insuperata equivocità delle conversazioni intercettate intercorse
tra gli imputati.
Da ultimo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per
vizio di motivazione in relazione alle confische disposte a carico di
Salvatore Melis ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. n. 306/92, essendosi la
corte d’appello limitata al mero richiamo delle motivazioni esposte
nella sentenza di primo grado, senza approfondire il proposto tema
della lecita formazione del patrimonio dell’imputato, al di là dalle
immotivate prospettazioni concernenti le presunte evasioni fiscali
allo stesso contestate.
2.6. — Antonello Melis censura la sentenza impugnata per vizio
di motivazione con riguardo al riconoscimento della relativa responsabilità in ordine al reato di cui al capo 34.31) dell’imputazione, per
avere la corte territoriale ignorato l’esame delle deduzioni difensive
illustrate dall’imputato, attraverso le quali era stata evidenziata
l’insussistenza del fatto contestato nel secondo capoverso
dell’imputazione.
Sotto altro profilo, l’imputato censura la sentenza impugnata
in relazione alla riconosciuta responsabilità dello stesso per il reato di
cui al capo 34.45) dell’imputazione, attesa l’illogica e manifesta contraddittorietà delle conclusioni raggiunte dalla corte d’appello in ordine al significato delle conversazioni intercettate indicate a fondamento della ritenuta responsabilità dell’imputato.

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Con riguardo al reato di cui al capo 34.56) dell’imputazione, il
ricorrente si duole della manifesta illogicità della motivazione della
sentenza d’appello, nella parte in cui ha omesso di dare atto
dell’inequivocabile estraneità dell’imputato alla specifica vicenda
esaminata, viceversa attestandone la responsabilità in assenza di alcun elemento di riscontro concretamente valutabile a tal fine.
Quanto infine all’ipotesi criminosa associativa di cui al capo
38-c) dell’imputazione, il ricorrente si duole del ritenuto riconoscimento, ad opera della corte d’appello, di elementi di prova nel loro
complesso idonei a fornire un adeguato riscontro in ordine alla consapevolezza, da parte dell’imputato, d’essere inserito in un più ampio
contesto plurisoggettivo, in assenza di conferme probatorie riferibili
al preteso collegamento dell’imputato con altri correi o all’eventuale
connessione degli occasionali episodi criminosi ascritti al Melis rispetto al reato associativo allo stesso infondatamente contestato.
2.7. – Francesco Puddu, con due distinti ricorsi, censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione con riguardo al riconoscimento della relativa responsabilità per il reato associativo allo stesso
ascritto.
In particolare, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia fondato la condanna pronunciata a suo carico sulla base di elementi probatori inconsistenti ed equivoci, privi di obiettivi riscontri e
nel loro complesso inidonei a giustificare il raggiungimento, oltre
ogni ragionevole dubbio, della prova relativa alla partecipazione al
sodalizio criminoso allo stesso contestata, attesa, tra l’altro, l’assoluta
mancanza di conversazioni telefoniche intercettate riguardanti il
Puddu e l’assoluta equivocità o inconferenza del contenuto delle relative sporadiche conversazione tra presenti nella specie captate.
Del pari priva di alcun riscontro deve ritenersi, ad avviso del
ricorrente, la circostanza relativa alla consapevolezza dell’imputato in
ordine all’esistenza dell’associazione e alla volontà di farvi parte,
avendo peraltro la stessa corte territoriale illogicamente ricostruito la
partecipazione a detta associazione, da parte del Puddu, sulla base di
una contraddittoria considerazione dell’elemento cronologico diversamente valutato in relazione alla posizione di altri coimputati.
Con il secondo ricorso, personalmente proposto, il Puddu reitera le censure riferite alla contraddittorietà e alla manifesta illogicità
della motivazione della sentenza impugnata, con particolare riguardo
al radicale difetto di prova in ordine alla partecipazione dello stesso al
sodalizio criminoso contestatogli e alla pretesa attività di spaccio di

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2.8. – Slavoljub Vujic censura la sentenza impugnata sulla base
di due motivi di ricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente si duole della violazione di
legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata con riguardo alla ritenuta responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui al capo 26) della rubrica, asseritamente consistito nell’illecita offerta in vendita di sostanza stupefacente.
Sul punto, l’imputato contesta l’accertamento della propria responsabilità, siccome avvenuto sulla base dell’equivoco e irriducibilmente generico contenuto di dialoghi intercettati privi di alcuna concreta valenza rappresentativa, nonché sulla base di un servizio di pedinamento destinato a monitorare un incontro tra l’imputato e un altro correo, in realtà mai avvenuto.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui ascrive all’imputato la condotta criminosa consistita nell’offerta in vendita di sostanza stupefacente, senza alcuna
prova che l’imputato avesse mai posseduto concretamente la merce
asseritamente offerta in vendita, né che tale offerta vi fosse effettivamente mai stata, di là dal compimento di meri atti preparatori nella
specie penalmente irrilevanti.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche e alla relativa prevalenza sulle
circostanze aggravanti contestate, nonché in ordine all’eccessiva severità del trattamento sanzionatorio irrogatogli.
2.9. – Antonio Giotti censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale pronunciato la condanna dell’imputato a titolo di tentativo nell’acquisto
della sostanza stupefacente messa in vendita da altro soggetto, quale
venditore, pur essendo stato allo stesso ricorrente formalmente contestata, nel relativo capo d’imputazione, la diversa ipotesi del concorso, con il venditore, nel delitto di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309/90, con
la conseguente erroneità nell’esatta qualificazione giuridica del fatto
allo stesso ascritto e nella corretta distinzione tra le due posizioni
considerate.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell’erroneità in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nella determinazione della pena ir-

sostanze stupefacenti nella specie accertata in assenza di alcun concreto e obiettivo riscontro probatorio.

rogatagli, poiché, pur avendo la corte d’appello preso atto dell’erronea attribuzione all’imputato, da parte del giudice di primo grado, di
un reato consumato, a fronte di una contestazione riferita all’ipotesi
del tentativo, la stessa corte avrebbe illogicamente confermato la sentenza del primo giudice sostenendo come quest’ultima non potesse
che riferirsi alla contestazione relativa al reato tentato, in tal senso
ingenerando il fondato convincimento che la diminuzione prevista
per l’ipotesi del tentativo non fosse stata in concreto applicata in favore dell’imputato; e tanto, anche in considerazione della valutazione
comparativa del trattamento sanzionatorio irrogato a carico del ricorrente rispetto a quello riservato ad altri coimputati.
Antonio Melis contesta l’accertamento della responsabilità riconosciuta a carico dello stesso in relazione ai reati contestatigli, siccome comprovati sulla base del contenuto di intercettazioni
telefoniche dal significato irriducibilmente equivoco e solo arbitrariamente interpretato dai giudici del merito nel senso della partecipazione dell’imputato al traffico di stupefacenti ascrittogli, senza il ricorso di alcun idoneo elemento di obiettivo riscontro probatorio.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell’omesso riconoscimento, in proprio favore, della circostanza attenuante di cui al
quinto comma dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90, dai giudici del merito
escluso sulla base di un’illogica motivazione.
2.10. –

Alessio Manca propone impugnazione in forza di due
distinti ricorsi.
Con il primo motivo del primo ricorso, l’imputato censura la
sentenza impugnata per violazione della legge sostanziale e processuale, con particolare riferimento alle nullità prodottesi nel corso del
giudizio in relazione alla genericità delle imputazioni sollevate nei relativi confronti sin dall’originaria richiesta di giudizio immediato
avanzata dalla pubblica accusa; nullità erroneamente giudicate inesistenti, dalla corte territoriale, e in ogni caso sanate dalla richiesta
dell’imputato vòlta alla celebrazione del processo nelle forme del rito
abbreviato.
In particolare, il ricorrente si duole della circostanza costituita
dall’assoluta impossibilità di desumere, dal contenuto delle conversazioni intercettate a carico dell’imputato, le specifiche occorrenze (anche spazio-temporali) dei singoli fatti allo stesso contestati, con la
conseguente impossibilità per lo stesso di procedere all’impostazione
di un’adeguata difesa a tutela delle proprie ragioni.
2.11. –

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Quanto al preteso effetto abdicativo asseritamente implicito
nella scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato, il ricorrente
rileva, in contrasto con la decisione sul punto adottata dalla corte
d’appello, come le conseguenze di detta scelta sul rito non possano in
alcun modo ritenersi tali da determinare la sanatoria delle nullità assolute prodottesi nel corso del giudizio, come nella specie avvenuto
con riguardo alla dedotta genericità delle imputazioni sollevate.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla
sussistenza della prova dei reati allo stesso ascritti, avendone i giudici
del merito riscontrato il ricorso sulla sola base del contenuto di conversazioni intercettate dal tenore del tutto equivoco, erroneamente
interpretato e privo di alcun obiettivo riscontro probatorio di carattere esterno, in ipotesi idoneo a rendere manifesta l’avvenuta obiettiva
concretizzazione degli eventuali propositi criminosi rinvenuti
dall’ascolto delle predette conversazioni.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver irragionevolmente e immotivatamente attribuito una diversa efficacia probatoria ai contenuti delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento della condanna pronunciata, rispetto a quella attribuita alle
conversazioni di analogo tenore relative alle ipotesi per le quali
l’imputato è stato viceversa assolto.
Con il quarto motivo, il ricorrente si duole della violazione di
legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, per la mancata indicazione dei criteri adottati nella valutazione delle prove a discarico addotte dalla difesa e per la mancata
enunciazione delle ragioni della ritenuta inattendibilità delle stesse,
con particolare riguardo alle deposizione resa dalla teste Giustina
Leonardi e ai relativi riscontri documentali forniti.
Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla
determinazione della pena in concreto irrogata all’imputato e alla
mancata concessione della circostanza attenuante di cui al quinto
comma dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90.
Con il secondo ricorso, il Manca ribadisce le censuri avanzate
nei confronti della sentenza impugnata in relazione ai vizi di motivazione in cui la stessa sarebbe incorsa, con particolare riguardo
all’erronea interpretazione delle conversazioni intercettate a carico
dell’imputato, da parte della corre territoriale: interpretazione nella
specie smentita dal contrastante contenuto delle dichiarazioni rese

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dalla teste Giustina Leonardi e dalla documentazione prodotta a conferma delle stesse, infondatamente ritenute inattendibili dal giudice
d’appello.
Sergio Palmas propone ricorso sulla base di tre motivi
d’impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla
condanna pronunciata a carico dell’imputato con riguardo al delitto
di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
In particolare, il Palmas si duole che la corte territoriale abbia
individuato una prova decisiva della partecipazione dell’imputato al
sodalizio criminoso nel contenuto di una conversazione, oggetto
d’intercettazione ambientale, intercorsa tra terze persone (Salvatore
Melis e Simone Pilloni), senza alcun riscontro in ordine all’effettivo
coinvolgimento del Palmas, tanto sul piano obiettivo, quanto su quello relativo alla consapevolezza e alla volontà dell’imputato di far parte
dell’illecita associazione, ed in presenza di elementi probatori, forniti
o indicati dallo stesso imputato, dai quali era possibile desumere la
falsità delle dichiarazioni indizianti rese dal Melis nel corso di detta
conversazione.
Sotto altro profilo, il ricorrente denuncia l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha assolto l’imputato da alcuni dei reati-fine allo stesso contestati, sulla base di conversazioni telefoniche ritenute inidonee a provarne la consumazione,
senza tuttavia desumerne in seguito le coerenti conseguenze sul piano della mancata prova della predisposizione di una struttura associativa destinata al traffico di stupefacenti, dei cui elementi costitutivi
essenziali (oltre che del concreto contributo ‘tipico’ ad essa pretesamente fornito dal Palmas) non era stato fornito alcun obiettivo riscontro probatorio.
Con il secondo motivo, l’imputato censura la sentenza impugnata per violazione della legge sostanziale e processuale, con particolare riferimento alle nullità prodottesi nel corso del giudizio in relazione alla genericità delle imputazioni sollevate nei relativi confronti sin dall’originaria richiesta di giudizio immediato avanzata dalla
pubblica accusa; nullità erroneamente giudicate inesistenti, dalla corte territoriale, e in ogni caso sanate dalla richiesta dell’imputato vòlta
alla celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato.

2.12. –

In particolare, il ricorrente si duole della circostanza costituita
dall’assoluta impossibilità di desumere, dal contenuto delle conversazioni intercettate a carico dell’imputato, le specifiche occorrenze (anche spazio-temporali) dei singoli fatti allo stesso contestati, con la
conseguente impossibilità per lo stesso di impostare un’adeguata difesa a tutela delle proprie ragioni.
Quanto al preteso effetto abdicativo asseritamente implicito
nella scelta del rito abbreviato, il ricorrente rileva, in contrasto con la
decisione sul punto adottata dalla corte d’appello, come le conseguenze di detta scelta sul rito non possano in alcun modo ritenersi
tali da determinare la sanatoria delle nullità assolute prodottesi nel
corso del giudizio, come nella specie avvenuto con riguardo alla dedotta genericità delle imputazioni sollevate.
Contro il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della legge sostanziale e processuale e vizio di
motivazione, in relazione alla prova dei singoli reati-fine ascritti
all’imputato, dai giudici del merito ritenuta sussistente pur in assenza
di effettivi e idonei riscontri obiettivi, con particolare riguardo agli
episodi criminosi di cui ai capi 34.14,34.15 e 34.53 della rubrica.
2.13. – Alessandro Pilloni censura la sentenza impugnata per
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione
della relativa responsabilità in ordine ai reati ascrittigli, in assenza di
idonei elementi istruttori di riscontro, avendo l’imputato fornito adeguate spiegazioni alternative attendibili in ordine al contenuto dei
dialoghi captati dalla polizia giudiziaria, come peraltro confermato
dalle evidenze investigative allegate al fascicolo del giudizio abbreviato.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell’erroneità della
pronuncia impugnata nella parte in cui ha omesso di applicare, in favore dell’imputato, le circostanze attenuanti generiche (pur allo stesso riconosciute) nella loro massima estensione, senza alcuna adeguata motivazione sul punto.
2.14. – Flavio Antonio Sale propone ricorso sulla base di due
motivi di impugnazione.
Col primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione della legge processuale, con particolare riguardo all’incompetenza territoriale del tribunale di Cagliari a conoscere degli
episodi criminosi contestati al Sale, siccome commessi nel territorio
circondariale di pertinenza del tribunale di Nuoro.

14

Sul punto, il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione assunta dal giudice di primo grado, fondata sull’implicita rinuncia alla
sollevata eccezione d’incompetenza contenuta nella richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato, ed altresì l’erroneità della decisione al riguardo adottata dalla corte d’appello, avendo quest’ultima
immotivatamente e infondatamente ritenuto operante sul punto la
vis actrativa dei reati commessi da altri correi (giustificativi della
competenza distrettuale), siccome legati da vincoli di obiettiva connessione con gli specifici episodi criminosi contestati al Sale.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel riconoscere
la responsabilità penale dell’imputato in relazione a fatti ritenuti
comprovati sulla base di conversazioni telefoniche intercettate (dal
contenuto peraltro incerto ed equivoco) intercorse tra soggetti terzi
rispetto ai quali il Sale sarebbe rimasto totalmente estraneo, salva
l’irrilevante ed estrinseca circostanza costituita dall’incontro tra
l’imputato e tale Marco Ledda individuato quale trasportatore (in accordo con Salvatore Melis) dello stupefacente pretesamente destinato
all’odierno ricorrente; circostanza, sua volta suscettibile di essere diversamente spiegata in ragione dei pregressi leciti rapporti di conoscenza e frequentazione tra il Sale e Salvatore Melis.
2.15. — Fausto Pilloni propone impugnazione sulla base di due
motivi di ricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, in relazione alla riconosciuta responsabilità dell’imputato con riguardo al reato associativo di cui all’art. 74
d.p.r. n. 309/90, avendo la corte territoriale a tal fine erroneamente
valorizzato elementi probatori privi di effettiva consistenza, al più
idonei (anche a fronte dell’esiguità dell’arco temporale esaminato) a
confermare l’eventuale riconoscimento della responsabilità
dell’imputato per singoli e specifici episodi di concorso nella violazione dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90, peraltro di modesta entità.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di
legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel riconoscere la
sussistenza della recidiva reiterata a carico dell’imputato, avendo la
corte territoriale – pur tenendo conto della circostanza costituita
dall’intervenuta dichiarazione di estinzione di taluni reati ascritti
all’imputato a seguito del positivo esito dell’affidamento in prova al
servizio sociale – erroneamente ritenuto la persistenza della pericolosità sociale del ricorrente in ragione dei pregressi, numerosi e gravi

15

16

2.16. – All’odierna udienza, rilevata la mancata notificazione
dell’avviso di fissazione dell’udienza al difensore di Mauro Atzori
(anch’egli ricorrente avverso la sentenza di condanna pronunciata nei
relativi confronti), è stata disposta la separazione del procedimento
riguardante lo stesso Atzori, ai fini della relativa celebrazione in altra
data.
Considerato in diritto
3.1. — Il ricorso proposto dal procuratore generale presso la
corte d’appello di Cagliari è infondato.
Preliminarmente, occorre evidenziare come, nell’escludere
l’intercorsa realizzazione del vincolo d’indole associativa (penalmente
rilevante in ragione del numero minimo degli associati) tra il Viola, il
Di Gregorio, il Fois e il Loccisano, secondo la specifica prospettazione
dell’accusa, la corte territoriale abbia avuto cura di precisare la netta
distinzione e l’autonoma consistenza tra le attività svolte dal sodalizio
criminoso costituito e giudizialmente accertato come operante in
Lombardia da alcuni dei soggetti qui giudicati – tra cui il Viola e il
Loccisano (ma non il Di Gregorio, mai coinvolto nei giudizi milanesi
celebrati in primo grado e in grado di appello: cfr. pag. 137 della sentenza qui impugnata) — e le attività concernenti il traffico degli stupefacenti dagli stessi soggetti autonomamente svolte nel territorio sardo.
Al riguardo, la corte d’appello ha opportunamente richiamato
gli orientamenti sul punto stabiliti dalla corte di legittimità, inclini a
ritenere ammissibile il possibile ricorso di una pluralità di associazioni (pur nella parziale identità dei soggetti alle stesse partecipanti),
in presenza di elementi discriminanti di decisivo rilievo, come la diversità del territorio di competenza operativa o del periodo temporale
di attività (cfr. Cass., Sez. 6, n. 19220/2012, Rv. 252877), o ancora
come la sostanziale disomogeneità della componente soggettiva, nel
senso della possibile contemporanea partecipazione, di uno o di alcuni dei soggetti di un’associazione, ad altro sodalizio criminoso (v.

precedenti penali dello stesso, senza rilevare la consistente risalenza
nel tempo di tali episodi.
Sotto altro profilo, il ricorrente sottolinea l’omessa considerazione, da parte dei giudici del merito, della circostanza costituita dal
minimo apporto conferito dall’imputato all’associazione criminale
ascrittagli, con la conseguente mancata attenuazione, in termini corrispondenti, del trattamento sanzionatorio allo stesso irrogato.

Cass., Sez. 1, n. 44860/2008, Rv. 242197; Cass., Sez. i, n.
25727/2008, Rv. 240470).
È appena il caso di rilevare, peraltro, come dallo stesso capo
d’accusa formalizzato nei confronti degli odierni imputati (cfr. il capo
38-a) della rubrica) emerga la circostanza della costituzione di un sodalizio criminoso di nuova identità (“da tale saldatura derivava la
nascita”: cfr. pag. 15 della sentenza d’appello), rispetto a quello già
operante in Lombardia, realizzato attraverso la saldatura di elementi
soggettivi di varia e diversa provenienza e destinato ad operare in via
esclusiva entro l’ambito del territorio sardo.
Ciò posto, deve ritenersi in tal senso superata l’argomentazione critica in questa sede avanzata dal procuratore ricorrente, in ordine alla pretesa immediata collegabilità del vincolo associativo operante nelle due diverse regioni (Lombardia e Sardegna), tanto apparendo immediatamente escluso, da un lato, dalla stessa astratta prospettazione contenuta nel capo d’accusa e, dall’altro, dalla puntuale
specificazione, ad opera della corte territoriale, della sussistenza di
elementi discriminanti di decisivo rilievo, quali, in primo luogo, il
territorio di esclusiva operatività della prospettata nuova associazione e la diversità (sia pure parziale) delle rispettive componenti soggettive.
Sotto altro profilo, la corte d’appello, dopo aver confermato
l’effettivo ricorso di una concreta coordinazione funzionale, tra le attività concernenti il traffico degli stupefacenti svolte dal Viola e dal Di
Gregorio, ha tuttavia escluso il ricorso di elementi di prova certi e
inequivoci in ordine all’estensibilità di detta connessione operativa
anche al contributo fornito dal Loccisano, attesa la sporadica presenza dello stesso in Sardegna e la pluralità dei contatti dallo stesso tenuti in tale territorio con altri soggetti: indici, questi ultimi, di una
determinante volontà del Loccisano (piuttosto che di contribuire volontariamente alla vitalità della prospettata associazione criminale
operante in Sardegna) unicamente di tenere vivi i canali di sfogo dei
propri traffici, territorialmente situati, con decisiva prevalenza, in
ambito lombardo.
Sul punto, i richiami, contenuti nel ricorso del procuratore distrettuale, agli specifici indici probatori ivi indicati (pretesamente destinati a fornire una valida attestazione della concreta partecipazione
del Loccisano all’associazione de qua), appaiono piuttosto destinati a
sollecitare una possibile rilettura del significato degli elementi di prova complessivamente valutati dal giudice d’appello, come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità.

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In thema, è appena il caso di ribadire il circoscritto orizzonte
riservato all’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della
decisione impugnata, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari
punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sostanziare il suo convincimento.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una
`rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, ed
altre di conferma).
In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente secondo il proprio soggettivo punto di vista (Cass.,
Sez. i, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. i, n. 1083/1998, Rv.
210019).

Un discorso di analogo tenore deve ripetersi, peraltro, con riguardo alla prospettazione critica riferita, dal procuratore ricorrente,
alla posizione del Fois, in relazione alla quale – con motivazione pienamente coerente sul piano logico e argomentata in termini di conseguente linearità — la corte territoriale ha valorizzato gli elementi di
un’autonoma considerabilità, sottolineando come il soggetto fosse un
operatore ‘indipendente’, incline a interfacciarsi con plurime e assai
distinte fonti di approvvigionamento di sostanze stupefacenti, tra loro assolutamente distinte e con l’utilizzazione di soggetti i più diversi,
spesso non collegati tra loro, per l’attività di spaccio; indici, tutti, tali
da escludere che l’attività del Fois potesse prestarsi, in modo inequivoco, ad essere interpretata quale indubbia espressione di una forma
di concreta partecipazione attuata nell’esclusivo interesse del preteso
sodalizio criminoso allo stesso contestato (cfr. pag. 138 della sentenza
impugnata).
Quanto, infine, al preteso errore in cui sarebbe incorsa la corte
territoriale nel ritenere non eseguibile un esame solo incidentale della posizione di soggetti separatamente giudicati (come nel caso di tale
Accocci), al solo fine di valutarne l’eventuale partecipazione al vinco-

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lo associativo ascritto ai soggetti imputati nel procedimento in corso,
è appena il caso di evidenziare come la corte territoriale abbia espressamente dato atto della mancata pronuncia di alcuna condanna per
reati associativi, in relazione ai rapporti intrattenuti dal Viola e il Di
Gregorio con l’Accocci, o con taluno degli altri acquirenti riforniti dai
due, senza che fosse emerso dagli atti, disponibili ai giudici del merito, alcun ulteriore elemento suscettibile di una diversa valutazione
nel senso preteso dall’odierno ricorrente.
Deve ritenersi, pertanto, che la corte d’appello di Cagliari abbia correttamente attestato – con motivazione immune da vizi
d’indole logica o giuridica, tale da sottrarsi alle censure alla stessa rivolte dal procuratore ricorrente — come tra gli odierni imputati non
fosse stata costituita alcuna struttura organizzativa autonoma operante all’interno del territorio sardo, essendo piuttosto emersa la sola
prova che alcuni dei membri dell’associazione attiva in Lombardia
avessero operato nell’ambito del territorio sardo, rifornendo o mantenendo vivi contatti personali, di per sé mai assurti al rango di elementi costitutivi di un autentico e consolidato sodalizio criminoso.
3.2. — Il ricorso proposto da Leograziano Viola è infondato.
Con riguardo alla pretesa insufficienza degli elementi di prova
indicati dalla corte territoriale a fondamento della ritenuta responsabilità del Viola, in relazione ai singoli episodi di traffico di stupefacenti allo stesso ascritti, mette conto di evidenziare come il primo
elemento probatorio utilizzato in tal senso dai giudici del merito sia
stato quello, d’indole dichiarativa, costituito dalle informazioni rese
da tale Fonnesu, secondo il quale il reale ed effettivo mestiere esercitato dal Viola non fosse quello di imprenditore edile, bensì quello di
spacciatore di stupefacenti, come emerso chiaramente a seguito della
proposta, avanzata dallo stesso Viola al Fonnesu, di svolgere per suo
conto un’attività di spaccio.
Le circostanze così descritte dal Fonnesu (in relazione alla cui
attendibilità la corte territoriale ha evidenziato il ricorso di puntuali e
specifici riscontri probatori esterni, tali da superare le generiche e
astratte osservazioni contrarie ancora in questa sede sostenute dal
ricorrente) sono rimaste confermate ad esito delle indagini eseguite
dalla polizia giudiziaria sulle attività imprenditoriali del Viola, dalle
quali è emerso come gli appalti della relativa impresa non avessero
avuto alcun corso o fossero stati chiusi con il recesso dei committenti:
un lungo elenco di intraprese non compiute “neanche efficacemente

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contestata nei motivi d’appello” (cfr. pag. 29 della sentenza impugnata).
A fronte di tali premesse, la piena conferma dell’effettiva natura dell’attività svolta dal Viola è ulteriormente emersa a seguito del
sequestro di un carico di tre chili di hashish inviato dall’imputato in
Sardegna tramite un autotrasportatore (tale Aprile): episodio adeguatamente descritto nella sentenza impugnata e inequivocabilmente
corroborato dagli elementi di prova sul punto acquisiti e dalle stesse
ammissioni sul punto rese dal Viola (cfr. pag. 29 della sentenza impugnata).
Ciò posto, in termini di piena consequenzialità logica e adeguatezza argomentativa, la corte territoriale ha evidenziato come il
complesso delle conversazioni intercettate a carico del Viola
s’inserissero con coerenza nel quadro generale così tracciato, fornendo elementi e chiavi interpretative d’indubbia e inequivoca valenza,
sul piano della decifrazione del significato dei linguaggi utilizzati, variamente modulati in forme di tale cripticità o illogicità (“mi occorrono due operai e mezzo”; la “rimanenza delle ore”; “i mattoni”; “un
pezzo”) da apparire inevitabilmente inesplicabili o incomprensibili
ove non ricondotti alla gestione dell’illecito traffico coerentemente e
puntualmente ricostruito dai giudici del merito con dovizia di particolari e di adeguati riscontri probatori (anche in relazione alle qualità
soggettive degli interlocutori, essi stessi coinvolti nel traffico di stupefacenti), con riferimento a ciascuna delle singole imputazioni ex art.
73 d.p.r. n. 309/90 in relazioni alle quali il Viola è stato riconosciuto
direttamente e personalmente responsabile.
Quanto alle doglianze avanzate dal Viola in ordine al trattamento sanzionatorio irrogatogli, vale evidenziare come le stesse non
individuino alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico
della motivazione dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a
prospettare questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.
Al riguardo, con riferimento al tema della commisurazione
della pena, mette conto di richiamare il principio enunciato da questa
Corte, ai sensi del quale, nel caso in cui il giudice intenda discostarsi
dalla misura del minimo edittale, lo stesso assume il dovere di rendere ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale in
termini di progressivo rigore, essendo chiamato a indicare in modo
specifico, tra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 c.p.,
quelli ritenuti rilevanti ai fini del giudizio espresso (v. Cass., n.
35346/2008, Rv. 241189).

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Nel caso in esame, la Corte territoriale ha correttamente valutato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio imposto
al Viola dal giudice di primo grado, correlando tale giudizio alla specifica “gravità dei fatti”, alla “reiterazione degli stessi in un non lungo
arco di tempo”, alla “diffusione dello stupefacente ceduto in varie e
diverse località della Sardegna”, ai “contatti con ambienti criminali di
diverse regioni italiane”.
Ad avviso di questa Corte, la motivazione così dettata dal giudice d’appello (qui sommariamente compendiata) appare pienamente
rispettosa del principio di diritto più sopra enunciato, avendo la Corte territoriale correttamente radicato, il conclusivo giudizio espresso
sul trattamento sanzionatorio applicato all’imputato, al ricorso di
specifici presupposti di fatto coerenti alle previsioni di cui all’art. 133
c.p., sulla base di una motivazione in sé dotata di intrinseca coerenza
e logica linearità.
3.3. — Il ricorso proposto da Giosuè Di Gregorio è infondato.
Con riguardo alla doglianza avanzata dall’imputato in ordine
al contestato riconoscimento della relativa responsabilità penale sulla
base delle risultanze delle conversazioni intercettate, rileva il collegio
come la corte d’appello abbia puntualmente specificato, sulla base di
una motivazione logicamente congrua e del tutto conseguente sul
piano argomentativo, come il linguaggio utilizzato dagli interlocutori
intercettati, nelle conversazioni nelle quali il Di Gregorio compare
quale diretto protagonista o quale referente immediato dei conversanti, dovesse ritenersi inequivocabilmente riferito, per ciascuno degli episodi partitamente e analiticamente esaminato dai giudici del
merito, allo scambio o comunque al traffico di sostanze stupefacenti.
Al riguardo, l’apparente significato alternativo del linguaggio
utilizzato dai conversanti deve ritenersi tale da non contraddire il ragionevole riconoscimento, nelle quantità di sostanza stupefacente di
volta in volta trattate, del contenuto delle conversazioni intercorse,
avuto riguardo al generale contesto in cui tali conversazioni sono andate sviluppandosi (ossia nel quadro di rapporti con soggetti palesemente identificati e accertati come trafficanti di stupefacenti) e tenuto conto della circostanza che il carattere allusivo, talora criptico,
simbolico o, più spesso, ‘fuori contesto’, del linguaggio ‘di copertura’
adoperato dai conversanti (i cui pretesi significati alternativi prospettati dall’imputato sono stati specificamente contraddetti dalla corte
d’appello, siccome caratterizzati dall’evidente e assoluta implausibilità logica individuata e rilevata nei diversi passaggi motivazionali se-

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guiti dalla corte territoriale) rafforza la ragionevole conclusione che la
velocità d’intesa tra gli stessi, nonostante le poche e criptiche sillabe
pronunciate nei dialoghi captati, fosse indicativa di convenzioni sviluppatesi e consolidatesi attraverso continue e analoghe relazioni di
illecito contenuto, a sua volta confermate dai riferimenti alla qualità e
alle quantità, oltre che al valore economico o al ricercato ‘gradimento’
delle ‘merci’ trattate.
Parimenti infondato deve ritenersi il motivo di ricorso proposto dal Di Gregorio con riguardo al mancato riconoscimento, in proprio favore, della circostanza attenuante di cui al quinto comma
dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90, avendo la corte territoriale specificamente evidenziato – con motivazione esaustiva, dotata di piena coerenza
argomentativa e immune da vizi d’indole logica o giuridica — come
tutte le telefonate intercettate concernenti l’imputato riguardassero
accordi per il traffico di sostanze da non considerarsi mai relativi a
minime quantità, apparendo evidente, a mero titolo esemplificativo,
come la consegna di provini costituisse la prova, non solo della cessione di un modico quantitativo, ma dell’accordo diretto a una logica
successiva consegna di ulteriori non modiche quantità (cfr. pag. 28
della sentenza impugnata), e come, in ogni caso, lo specifico contenuto delle conversazioni intercettate (e partitamente riproposte nella
motivazione della sentenza) lasciasse preludere, con assoluta certezza
sul piano logico, al ricorso di scambi in nessun modo riconducibili a
ipotesi di piccolo spaccio (cfr. pag. 36 della sentenza impugnata).
Dev’essere, infine, disattesa la doglianza avanzata dall’imputato con riguardo al trattamento sanzionatorio irrogatogli, avendo la
corte territoriale specificamente richiamato, con riferimento al Di
Gregorio, lo stesso trattamento inflitto al Viola, recependone implicitamente gli aspetti di gravità soggettiva e oggettiva già evidenziati con
riguardo a quest’ultimo (cfr. supra par. 3.2.), e rilevando come
l’identità del trattamento tra i due imputati, seppur apparentemente
contrastante col maggior numero di reati ascritti al Viola, fosse bilanciato “dal maggior ruolo rivestito dal Di Gregorio nel rapporto con il
Fois rispetto a quello del Viola” (cfr. pag. 44 della sentenza impugnata).
Sulla base di tali premesse, ritiene pertanto il collegio come la
motivazione così dettata dal giudice d’appello si riveli pienamente rispettosa dei principi di diritto vigenti in tema di trattamento sanzionatorio, avendo la corte territoriale correttamente radicato, il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio applicato al Di
Gregorio, al ricorso di specifici presupposti di fatto coerenti alle pre-

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3.4. — Il ricorso proposto da Maurizio Argiolas è infondato.
Dev’essere preliminarmente disattesa la censura sollevata
dall’Argiolas con riguardo alla mancata rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale ad opera della corte d’appello.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale
la rinnovazione, ancorché parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non
poter decidere allo stato degli atti.
Da ciò deriva che mentre la rinnovazione dev’essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dall’acquisita consapevolezza di non potere
decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto dell’istanza
di rinnovazione, la relativa motivazione può essere anche implicita
nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di
merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (v. Cass.,
Sez. 5, n. 15320/2009, Rv. 246859).
Nel caso di specie, la corte territoriale ha espressamente dato
atto della superfluità della rinnovazione dibattimentale, avendo ritenuto che gli elementi in atti rendessero possibile la decisione senza
ricorrere all’assunzione delle prove richieste dall’imputato, emergendo dal complesso delle intercettazioni acquisite la possibilità di formulare un giudizio con riguardo alla posizione dell’imputato in relazione a tutti gli episodi criminosi allo stesso ascritti (cfr pag. n della
sentenza d’appello).
Quanto alla censura sollevata dall’imputato in ordine alla pretesa arbitrarietà dell’interpretazione delle conversazioni intercettate
fatta propria dai giudici del merito, mette conto anche in questa sede
ripetere quanto già in precedenza sottolineato, circa l’adeguatezza
dell’argomentazione svolta nella sentenza impugnata (cfr. supra par.
3.3.), là dove evidenzia l’assoluta implausibilità logica delle spiegazioni alternative fornite dall’imputato, così come individuata e rilevata nei diversi passaggi motivazionali seguiti dalla corte territoriale
(cfr. pagg. 77 e ss. della sentenza impugnata), e là dove opera una
coerente riconduzione, del significato dei diversi dialoghi in cui
l’Argiolas compare come diretto protagonista o quale immediato re-

visioni di cui all’art. 133 c.p., sulla base di una motivazione in sé dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.

ferente della conversazione intercorsa tra terzi, al traffico degli stupefacenti di volta in volta curato dall’imputato, in relazione a ciascuno
dei diversi episodi criminosi allo stesso ascritti.
In particolare, devono ritenersi prive di pregio le censure sollevate dal ricorrente con riferimento al reato di cui al capo 22) della
rubrica, avendo la corte territoriale coerentemente ricondotto
all’Argiolas l’appellativo ‘Mauri’ utilizzato dai conversanti nelle intercettazioni evidenziate sul punto, non solamente per l’esplicitazione
del nome ‘Maurizio’ comparsa in altre telefonate, ma anche in relazione allo stretto legame che univa gli altri due imputati (Bojken e
Denotti) all’Argiolas a causa delle ragioni di riconoscenza specificamente indicate e richiamate dalla corte territoriale, la quale ha altresì
escluso alcun rilievo alla circostanza dell’esistenza di altri ‘Maurizio’
nelle intercettazioni captate, “perché chi era in contatto con i due era
proprio l’Argiolas, come d’altra parte dimostrato dalle stesse ammissioni fatte da quest’ultimo circa lo stupefacente datogli dal Denotti”
(cfr. pag. 78 della sentenza impugnata).
Del pari prive di pregio appaiono le doglianze argomentate
dall’Argiolas con riferimento al reato di cui al capo 26) della rubrica,
avendo la corte territoriale opportunamente richiamato le motivazioni sul punto dettate dal primo giudice largamente eloquenti in ordine
all’effettivo ricorso della prova degli specifici contatti intercorsi tra
l’imputato, il Vujic e il Denotti al fine dello scambio dello stupefacente riferito al reato de quo, sulla cui dimostrazione cui v. altresì infra
(par. 3.8.) in relazione alla posizione di Slavoljub Vujic.
Sul punto, è appena il caso di richiamare l’insegnamento di
questa corte di legittimità in forza del quale, qualora i giudici d’appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri
omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti
alle determinazioni ivi prese e ai fondamentali passaggi logicogiuridici della decisione (come puntualmente avvenuto nel caso di
specie), le sentenze di primo e di secondo grado devono ritenersi tali
da costituire, saldandosi tra loro, un unico complesso motivazionale,
destinato a concorrere unitariamente alla giustificazione delle decisioni adottate con riguardo alla responsabilità dell’imputato e al trattamento sanzionatorio allo stesso inflitto (cfr. Cass., Sez. 3, n.
13926/2011, Rv. 252615; Cass., Sez. 3, n. 10163/2002, Rv. 221116).
Allo stesso modo, del tutto inconsistente deve ritenersi il motivo di ricorso avanzato dall’imputato con riferimento al reato di cui al
capo 24) della rubrica, avendo la corte territoriale inequivocabilmente evidenziato come le conversazioni intrattenute dall’Argiolas, con

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apparente riferimento al mondo dei motori, non potessero che ricondursi al traffico degli stupefacenti in tali contingenze trattato, come
coerentemente confermato dal tenore dei contatti immediatamente
successivi intrattenuti dagli interlocutori dell’imputato,
dall’inverosimiglianza e dalla sproporzione degli importi economici
richiamati, nonché dalle asimmetrie di senso e dal complessivo carattere di reticenza delle locuzioni utilizzate dai conversanti; elementi,
tutti, dalla corte territoriale specificamente sottolineati, con motivazione logicamente ineccepibile, nei diversi passaggi dei dialoghi sul
punto intercettati (cfr. pag. 79 della sentenza impugnata).
3.5. – Il ricorso congiuntamente proposto da Salvatore Melis,
Mattia Melis e Simone Pilloni è infondato in relazione a ciascuno dei
profili evidenziati.
Preliminarmente, rileva il collegio come, con motivazione
esauriente, completa e immune da vizi d’indole logica o giuridica, la
corte territoriale abbia correttamente ravvisato la sussistenza di tutti
gli elementi costitutivi del reato associativo ascritto agli odierni ricorrenti (c.d. ‘gruppo Melisg.
In particolare, la corte d’appello, sulla scia delle valutazioni sul
punto operate dal primo giudice, ha individuato, nelle conversazioni
ambientali effettuate sull’autoveicolo di Salvatore Melis, i principali e
più convincenti elementi di riscontro in ordine all’effettiva costituzione del sodalizio criminoso in esame, evidenziando la sussistenza
del comune progetto dei sodali, del promotore dell’iniziativa associativa (tale essendo proprio Salvatore Melis), della pluralità delle persone ch’ebbero a manifestare la propria adesione al progetto (anche
sulla scorta dei solidi legami di natura familiare, nella specie sussistenti tra Salvatore Melis e Mattia Melis), nonché della ripartizione
dei compiti tra i diversi associati.
A sostegno del ragionamento probatorio coerentemente dipanato nella motivazione della sentenza d’appello, circa l’effettiva sussistenza del consorzio criminale in esame, la corte territoriale ha richiamato, oltre alle coerenti espressioni ricavate dal contenuto delle
conversazioni intercettate (analiticamente richiamate nella motivazione della sentenza impugnata), il complesso delle circostanze rese
palesi dalle modalità esecutive dei singoli reati-fine.
Sul punto, la corte territoriale ha correttamente richiamato
l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini
della configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, non è richiesta la prova di un patto espresso fra gli associati,

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ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive
dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla
ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di
un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa,
sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della
continuità temporale del vincolo criminale (cfr., da ultimo, Cass. Sez.
6, n. 9061/2012, Rv. 255312).
Proprio in applicazione di tale principio di diritto, la corte
d’appello cagliaritana ha coerentemente evidenziato gli elementi di
costante ripetizione nelle modalità attuative dei singoli reati-fine e
nell’assunzione dei diversi ruoli esecutivi da parte dei singoli partecipanti, sì da ricavare la sicura conferma, logicamente fondata e probatoriamente corroborata, che la commissione dei singoli reati di cui
all’art. 73 d.p.r. n. 309/90 costituisse un indice sintomatico di decisivo significato circa l’esistenza dell’associazione criminale; indice sintomatico che, valutato unitamente alle conferme ricavate dal contenuto delle intercettazioni ambientali, è valso a fornire la definitiva
conferma della partecipazione, da parte di ciascuno degli imputati in
esame, al sodalizio criminoso de quo.
Quanto alla prova della consapevolezza dei ricorrenti di partecipare al contesto plurisoggettivo in esame, la corte territoriale ha significativamente evidenziato – oltre al valore sintomatico della ricorrenza delle forme di manifestazione delle modalità di esecuzione dei
singoli reati-fine – il contenuto delle intercettazioni ambientali richiamate in sentenza, dalle quali è emerso, in termini di ragionevole
inequivocità, come ciascun conversante avesse ben chiaro il distinto
ruolo a ciascuno di essi spettante nel quadro dell’organizzazione generale, oltre al più largo contesto entro il quale i singoli episodi criminosi erano destinati a inscriversi.
Quanto alle doglianze avanzate dai ricorrenti in relazione alle
pretese carenze probatorie riferite ai singoli reati-fine, è appena il caso di evidenziare come la corte territoriale abbia puntualmente specificato, in corrispondenza di ciascuno degli episodi criminosi ascritti
ad ogni singolo imputato, gli obiettivi riscontri rivenienti dall’interpretazione delle conversazioni telefoniche e ambientali intercettate,
la cui inequivoca riferibilità al traffico di sostanze stupefacenti è stata
correttamente giustificata attraverso il rilevato consueto ricorso dei
conversanti a linguaggi di copertura, del tutto privi di plausibile significato logico là dove non coerentemente ricondotti, anche in considerazione della qualità soggettiva degli interlocutori (tutti comprovatamente coinvolti nel traffico degli stupefacenti), all’illecita com-

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missione dei singoli reati analiticamente descritti nei corrispondenti
capi di imputazione.
Dev’essere da ultimo disattesa la censura sollevata dai ricorrenti in relazione alle confische disposte a carico di Salvatore Melis,
avendo la corte d’appello specificamente sottolineato le ragioni dei
provvedimenti ablativi in tal senso assunti, evidenziando il carattere
‘confuso’ della documentazione dallo stesso prodotta, di per sé inidonea a costituire alcuna giustificazione della disponibilità economiche
di rilevantissima consistenza dell’imputato, avuto particolare riguardo alle dimensioni estremamente modeste delle attività imprenditoriali allo stesso riferibili, ed attesa, viceversa, la cospicua entità dei
proventi ricavati attraverso il continuativo esercizio del traffico di
stupefacenti dallo stesso gestito in forma associata.
3.6. – Il ricorso proposto da Antonello Melis è parzialmente
fondato.
Con riguardo a due degli episodi criminosi specificamente dedotti in ricorso e contestati al Melis ai sensi dell’art 73 d.p.r. n.
309/90 (reati di cui ai capi 34.45 e 34.56 della rubrica), rileva il collegio come la corte d’appello abbia fornito adeguata risposta ai motivi
d’appello avanzati dall’imputato, correttamente specificando, con riferimento a detti reati, i corrispondenti elementi istruttori di riscontro, nell’evidenziare il peculiare contesto entro il quale i fatti riportati
e le conversazione riferite a tali episodi dovessero essere inquadrati,
in modo da conferire un inequivoco significato al senso delle espressioni (v., ad es., la ‘nera’, riferita all’eroina, secondo quanto affermato
dallo stesso Melis: cfr. pag. 96 della sentenza impugnata) utilizzate
dai diversi interlocutori nei passaggi richiamati in sentenza: fatti e
conversazioni dai quali, con motivazione pienamente coerente sul
piano logico e conseguentemente argomentata, la corte ha desunto il
chiaro e indubitabile coinvolgimento di Antonello Melis in entrambi
gli episodi di cessione e illecita detenzione di sostanze stupefacenti
allo stesso partitamente contestati, come peraltro reso palese dai singoli passaggi sul punto ripresi dalla sentenza di primo grado, dalla
corte territoriale espressamente riportate nella motivazione della
sentenza d’appello (cfr. pagg. 96 s.).
Quanto alla prova della consapevolezza, da parte del ricorrente, di partecipare al sodalizio criminoso allo stesso ascritto (capo 38c) della rubrica), vale sottolineare come la corte territoriale abbia significativamente evidenziato, in termini di piena coerenza argomentativa, l’inequivoca espressività a tal fine manifestata dall’imputato

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nel prestare la propria collaborazione al fratello (Salvatore Melis) e al
nipote (Mattia Melis), in forme e con modalità operative tali da rivelare una piena consapevolezza del proprio ruolo nel quadro dell’organizzazione generale gestita dal fratello, oltre al più largo contesto entro il quale i singoli episodi criminosi partecipati erano destinati a inscriversi.
Viceversa, con riguardo al reato di cui al capo 34.31, rileva il
collegio come la corte territoriale, dopo aver evidenziato come l’appello investisse – sul punto relativo al solo primo episodio (oggetto di
confessione) – la sola misura della pena (cfr. pag. 96 della sentenza
impugnata), abbia immotivatamente e totalmente trascurato di considerare (in modo specifico ed espresso, anche in relazione alla data
di commissione del reato, 25.6.2008, diversa da quelle relative agli
altri due episodi in questa sede dedotti) l’esame della responsabilità
dell’imputato con riguardo al secondo capoverso dell’imputazione
(concernente l’intermediazione nella vendita del quantitativo di sostanza stupefacente tra il fratello e un ignoto acquirente): reato rispetto al quale la stessa corte d’appello ha espressamente preso atto
dell’invocato riconoscimento, da parte dell’imputato, della propria
estraneità (cfr. pag. 95 della sentenza impugnata).
Limitatamente a tale imputazione, pertanto, la sentenza impugnata dev’essere annullata (ferma la definitività dell’accertamento
della responsabilità dell’imputato in relazione a tutte le restanti imputazioni allo stesso concretamente ascritte), con il conseguente rinvio alla corte d’appello di Cagliari per nuovo esame sul punto.
3.7. – Entrambi i ricorso proposti da Francesco Puddu sono infondati.
Sul punto, mette conto di evidenziare come la corte d’appello
abbia correttamente richiamato i principi consolidatisi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui anche un singolo episodio di
cessione di stupefacenti quale fornitore a soggetti operanti in un contesto associativo può costituire partecipazione all’organizzazione criminale, atteso che l’elemento oggettivo del reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il
singolo partecipante ha personalmente provveduto allo spaccio o alla
fornitura, per cui il coinvolgimento in un solo episodio di cessione
non è incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione di cui si è consapevolmente servita per la commissione
del fatto. Anche l’elemento soggettivo, d’altra parte, è ricavabile dalla
consapevolezza dell’imputato di essersi servito dell’appartenenza

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all’associazione per la cessione delle sostanze stupefacenti (cfr. Cass.,
Sez. 4, n. 45128/2008, Rv. 241927).
Nel caso di specie, la corte territoriale ha evidenziato, con immediato riferimento alla posizione di Francesco Puddu, come le forniture di stupefacente o gli acquisti in comune realizzati dal Puddu
(tutti inequivocabilmente attestati e comprovati, secondo quanto correttamente e logicamente evidenziato nei diversi passaggi della sentenza impugnata, dalle conversazioni intercettate analiticamente riportate e adeguatamente interpretate dai giudici del merito: cfr. pagg.
121 e s. della sentenza impugnata) fossero diretti a consentire all’associazione il raggiungimento dei propri fini, con la consapevolezza
della sua esistenza e la volontà di aderirvi, come si ricava in modo
specifico: i) dalla pluralità dei fatti di cessione di consistenti quantitativi di stupefacenti al capo di tale associazione che direttamente
trattava gli acquisti più rilevanti; 2) dall’essenzialità dell’attività descritta per il perseguimento dei fini dell’associazione, consentendo, il
ripetuto rifornimento di quantitativi consistenti di diverse qualità di
stupefacente, la continuità e il permanere operativo dell’associazione;
3) dai contatti con altro membro dell’associazione, Mattia Melis, finalizzati allo spaccio dello stupefacente da lui fornito e dal conseguente
operare in comune con almeno due soggetti del sodalizio criminoso;
4) dal non modesto periodo di tempo in cui ebbe a concretizzarsi l’attività caratterizzata dalla rilevanza del contributo fornito alla vita del
sodalizio in termini di importanza del ruolo ricoperto.
La motivazione così complessivamente compendiata dalla corte territoriale deve ritenersi pienamente coerente sul piano logico e
adeguatamente argomentata, esaustiva e completa, immune da vizi
d’indole logica o giuridica, sì da sfuggire integralmente a tutte le censure contro la stessa rivolte dall’odierno ricorrente.
3.8. – Il ricorso proposto da Slavoljub Vujic è infondato.
Con riguardo al reato di cui al capo 26) della rubrica, contestato al ricorrente e in questa sede specificamente dedotto, rileva il collegio come la corte territoriale ne abbia riscontrato l’effettivo ricorso
sulla base della coerente ricostruzione del contenuto delle conversazioni intercorse tra tutti i correi (l’imputato, unitamente all’Argiolas e
al Denotti), senza alcun dubbio riferite al prospettato scambio di sostanze stupefacenti; conclusione coerentemente desunta dai giudici
del merito sulla base della ragionevole considerazione delle qualità
soggettive degli interlocutori (comprovatamente coinvolti nel traffico
degli stupefacenti) e dello specifico tenore delle misure organizzative

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nella specie convenute dagli acquirenti (confermate dai servizi di pedinamento eseguiti dalla polizia giudiziaria) in vista dell’incontro con
l’odierno ricorrente ai fini della divisata cessione dello stupefacente.
Al riguardo, con motivazione adeguatamente argomentata, la
corte territoriale ha rilevato come, pur volendo escludere l’avvenuto
ricorso di uno scambio, tra l’odierno ricorrente e i suoi correi, di una
sia pur minima quantità di stupefacente (idonea a preludere alla futura cessione di un quantitativo più rilevante, nell’immediatezza non
avvenuto in considerazione dei rischi valutati dagli agenti in ragione
dell’intuita presenza della polizia giudiziaria), le sole circostanze costituite dall’eloquente contenuto delle conversazioni intercettate e dal
significativo spostamento geografico degli acquirenti, valessero a
rendere concreta e assolutamente verosimile, tanto la concreta disponibilità dello stupefacente da parte del Vujic, quanto la sussistenza di un’effettiva e reale offerta dello stupefacente ai suoi correi da
parte dell’odierno ricorrente.
La coerenza logica e la correttezza argomentativa della motivazione così compendiata dalla corte territoriale valgono dunque a consentire l’accertamento della radicale infondatezza dei motivi di ricorso sul punto illustrati dall’imputato.
Parimenti infondate devono, infine, ritenersi le doglianze
avanzate dall’imputato con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla relativa prevalenza sulle aggravanti contestate e all’eccessiva severità del trattamento sanzionatorio irrogatogli, essendosi il ricorrente sul punto limitato alla mera
illustrazione d’inammissibili censure in fatto, senza indicazione di
alcuna specifica e determinata incongruenza nello sviluppo argomentativo sul punto seguito dalla corte territoriale.
3.9. – Il ricorso proposto da Antonio Giotti è infondato.
Con riguardo all’esame critico dell’imputazione sottoposta dal
ricorrente al giudizio di questa corte di legittimità, rileva il collegio
come del tutto correttamente la corte territoriale abbia precisato l’identificazione dell’imputazione sollevata nei confronti del Giotti, individuandola nel reato di tentativo nell’acquisto di sostanze stupefacenti, in coerenza con la stessa formulazione (pur obiettivamente
ambigua) contenuta nell’imputazione formalmente contestata, sul
piano letterale, all’odierno ricorrente; tentativo di cui la stessa corte
territoriale ha attestato la sicura realizzazione (nella sua entità penalmente rilevante) proprio in considerazione dei comprovati ed elo-

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quenti rapporti intrattenuti dall’imputato con il Viola e dell’attività di
rifornitore di stupefacenti da quest’ultimo svolta in Sardegna.
Ciò posto, rileva il collegio come non abbia alcuna ragion d’essere la censura svolta dal ricorrente con riguardo all’entità della pena
allo stesso inflitta, stante la piena compatibilità della stessa con i limiti edittali previsti per il tentativo di reato ascritto all’imputato, ed
avendo la corte territoriale altresì rilevato l’impossibile contenimento
di detta sanzione entro i limiti edittali minimi, avuto riguardo alla
pregressa sussistenza di rapporti tra l’imputato e il Viola (dettati dalle
medesime illecite ragioni qui esaminate) e la destinazione dello stupefacente nei confronti di terze persone con le quali lo stesso imputato ha evidenziato di non dover fare “brutta figura”: circostanze coerentemente giudicate idonee ad esprimere significativi indici di valutazione circa la non trascurabile gravità del fatto e il non contenuto
spessore della personalità criminale del ricorrente.
3.10. – Il ricorso proposto da Antonio Melis è infondato.
Con riguardo alla censura sollevata dall’imputato in relazione
alla pretesa equivocità del contenuto delle conversazioni telefoniche
intercettate a suo carico, rileva il collegio come la corte d’appello abbia adeguatamente ricostruito, sulla base di una motivazione coerentemente elaborata e logicamente argomentata, il reale significato delle conversazioni intercorse a margine delle catene di contatti corrispondenti alle sequenze delle forniture di stupefacenti dal Fois al
Marras e da quest’ultimo ad Antonio Melis, collocando il linguaggio
di copertura utilizzato dai conversanti nel corretto contesto relativo
all’illecito traffico, in assenza di alcuna alternativa spiegazione logicamente plausibile della singolare terminologia utilizzata dagli interlocutori (v. ad es. la locuzione “una scarpa da trenta centimetri in
più”: cfr. pag. 66 della sentenza impugnata), ed avuto altresì riguardo
alla circostanza confermativa costituita dall’arresto del Muscas trovato in possesso dello stupefacente trattato.
Quanto al motivo di ricorso relativo alla mancata concessione
della circostanza attenuante di cui al quinto comma dell’art. 73 d.p.r.
n. 309/90, è appena il caso di evidenziare come, del tutto coerentemente sul piano argomentativo, la corte territoriale abbia rilevato il
carattere non modesto dei quantitativi di sostanza stupefacente trattati dal Melis, correttamente valorizzando il significativo dato costituito dalla continuità delle forniture, non destinate al personale consumo dell’imputato, bensì alla cessione a terzi, in coerenza alle conferme sul punto rinvenibili nell’esame del contenuto delle conversa-

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3.11. – Entrambi i ricorsi proposti da Alessio Manca sono infondati.
Preliminarmente rileva il collegio la radicale infondatezza della censura sollevata dal ricorrente con riguardo alla nullità dei capi
d’imputazione allo stesso ascritti per l’asserita genericità degli stessi.
Al riguardo, vale evidenziare come la corte territoriale, dopo
aver richiamato l’indirizzo sul punto consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità (incline a ritenere non più proponibili le doglianze concernenti la pretesa genericità dell’imputazione, a seguito della
scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato: v. Cass., Sez. 6, n.
21265/2011, Rv. 252854; Cass., Sez. 6, n. 13133/2011, Rv. 249897),
abbia altresì correttamente sottolineato come la nullità per indeterminatezza dell’imputazione sussista solo in caso di incertezza assoluta sui fatti che la determinano e quindi nei soli casi in cui l’imputato
non sia stato posto in grado di conoscere la condotta materiale della
quale è stato chiamato a rispondere, con la conseguente impossibilità
di esercitare il proprio diritto di difesa.
Nel caso in esame, in relazione a tutti gli addebiti riguardanti il
traffico di stupefacenti ascritti all’imputato, la corte territoriale ha
coerentemente attestato come i corrispondenti capi d’imputazione
contenessero il riferimento specifico alla giornata in cui il fatto addebitato era accaduto e alla corrispondente intercettazione delle conversazioni utilizzate per la relativa individuazione, con la conseguente
piena esplicabilità delle possibilità di difesa personale e tecnica
dell’imputato sulla base di tutti gli atti depositati e resi disponibili per
le parti.
Allo stesso modo, anche la mancata specificazione della qualità e della quantità delle sostanze stupefacenti riscontrabili nei diversi
capi d’imputazione deve ritenersi tale, secondo il coerente ragionamento dipanato nella motivazione della sentenza impugnata, da non
assumere rilievo quale elemento della pretesa indeterminatezza degli
addebiti, trattandosi in ogni caso di atti concernenti il traffico di stupefacenti disciplinati sul piano sanzionatorio in misura identica dal
legislatore (cfr. pagg. 27s. della sentenza impugnata).
La motivazione così complessivamente compendiata dal giudice d’appello deve ritenersi del tutto immune da vizi d’indole logica o
giuridica, sì da sfuggire integralmente alle doglianze al riguardo illustrate dall’odierno ricorrente.

zioni intercettate, nella specie correttamente interpretate dai giudici
del merito.

Quanto alle censure argomentate dal Manca con riferimento
all’interpretazione operata dai giudici del merito in ordine alle conversazioni intercettate, ai criteri utilizzati per la decifrazione del relativo significato, al mancato riconoscimento dell’attendibilità delle
prove a tal fine allegate dall’imputato e all’assenza di riscontri probatori obiettivi del contenuto di conversazioni solo astrattamente richiamate in sentenza, osserva preliminarmente il collegio come del
tutto correttamente la corte territoriale abbia richiamato l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, il reato di detenzione a fini di spaccio, o quello di spaccio,
non sono condizionati, sotto il profilo probatorio, al sequestro o al
rinvenimento di sostanze stupefacenti, poiché la consumazione di tali
reati ben può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti
probatorie, quali, appunto, il contenuto delle intercettazioni di conversazioni (v. Cass., Sez. 4, n. 46299/2005, Rv. 232826; Cass., Sez. 6,
n. 13904/1986, Rv. 174548).
Nel caso di specie, in relazione ai capi d’imputazione sollevati
nei confronti del Manca, la corte territoriale ha coerentemente dato
atto dell’effettiva sussistenza di tale piena efficacia rappresentativa
delle conversazioni intercettate a suo carico, ponendo in luce come il
carattere criptico delle espressioni usate nelle diverse conversazioni
in altro non consistesse se non nell’iterazione di un linguaggio di copertura delle illecite transazioni in corso o concluse (riguardanti il
traffico di sostanze stupefacenti), attesa l’inverosimiglianza di alcun
plausibile significato logico alternativo delle singolari espressioni utilizzate in dette conversazioni (“mezza gallina”; “pietre”) in considerazione delle evidentissime asimmetrie di senso di dette locuzioni
all’interno del medesimo contesto logico di riferimento.
Proprio il ricorso a tale linguaggio di copertura e la dimostrata
capacità dei conversanti di intendersi con rapidità, nonostante il carattere “contratto” delle espressioni utilizzate (cfr. pag. 103 sent. impugnata) rende ragione dell’avvenuta riconduzione di dette conversazioni al tema del traffico di sostanze stupefacenti (anche in considerazione della qualità soggettiva dei conversanti, accertatamente coinvolti in analoghe vicende concernenti detto traffico), senza che le asserzioni o le risultanze complessive delle prove contrarie di natura
testimoniale o documentale, sul punto allegate dal ricorrente, siano
valse a infirmarne la qualificazione nel senso indicato, come adeguatamente sostenuto dalla corte territoriale sulla base di una motivazione congruamente argomentata e coerentemente elaborata, in assenza di alcune delle asserite (e peraltro insussistenti) contraddizioni

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interne al discorso motivazionale infondatamente ancora in questa
sede denunciate dal ricorrente.
Devono essere da ultimo disattese le censure sollevate dal
Manca con riguardo alla determinazione della pena irrogata all’imputato e alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui al
quinto comma dell’articolo 73 d.p.r. numero 309/90.
Al riguardo – ferma l’inammissibilità, in questa sede di legittimità, delle mere censure in fatto illustrate dal ricorrente in ordine alla entità del trattamento sanzionatorio determinato -, occorre ribadire la correttezza, sul piano logico e argomentativo, della motivazione
sul punto dettata dalla corte territoriale, laddove ha sottolineato come dal complessivo contesto dei traffici ascritti all’imputato non fosse
possibile trarre la conclusione della qualificazione in termini di lieve
entità dei fatti dallo stesso commessi, attesa l’intuibile gravità implicita nella reiterazione di una significativa quantità di fatti criminosi
ripetutisi anche in un breve arco tempo da parte dell’imputato.
3.12. — Il ricorso di Sergio Palmas è fondato.
Con riguardo alla posizione del Palmas, occorre preliminarmente disattendere la censura, avanzata dall’imputato con il secondo
motivo di ricorso, relativa alla pretesa genericità delle imputazioni
sollevate nei relativi confronti, valendo al riguardo le medesime argomentazioni in precedenza sviluppate in ordine all’identico motivo
di ricorso proposto da Alessio Manca (cfr. supra par. 3.11), ravvisandosi, anche in relazione alle imputazioni sollevate nei confronti del
Palmas, gli stessi presupposti in fatto e in diritto coerentemente evidenziati e argomentati dalla corte territoriale; con il conseguente riscontro della piena esplicabilità, anche per il Palmas, delle relative
possibilità di difesa personale e tecnica sulla base di tutti gli atti depositati e resi disponibili per le parti.
Quanto ai restanti motivi di ricorso in questa sede illustrati dal
Palmas, rileva il collegio come la corte territoriale abbia del tutto
omesso di svolgere, in termini compiuti e analitici, alcuna argomentazione destinata alla specifica e diretta confutazione dei motivi
d’impugnazione dal Palmas avanzati in sede d’appello (salvo il richiamo, irriducibilmente generico, alle motivazioni della sentenza di
primo grado: cfr. pagg. 89-90 della sentenza d’appello), con particolare riguardo all’accertamento della responsabilità dell’imputato in
ordine ai singoli reati-fine; responsabilità attestata in primo grado, e
successivamente confermata in sede d’appello, senza che i giudici del
merito abbiano mostrato di aver adeguatamente superato, sul piano

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logico-critico, la denunciata persistente ambiguità degli elementi indiziari individuati a fondamento della responsabilità dell’imputato,
così come ancora in questa sede evidenziata nei motivi di ricorso in
questa sede dallo stesso proposti.
Tale omissione, direttamente riguardante i singoli reati-fine
ascritti all’imputato, deve ritenersi peraltro tale da incidere anche
sulla motivazione, pur desumibile dal contesto della sentenza
d’appello, relativa alla riconosciuta responsabilità dell’imputato per il
reato associativo allo stesso ascritto, per l’evidente intima connessione sussistente tra l’accertamento di tale ultimo reato e il riscontro
probatorio relativo ai primi.
Sulla base di tali premesse, dev’essere pertanto disposto
l’annullamento della sentenza impugnata con riguardo alla posizione
di Sergio Palmas, con particolare riguardo all’accertamento della relativa responsabilità in ordine a tutti i reati allo stesso contestati, con
il conseguente rinvio alla corte d’appello di Cagliari per nuovo esame.
3.13. – Il ricorso proposto da Alessandro Piloni è infondato.
Con riguardo alla prospettata erroneità delle interpretazioni
contenute nelle sentenze di merito in ordine al contenuto dei dialoghi
intercettati a carico dell’imputato, osserva il collegio come la corte
territoriale abbia sottolineato l’incompletezza dell’esposizione, da
parte dell’imputato in sede d’appello, degli elementi di prova della
relativa responsabilità asseritamente contenuti nella sentenza di primo grado.
E invero, la corte d’appello ha evidenziato — sulla base di una
motivazione pienamente coerente sul piano logico e del tutto lineare
in termini argomentativi – come il tenore complessivo dei dialoghi in
cui Alessandro Pilloni compare quale protagonista, conti su uno spettro assai più largo di quello riduttivamente evidenziato in sede di gravame dall’imputato; tale spettro dovendo completarsi con le conversazioni inter praesentes analiticamente riproposte nelle motivazioni
della sentenza d’appello, il cui linguaggio – dalla corte territoriale coerentemente ritenuto espressivo del riferimento al traffico di stupefacenti, in ragione dell’inequivocabilità dei relativi contenuti – vale ad
offrire una sicura conferma della piena partecipazione dell’imputato
ai reati concernenti il traffico di stupefacenti allo stesso direttamente
ascritti.
Parimenti priva di pregio deve ritenersi la censura illustrata
dal ricorrente con riguardo alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche (pur concesse all’imputato) nella loro massi-

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3.14. — Il ricorso proposto da Flavio Antonio Sale è infondato.
Dev’essere in primo luogo disatteso il motivo di ricorso riproposto in questa sede dal Sale con riguardo alla pretesa incompetenza
per ragioni di territorio del tribunale di Cagliari a conoscere dei reati
allo stesso contestati.
Sul punto, del tutto correttamente la corte territoriale ha sottolineato come le regole che presiedono alla determinazione della
competenza in relazione alle ipotesi di reato elencate nell’art. 51, co.
3-bis, c.p.p. (tra cui quella di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309/90) – regole
per effetto delle quali la competenza va individuata con riferimento
alla procura distrettuale -, si estendono a tutti i reati connessi e a tutti
gli imputati giudicati nello stesso procedimento, anche al di fuori dei
dell’applicazione dei criteri di cui all’art. 16 c.p.p., da ciò conseguendo, in deroga ai principi fissati da tale ultima norma, che il procedimento concernente un reato compreso nell’elencazione di cui all’art.
51, co. 3-bis, cit., esercita una vis actractiva rispetto ai procedimenti
connessi che riguardino reati estranei a detta previsione.
In particolare, deve ritenersi che in modo pienamente corretto, sul piano dell’applicazione e della coerente estensione dei principi
venutisi consolidando nella materia (cfr. Cass., Sez. 1, n. 40012/2005,
Rv. 232949; Cass., Sez. 4, n. 17386/2006, Rv. 233964 Cass., Sez. 2, n.
19831/2006, Rv. 234664; Cass, Sez. 2, n. 6783/2008, Rv. 243300), la
corte territoriale ha ritenuto che la richiamata vis actractiva operi in
relazione a tutti i reati che abbiano connessione con quelli per i quali
si applica il richiamato art. 51, co. 3-bis c.p.p. (anche in deroga all’art.
16 del codice di rito), e quindi anche con riguardo alle imputazioni
elevate nei confronti di un soggetto che, come il Sale, non abbia
commesso alcuno dei reati di cui all’art. 51 co. 3-bis cit., ma che, unitamente all’altro coimputato che quei reati abbia commesso (come
Salvatore Melis), si sia reso responsabile di un reato (quello di cui
all’art. 73 d.p.r. n. 309/90) che altrimenti non sarebbe oggetto di deroghe alle ordinarie regole sulla competenza territoriale.
Del pari prive di pregio devono ritenersi le censure sollevate
dal ricorrente in relazione all’idoneità degli elementi di prova indicati
dai giudici del merito a fondamento della ritenuta responsabilità del
Sale con riferimento ai reati allo stesso ascritti.

ma estensione, essendosi il ricorrente sul punto limitato, a fronte della corretta e coerente motivazione sul punto dettata dal giudice
d’appello, all’illustrazione di mere censure in fatto, inammissibili in
questa sede.

In particolare, con motivazione pienamente coerente sul piano
logico e congruamente argomentata, la corte territoriale ha evidenziato come il linguaggio utilizzato dai conversanti nel corso dei colloqui riferiti agli episodi coinvolgenti il Sale fosse chiaramente relativo
al trasporto di sostanza stupefacente (“erba medica”; “foraggio” che
diventa, in una conversazione successiva, la “nera da toccare”), come
confermato dai riscontri forniti dal significativo analogo contenuto di
altre conversazioni (interpretate come ugualmente indicative del traffico di stupefacenti), nonché dall’inverosimiglianza di una spedizione
dal Campidano al nuorese (da Villamar a Orotelli) per il mero trasporto di un carico di foraggio (per l’evidente e macroscopica antieconomicità dell’operazione), oltre che per l’inspiegabilità
dell’inusuale preoccupazione manifestata dal Sale in relazione al destino della spedizione, ove si fosse effettivamente trattato del trasporto di un mero carico di foraggio costituente un donativo del Melis
(soggetto già pesantemente coinvolto nel traffico di stupefacenti)
all’odierno imputato (cfr. pag. 129 della sentenza d’appello): elementi, tutti, pienamente idonei a lasciar ritenere largamente inverosimili
le alternative spiegazioni ancora in questa sede avanzate
dall’imputato, costituenti una mera rilettura in fatto delle risultanze
istruttorie acquisite; rilettura di per sé insuscettibile di ingenerare
alcun ragionevole dubbio, in termini di congruenza logica,
sull’effettiva responsabilità penale dell’imputato.
3.15. — Il ricorso proposto da Fausto Pilloni è infondato.
Con riguardo al contestato accertamento della partecipazione
dell’imputato al reato associativo allo stesso contestato, la corte territoriale ha evidenziato, sulla base di una motivazione coerentemente e
logicamente argomentata, come, già nelle dog,lianze illustrate con
l’atto d’appello, Fausto Piloni avesse erroneamente orientato la propria attenzione alle singole conversazioni riguardanti il proprio coinvolgimento nel traffico degli stupefacenti, frammentariamente e isolatamente considerate, piuttosto che all’insieme delle stesse, in un
quadro complessivo di riferimento idoneo a fornire evidenti forme di
riscontro circa la piena adesione dell’imputato al sodalizio criminoso
ascrittogli.
Secondo il coerente ragionamento probatorio dipanato nella
motivazione della sentenza impugnata, la circostanza che Fausto Pilloni fosse organico all’associazione facente capo a Salvatore Melis risulta inequivocabilmente confermata dalle conversazioni intercorse
tra Simone Pilloni e lo stesso Salvatore Melis, la dove quest’ultimo

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evidenzia il proprio malcontento per il modo di lavorare di Fausto
Pilloni (“non l’ha ancora venduta”; “io non gliene do più”), inequivocabilmente evidenziando la circostanza del già avvenuto pieno inserimento di Fausto Pilloni nell’associazione di cui Melis è responsabile, nessun significato alternativo potendo ricondursi, in senso contrario, al frequente discorrere del modo in cui Fausto Pilloni si sarebbe
comportato, tanto nell’attività di spaccio quanto nella propria vita
personale, laddove egli fosse stato solo un mero acquirente di sostanze stupefacenti in parte destinate allo spaccio e in parte al suo consumo personale.
Tali conversazioni, pertanto, devono inequivocabilmente ritenersi riferite (secondo il ragionamento coerentemente logicamente
argomentato dalla corte territoriale) a un soggetto che desta evidenti
preoccupazioni ai sodali e allo stesso responsabile dell’associazione di
cui lo stesso è parte integrante, tali da porre in dubbio l’affidamento
della sua permanenza all’interno della stessa (cfr. pag. 118 della sentenza d’appello).
Devono essere infine disattese le censure sollevate dal ricorrente, con riguardo al riconoscimento a suo carico della recidiva reiterata e alla mancata concessione in suo favore della circostanza attenuante della minima partecipazione al reato associativo.
Al riguardo, deve ritenersi ineccepibile la motivazione dettata
dal giudice d’appello, là dove ha coerentemente evidenziato come i
precedenti penali dell’imputato fossero numerosi e gravi, e altresì tali
da prospettare concretamente una significativa pericolosità sociale e
un’evidente propensione alla reiterazione degli illeciti da parte
dell’imputato, anche dopo aver beneficiato di plurimi affidamenti al
servizio sociale; a nulla valendo, in senso contrario, le mere censure
in fatto inammissibilmente riproposte in questa sede dal ricorrente.
Allo stesso modo, con motivazione coerentemente e logicamente argomentata, i giudici d’appello hanno escluso la concedibilità,
in favore dell’imputato, della circostanza attenuante della minima
partecipazione di cui all’art. 114 c.p., evidenziando come, nel complessivo contesto organizzativo de quo, Fausto Pilloni svolgesse comunque un ruolo essenziale, costituito proprio dalla protratta attività
di cessione a terzi di sostanze stupefacenti, in contrasto con l’essenza
dell’attenuante invocata, dal legislatore specificamente destinata
all’individuazione di forme marginali dell’apporto fornito dall’agente
nell’economia generale del reato associativo (cfr. pag. 118 della sentenza impugnata).

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata nei confronti di Palmas Sergio in relazione a tutti i reati contestati
e nei confronti di Melis Antonello in relazione al reato di cui al capo
34 punto 31, 2° capoverso (intermediazione nella compravendita di
hashish) e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Cagliari. Rigetta nel resto il ricorso di Melis Antonello. Rigetta gli altri ricorsi e
condanna i ricorrenti (ad eccezione del Procuratore generale, di Palmas Sergio e Melis Antonello) al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21.11.2013.

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