Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48533 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48533 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA


sutricors$ proposte da:

Data Udienza: 22/10/2013

SENTENZA

BEVACQUA MARCO N. IL 30/07/1982
CAROLEO GIUSEPPE N. IL 01/01/1973
MARUCA MICHELE N. IL 25/12/1953
PASSALACQUA GIUSEPPE N. IL 23/10/1986
VENEZIANO GIOVANNI N. IL 30/10/1980
avverso la sentenza n. 250/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 17/05/2012

visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2013 la relazione fatta dal
.
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Gpsierale in e sona del Dott. fika, ourrty.e r 00140-1-421^”. i_
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Ritenuto in fatto

BEVACQUA Marco, CAROLEO Giuseppe, MARUCA Michele, PASSALACQUA Giuseppe e
VENEZIANO Giuseppe ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in
melius quella di primo grado solo limitatamente alla posizione del CAROLEO [con il

309 del 1990 e conseguente rideterminazione della pena], per il resto ha confermato il
giudizio di responsabilità per i reati a ciascuno ascritti.

BEVACQUA Marco articola tre motivi.

Con il primo, sostiene l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche relative ad uno dei
decreti autorizzativi sostenendo che le operazioni, da eseguirsi con la tecnica della
remotizzazione, sarebbero state irritualmente eseguite con l’esecuzione anche delle
operazioni di registrazione presso l’ufficio di polizia.

Conseguentemente, lamenta che la Corte di merito non abbia rinnovato il dibattimento
ammettendo l’accesso al server della Procura del consulente all’uopo designato, onde
apprezzare la corrispondenza tra i files.

Con il secondo, lamenta l’intervenuta affermazione di responsabilità per il reato di cui
all’articolo 73 del dpr n. 309 del 1990: le intercettazioni, si sostiene, avrebbero dovuto
consentire di ricostruire un diverso ruolo del Bevacqua, tale da escludere il suo
coinvolgimento nei fatti ascrittigli. Ciò anche a fronte di una riferita condizione
pregiudicata [si tratterebbe di soggetto colpito in tenera età da meningite], che lo
avrebbe reso idoneo a svolgere solo attività elementari, ma solo sotto stretta guida di
altri.

Con il terzo, la doglianza si incentra sul trattamento sanzionatorio, in particolare sul
diniego delle generiche basato sui precedenti penali.

CAROLEO Giuseppe articola cinque motivi.

Con il primo e il secondo, analoghi a quelli presentati nell’interesse del BEVACQUA, si
contesta l’inutilizzabilità delle intercettazioni e l’affermazione di responsabilità [sotto
quest’ultimo profilo, si sostiene che erroneamente sarebbero state valorizzate le

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riconoscimento dell’ipotesi mera partecipazione all’associazione ex articolo 74 del dpr n.

r.

intercettazioni, pur in assenza di riscontri obiettivi, attribuendo alle stesse quasi un
contenuto confessorio degli episodi incriminati].

Con il terzo, ci si duole del diniego dell’attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, del dpr
n. 309 del 1990, basato sia sulla sistematica ripetitività dell’attività incriminata, sia sulla
destinazione di questa all’ulteriore smercio.

cui all’articolo 74 del dpr n. 309 del 1990, sotto un duplice profilo: da un lato, con
riferimento al riconoscimento – che si contesta- della partecipazione associativa in
ragione del ravvisato ruolo di stabile acquirente di sostanza stupefacente; dall’altro, con
riferimento al mancato riconoscimento dell’associazione “attenuata” di cui al comma 6
dell’articolo 74 del dpr n. 309 del 1990, che la Corte territoriale aveva negato sul
presupposto che trattavasi di una associazione articolata e operante su un vasto
territorio.

Con l’ultimo motivo, si censura il trattamento sanzionatorio: da un lato, per avere il
giudice di appello computato un’aggravante già esclusa in primo grado; dall’altro, per
avere il giudice negato le generiche in ragione dei plurimi precedenti.

MARUCA Michele contesta sia l’affermato giudizio di responsabilità, che si sostiene non
basato su elementi desumibili dall'”incarto processuale”, sia il diniego dell’attenuante del
fatto di lieve entità, motivata dal giudicante in ragione dell’affermato inserimento del
prevenuto in collaudati e diffusi circuiti dediti al narcotraffico.

PASSALACQUA Giuseppe e VENEZIANO Giovanni, con motivi analoghi, contestano il
giudizio di responsabilità e la eccessività della pena.

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati, salvo quello del Caroleo, limitatamente alla determinazione della
pena.

Quanto ai motivi procedurali comuni del Bevacqua e del Caroleo [asserita inutilizzabilità
delle intercettazioni] vale in primo luogo il principio secondo cui in tema di ricorso per
cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali non solo
indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti
specificamente affetti dal vizio, ma anche chiarirne la incidenza sul complessivo
compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al

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Con il quarto, si contesta l’affermazione di responsabilità per la fattispecie associativa di

-:

provvedimento impugnato (cfr. Sezioni unite, 23 aprile 2009, Fruci; nonché, di recente,
Sezione VI, 19 ottobre 2012- 28 dicembre 2012 n. 49970, Muià ed altri).

Sotto questo profilo, è evidente che la doglianza basata sull’asserita irregolarità della
attività di “remotizzazione” risulta meramente i;Ag eettiva quanto agli effetti che ne
dovrebbero scaturire, difettando una puntuale rappresentazione delle ragioni per cui
l’affermazione di responsabilità non reggerebbe comunque al vaglio della corte di
legittimità, il quale non è certamente giudice del fatto.

In questa prospettiva, ciò che qui rileva è che la Corte di merito — giudice del fatto- ha
apprezzato il rispetto della disciplina di settore e, in particolare, la correttezza
dell’utilizzo nelle operazioni di intercettazione della tecnica del cosiddetto ascolto
“remotizzato”, in base al quale l’intercettazione, mediante istradamento dei flussi sonori,
può essere immediatamente ascoltata anche presso gli uffici della polizia giudiziaria;
tecnica che è legittima, senza necessità di dover far ricorso alla disciplina dell’articolo
268, comma 3, c.p.p., con conseguente utilizzabilità dei relativi esiti, purchè
la”registrazione”, che, sulla base delle tecnologie in uso, consiste nell’immissione dei dati
captati in una memoria informatica centralizzata, avvenga nei locali della Procura della
Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi
locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto,
verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque
essere eseguite “in remoto” presso gli uffici di polizia giudiziaria. Ciò perché l’attività di
riproduzione, e cioè di trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante
gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario, è operazione estranea alla nozione di
registrazione, la cui “remotizzazione” non pregiudica le garanzie di difesa, alla quale è
sempre consentito l’accesso alle registrazioni originali (cfr. Sezioni unite, 26 giugno 2008,
Carli).

Non può certo essere la Corte di legittimità a poter rinnovare tale apprezzamento,
andando a verificare la pretesa irregolarità nella fase della registrazione, che viene
sostenuta attraverso una opinabile ricostruzione del contenuto dei verbali e delle
dichiarazioni sul punto rese dai verbalizzanti nl corso del dibattimento: su questi profili ha
ampiamente argomentato il giudicante attraverso una disamina fattuale che qui, certo,
non può essere rinnovata.

Va soggiunto che correttamente la Corte territoriale non ha provveduto ex articolo 603
c.p.p. a rinnovare l’istruzione dibattimentale per consentire l’accesso della difesa al
server della Procura con un consulente all’uopo nominato.

4

;

Sul punto, il giudice dell’appello ha correttamente richiamato la disciplina di settore
[segnatamente, l’articolo 268, comma 6, c.p.], come interpretata anche dalla citata
sentenza delle Sezioni unite Carli: il legislatore ha, infatti, previsto specifici mezzi di
tutela, per le ipotesi in cui possano sorgere dubbi circa la regolarità della “registrazione” o
sospetti di manipolazione: ed invero, in forza del citato comma 6 dell’articolo 268 c.p.p.,
“ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a
norma dei commi 4 e 5, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni
ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche”. Per
l’effetto, i difensori ben avrebbero potuto [e dovuto] avvalersi delle facoltà riconosciute
dall’articolo 268, comma 6, c.p.p., anche al fine di verificare che l’impianto presente in
Procura non fosse stato utilizzato quale mero “ripetitore”, all’esclusivo fine
dell’instradamento del flusso di dati dall’operatore telefonico a quello di polizia, senza
l’inserimento e la “registrazione” degli stessi nel server esistente nei locali della Procura.

Il mancato esercizio di tale facoltà, quindi, non consentiva di avanzare la richiesta
successivamente rispetto alla scadenza indicata dal legislatore e, quindi, correttamente la
Corte di merito ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in
ossequio, tra l’altro, al carattere eccezionale dell’istituto, rispetto all’abbandono del
principio di oralità del secondo grado, nel quale vale la presunzione che l’indagine
istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al
primo giudice.

Inaccoglibili sono anche i motivi, analoghi, presentati da Bevacqua e Caroleo, in punto di
affermazione di responsabilità.

In tema di ricorso per cassazione, allorquando si prospetti il difetto di motivazione,
l’articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. non consente, infatti, alla Corte di legittimità
una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché
è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in
rapporto ai dati probatori (ex pluribus, Sezione VI, 6 maggio 2009- 27 maggio 2009 n.
22122, Esposito ed altro).

Affermazioni che vale a fortiori

allorquando si voglia porre in discussione la “lettura”

interpretativa delle intercettazioni – qui convergentemente effettuata in sede di merito.

In materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto
delle conversazioni costituisce una questione di fatto, rimessa dunque alla valutazione del
giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai

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criteri della logica e delle massime di esperienza (Sezione VI, 25 gennaio 2013- 17
maggio 2013 n. 21192, Barla ed altri).

Qui, a ben vedere, si esprime solo un opinabile dissenso sulle intercettazioni e sulla
ricostruzione operata in proposito dal giudice di merito, ma senza neppure prospettare
evidenti illogicità. Queste, del resto, non possono essere ravvisate nella rappresentata
condizione fisiche del Bevacqua [condizione che a quanto consta non ha impedito

concretamente impedito lo svolgimento delle attività incriminate nei termini
obiettivamente ricostruiti in sede di merito. Né, per vero, vi è vizio di illogicità nella
considerazione attribuita alle intercettazioni, pur in assenza di riscontri obiettivi desunti
dalle indagini di p,.g., ove si consideri che le intercettazioni possono essere esse stesse
fonte di prova autosufficiente e che le dichiarazioni effettuate durante le conversazioni
intercettate per principio pacifico sono liberamente valutate dal giudice secondo gli
ordinari criteri di apprezzamento della prova, finanche quando presentino valenza
accusatoria nei confronti di terzi che avrebbero concorso in reati commessi dagli stessi
dichiaranti, neppure valendo la regola di valutazione di cui al comma 3 dell’articolo 192
c.p.p. (Sezione VI, 10 giugno 2005- 4 ottobre 2005 n. 35680, Patti): a fortiori , quindi,
tali dichiarazioni possono valere nei confronti degli stessi dichiaranti quando il giudice come nella specie- le interpreti in modo coerente e satisfattivo.

Corretto è il diniego dell’attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, del dpr n. 309 del
1990 nei confronti del Caroleo.

In tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza
attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti
gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e
circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità
e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo,
conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di
questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve
entità” (Sezione IV, 28 aprile 2011- 9 giugno 2011 n. 23297, Ferri ed altri).

Il giudice si è mosso in ossequio a questo principio, valorizzando negativamente non
tanto e non solo la sistematica ripetitività dell’attività di spaccio [che, in astratto, non
sarebbe ostativa dell’attenuante: Sezione VI, 5 marzo 2013- 7 marzo 2013 n. 10895,
Massara ed altro.], bensì il fatto nel suo complesso, che, anche in ragione della
destinazione della sostanza, è stato ritenuto – in modo non arbitrario e qui insindacabile-

6

precedenti condanne], non spiegandosi per quale ragione tali condizioni avrebbero

non coerente con i caratteri di minima gravità che devono qualificare il trattamento
attenuato.

La censura è quindi di merito.

Corretta e correttamente motivata è l’affermazione di responsabilità del Caroleo
relativamente alla fattispecie associativa, in ossequio al principio secondo cui il reato di

ravvisarsi anche relativamente alla posizione dello stabile acquirente della sostanza
stupefacente dall’associazione. In tal caso, infatti, la contrapposizione tra i soggetti tipica
dello schema contrattuale sinallagmatico resta superata ed assorbita nel rapporto
associativo, per l’interesse preminente dei protagonisti dello scambio alla stabilità del
rapporto, che assicura la certezza del contraente sia all’associazione, che trova la
garanzia della disponibilità dell’acquirente della sostanza stupefacente commerciata, sia
all’acquirente, che deriva dal rapporto associativo la certezza della fornitura. In
conseguenza dell’accordo, quindi, i singoli atti di acquisto divengono altrettanti reati-fine
dell’associazione, laddove, in assenza dell’accordo, essi rimangono singole illecite
operazioni di natura sinallagmatica (Sezione VI, 25 novembre 2009- 10 febbraio 2010 n.
5405, Manxhari).

Tale principio è stato supportato – in modo incensurabile- valorizzando i rapporti
reciproci instauratisi tra il Caroleo e gli altri associati, dimostrativi della “stabile
disponibilità” del Caroleo all’acquisto delle sostanze stupefacenti, sì da potersene
dedurre il suo “consapevole e concreto contributo alla realizzazione di un programma
criminoso comune destinato ad attuarsi a tempo indeterminato”.

Parimenti corretta, sempre con riguardo al Carole, è il diniego dell’attenuante di cui al
comma 6 dell’articolo 74 del dpr n. 309 del 1990, argomentato – come si è detto- sul

partecipazione ad un’associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti può

rilievo che trattavasi di una associazione articolata e operante su un vasto territorio.

In tal modo, si è data esatta lettura del proprium dell’attenuante de qua che presuppone
non solo la modestia dei singoli episodi posti in essere o solo progettati, ma impone che
la complessiva attività dell’associazione si presenti come oggettivamente modesta,
scarsamente pericolosa e, quindi, meritevole di un più benevolo trattamento
sanzionatorio (in termini, Sezione I, 20 novembre 2002, Di Grande ed altri; Sezione V,
10 maggio 2002, Proc. gen. App. Napoli in proc. Ferraiuolo ed altri; Sezione V, 29 marzo
2001, Cerreoni ed altri; Sezione VI, 17 maggio 1996, Solpasso ed altri).

7

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Del resto, contrasterebbe primariamente con la logica, oltre che con la rilevata ratio
dell’attenuante, il concedere il più benevolo trattamento sanzionatorio in una situazione
fattuale, caratterizzata sì da episodi criminosi (realizzati o solo progettati) che, considerati singolarmente, presentino le caratteristiche di cui al comma 5 dell’articolo 73, ma che
tuttavia, complessivamente considerati, si appa lesino tutt’altro che scarsamente
pericolosi. Ciò che si potrebbe verificare, esemplificando, nel caso di una significativa
molteplicità degli episodi criminosi, pur singolarmente modesti, (ma) reiterati in ampio

A ben vedere, ci si troverebbe in presenza di connotazioni fattuali dell’attività criminosa
tali da non poterla considerare affatto di “lieve entità”, pur se tale connotazione avessero
i singoli episodi, progettati e/o attuati, costituenti l’oggetto del disegno criminoso
associativo.

In altri termini, l’applicabilità dell’attenuante de qua presuppone non solo la modestia dei
singoli episodi posti in essere o solo progettati, ma impone che la complessiva attività
dell’associazione si presenti come oggettivamente modesta, scarsamente pericolosa e,
quindi, meritevole di un più benevolo trattamento sanzionatorio.

Il giudicante ha rispettato detto principio, valorizzando negativamente il fatto che si
trattava di un’associazione articolata, operante su un vasto territorio, caratterizzata dalla
capacità degli associati di potersi procacciare e offrire in vendita anche quantitativi
consistenti di stupefacente.

Di merito e quindi inaccoglibili sono poi le doglianze sul trattamento sanzionatorio
articolate da Bevacqua.

Vale ricordare, infatti, i principi pacifici, in forza dei quali, in tema di determinazione della
misura della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della
eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’articolo 133 c.p., assolve
adeguatamente alli obbligo della motivazione: infatti, tale valutazione rientra nella sua
discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi
in concreto (Sezione II, 3 febbraio 2010- 3 marzo 2010 n. 8545, Carlostella). Mentre, in
proposito, la valutazione del giudice di legittimità, in ordine all’efficacia ed alla
completezza degli argomenti svolti in sede di merito, non può andare scissa dal risultato
decisorio sotto il duplice profilo della pena in concreto irrogata e del giudizio globalmente
espresso, come manifestazione del convincimento del giudice di merito. In questa
prospettiva, la relativa motivazione può essere anche sintetica, quando le necessarie
argomentazioni siano già state adeguatamente svolte dal giudice nell’esame di altri punti
(Sezione VI, 9 febbraio 2010- 3 marzo 2010 n. 8598, Protasi).
8

arco di tempo e accompagnati dalla predisposizione di un’idonea struttura organizzativa.

In questa prospettiva, secondo principio parimenti non controverso, la sussistenza delle
circostanze generiche ex articolo 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere
esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria
decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e
congruamente argomentata, e senza che assuma rilevanza il fatto che in tale operazione
valutativa il giudice non abbia effettuato uno specifico apprezzamento per ciascuno dei

2013- 8 agosto 2013 n. 34277, D’Ambra; Sezione IV, 7 maggio 2013- 28 agosto 2013 n.
35703, Salmeri).

Su entrambi i profili, il giudice si è soffermato in modo satisfattivo e incensurabile in
questa sede, valorizzando, quanto al Bevacqua, i precedenti (anche per tentata
estorsione), ritenuti dimostrativi della non episodicità del comportamento delittuoso
nonostante la giovane età, nonché la valutazione obiettiva del fatto e dell’intensità del
dolo, comunque non contraddetti da puntuali deduzioni difensive.

Parzialmente fondato, sul punto, è invece il ricorso del Caroleo. Per questi valgono, in
generale, le considerazioni sopra sviluppate, specie con riferimento al diniego delle
attenuanti [per il Caroleo, in vero, cui pure la pena è stata ridotta per il riconoscimento
del solo ruolo partecipativo all’associazione, sono stati valorizzati le plurime condanne
per reati di “peculiare allarme sociale” e il ruolo “non direttivo”, ma comunque
“significativo” e “non di secondaria importanza”, svolto nella vicenda incriminata], ma
vale il rilievo che nel computo della pena è stato erroneamente computato rispetto alla
pena base di anni 13 l’aumento di mesi due per un’aggravante [articolo 74, comma 3,
del dpr n. 309 del 1990 già esclusa in primo grado].
Tale errore può essere corretto direttamente dalla Corte di cassazione, con l’eliminazione
di tale aumento di guisa che la pena detentiva finale va determinata in anni 14 e mesi 4
di reclusione.

Possono essere trattati congiuntamente i motivi proposti in punto di responsabilità da
Maruca, Passalacqua e Veneziano per l’assorbente rilievo che trattasi di censure che si
risolvono nella rappresentazione di un dissenso rispetto alla decisione [tra l’altro
conforme a quella di primo grado] formulato attraverso una lettura interpretativa delle
intercettazioni diversa da quella operata convergentemente dai giudici di merito e senza
specifiche ed articolate censure che potrebbero qui consentire di apprezzare l’illogicità
della condanna.

9

pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sezione feriale, 23 luglio

Qui, a ben vedere, si esprime solo un opinabile dissenso sulle intercettazioni e sulla
ricostruzione operata in proposito dal giudice di merito, ma senza neppure prospettare
evidenti illogicità. Si richiamano, pertanto, i principi già affermati con riferimento alle
posizioni del Bevacqua e del Caroleo.

Infondate sono anche le censure afferenti il trattamento sanzionatorio, avendo il
giudicante assolto adeguatamente all’obbligo della motivazione con riguardo all’entità

gravità dei fatti nonché la personalità degli imputati, già gravati da precedenti penali
specifici).
Quanto poi alla posizione del Maruca, corretto è poi il mancato riconoscimento
dell’attenuante di cui al comma 5 dell’articolo 73 del dpr n. 309 del 1990 operata, in
ossequio ai principi sopra richiamati, attraverso la valorizzazione “congiunta” del fatto e
l’apprezzamento del carattere ostativo al riconoscimento della tenuità all’apprezzato
coinvolgimento del prevenuto in “collaudati e diffusi circuiti organizzati dediti al
narcotraffico”.

Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna degli imputati Bevacqua,
Maruca, Passalacqua e Veneziano al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Caroleo Giuseppe,
limitatamente al riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 74, comma 3, dpr
309/90; aggravante che elimina. Ridetermina la pena inflitta a Caroleo Giuseppe in anni
quattordici e mesi quattro di reclusione e rigetta il ricorso del medesimo Caroleo nel
resto.Rigetta i ricorsi di Bevacqua Marco, Maruca Michele, Passalacqua Giuseppe e
Veneziano Giovanni che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 22 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

della pena irrogata al Passalacqua ed al Veneziano( valorizzando la reiterazione e la

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