Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48514 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48514 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) EL ASSAOUI EL BOUAZZAOUI, N. IL 30/8/1977,
avverso la sentenza n. 3540/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di Brescia
del 18/2/2013;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Aldo Policastro, che ha concluso per la
declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. El Assaoui El Bouazzaoui ricorre per cassazione con atto sottoscritto
personalmente avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di
Appello di Brescia ha confermato la condanna pronunciata nei suoi confronti dal
Tribunale della medesima città, per il reato previsto dall’art. 186, co. 2 lett. b) e
co. 2bis C.d.S.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l’imputato si trovava alla
guida di una autovettura Ford Fiesta quando, nella notte dell’11.1.2009, senza
che venissero coinvolti altri veicoli, usciva di strada ribaltandosi. Nel sinistro
l’imputato riportava gravi lesioni e condotto in ospedale gli accertamenti clinici

1

L

Data Udienza: 17/09/2013

facevano emergere che lo stesso era in stato di ebbrezza alcolica; l’El Assaoui
risultava inoltre aver assunto della cocaina.
La Corte di Appello respingeva la ricostruzione difensiva, secondo la quale il
veicolo, al momento del sinistro, era condotto da altra persona, a nome Jamad
Hanana, essendo l’imputato impossibilitato a guidare a causa di una malattia agli
occhi, esito di un infortunio sul lavoro occorsogli qualche giorno prima. Ad avviso
della Corte distrettuale, tale versione dei fatti non trovava adeguato riscontro
nelle acquisizioni processuali. In particolare, la tesi della assoluta incapacità di

certificazione medica prodotta dall’imputato; il fatto che il veicolo non fosse
dell’imputato non escludeva che egli potesse trovarsi alla guida dello stesso;
Jamad Hanana, il preteso conducente, non era mai stato rintracciato; questi, se
al volante, avrebbe certamente riportato dei danni, avendo il sinistro comportato
la distruzione dell’abitacolo, e non si sarebbe potuto dileguare a piedi; nel tempo
immediatamente successivo all’incidente l’imputato non aveva riferito di alcuna
persona presente sul posto, facendone menzione solo un anno e dieci mesi più
tardi; allo stesso modo tardiva era stata la indicazione dell’esistenza di un teste,
Lakbar Haijb, le cui dichiarazioni il Collegio distrettuale giudicava inattendibili e
smentite da quelle dei verbalizzanti.

2.1. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello è incorsa nella violazione
degli artt.190, 191, 391bis, 391octies, 391decies, 431, co. 2, 493, co. 3, 495,
co. 1 e 2, 500, co. 7, 507, 555, co. 4 e 603 cod. proc. pen. nonché in
travisamento della prova e/o mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta
illogicità della motivazione, poiché:
avendo disposto la rinnovazione dibattimentale ex art. 603, co. 2 e 507
cod. proc. pen. con l’escussione di alcuni testi dell’accusa, avrebbe
dovuto ammettere i testi a prova contraria della difesa dell’imputato e
disporre l’acquisizione delle dichiarazioni acquisite dal difensore ai sensi
dell’art. 391bis cod. proc. pen.;
– essendo intervenuto il consenso del p.m. in ordine all’acquisizione delle
dichiarazioni acquisite ex art. 391b1s cod. proc. pen., prove nuove
sopraggiunte al giudizio di primo grado, la Corte di Appello avrebbe
dovuto disporne l’acquisizione ai sensi di tali norme ed altresì degli artt.
431, co. 2, 493, co. 3, 555, co. 4 e 500, co. 7 cod. proc. pen.;
in ogni caso avrebbe dovuto procedere all’escussione dei testi indicati
dalla difesa perché prove decisive per l’identificazione del conducente del
veicolo al momento del sinistro; peraltro il rigetto della richiesta è
risultato immotivato.

2

guidare a causa degli esiti del menzionato infortunio non trovava conforto nella

2.2. Con un secondo motivo l’imputato deduce violazione di legge e vizio
motivazionale per essere state illegittimamente utilizzate “le risultanze dei
‘moduli’ impiegati dai carabinieri per notificare in data 18.1.2009 i verbali di
contestazione delle violazioni di cui agli artt. 186 e 187 C.d.S.”, nonostante tali
atti fossero stati formati in assenza del difensore e senza l’avviso di cui all’art.
64, co. 3 cod. proc. pen. sicchè i militari non avrebbero potuto chiedere
all’imputato se intendeva rilasciare dichiarazioni spontanee. Ci si duole poi della

dibattimentale e in particolare in sede di contestazione delle violazioni al codice
della strada, reputando ragionevole che i Carabinieri non richiesero all’imputato
se intendeva rendere dichiarazioni perché risultavano violazioni costituenti reato
(si ricorda che l’art. 200, co. 2 C.d.S. prevede che venga richiesto al trasgressore
se intende rendere dichiarazioni solo se si tratta di illeciti amministrativi). Infine,
si giudica illogica la sentenza perché deduce dal silenzio in sede di contestazione
delle violazioni la veridicità di quanto contestato.

2.3. Con un terzo motivo si deduce violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.,
travisamento della prova e vizio motivazionale in relazione al giudizio di
inattendibilità di Lakbar Haijb. Si rimarca che la Corte di Appello ha ritenuto che
questi fu colui che chiamò il 118; che egli riferì correttamente la posizione
dell’auto dopo il sinistro; che la presenza del teste sul posto venne confermata
dai testi Capone e Amodio, dalle cui dichiarazioni si ricava la presenza di altre
persone sul luogo dell’incidente dopo la sua verificazione.
Illogica è poi, per l’esponente, l’affermazione secondo la quale il teste
Labkar sarebbe sospetto perché comparso per la prima volta in giudizio, posto
che l’imputato non è mai stato sentito dall’a.g.; ed illogica è la sentenza
impugnata laddove ritiene inesistente il soggetto a nome Hanana Jawad ma
afferma che l’imputato poteva aver chiesto l’auto proprio a quest’ultimo. Rileva il
ricorrente che non vi è prova della ricostruzione fatta dalla Corte di Appello ed
altrettanto dicasi del fatto che l’auto era stata affidata all’imputato.
Il giudice di seconde cure ha anche travisato il significato delle dichiarazioni
del Lakbar o non le ha considerate complessivamente ed ha valutato in modo
illogico l’attendibilità del medesimo.

2.4. Con un quarto motivo l’imputato deduce l’illogicità della valutazione
fatta dalla Corte distrettuale in merito alla gravità della malattia che lo affliggeva
al momento dell’incidente ed altresì in ordine all’assenza di altra persona
nell’auto.

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errata valutazione del silenzio mantenuto dall’imputato sino all’udienza

Lamenta inoltre l’illegittimità della sentenza per violazione del principio per il
quale la pronuncia di condanna richiede che ogni altra ipotesi alternativa sia
esclusa oltre ogni ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1. I rilievi formulati con il primo motivo non colgono il segno. Deve
premettersi che, secondo quanto emerge dal verbale dell’udienza del 3.12.2012,
il difensore in quella sede chiese di “produrre indagini difensive., e

menzionati. Orbene: a) in linea generale, non esiste alcun obbligo giuridico di
acquisizione di atti dell’indagine difensiva: la transizione delle acquisizioni delle
indagini difensive replica le forme ed i limiti che valgono per gli atti contenuti nel
fascicolo del p.m. (391-decies cod. proc. pen.); b) in particolare, nel giudizio di
appello l’acquisizione (se del caso, concordata) di nuovi atti trova disciplina e
limite nell’art. 603 cod. proc. pen. e quindi presuppone che il giudice ritenga di
non poter decidere allo stato degli atti (comma 1) ovvero che si tratti di prove
sopravvenute al giudizio di primo grado, ma sempre che siano non vietate dalla
legge e non manifestamente superflue o irrilevanti (art. 190, co. 1, cui fa rinvio il
comma 2 dell’art. 603).
Del tutto correttamente, quindi, la Corte di Appello ha rigettato la richiesta
difensiva argomentando la irrilevanza delle dichiarazioni rese al difensore da Ben
Khada e da Ej Jet Moussa con motivazione nient’affatto illogica, avendo il
Collegio rilevato che quelle dichiarazioni offrivano indicazioni per un tempo di
molto antecedente a quello in cui avvenne il sinistro. Sicché, anche il rilievo che
si appella all’intervenuto consenso del P.G. alla produzione degli atti, si
manifesta immediatamente infondato.
Sotto altro profilo, fermo restando il diritto della parte alla prova contraria,
che quelli indicati dalla difesa fossero testi a prova contraria rispetto alla prova
disposta di ufficio all’udienza del 1.10.2012 (escussione del verbalizzante
Capone) è affermazione che risulta formulata solo con il ricorso per cassazione,
non essendo stata prospettata tale qualità con l’istanza sopra ricordata. Peraltro,
lo stesso oggetto della prova, incidente sulla identità del conducente del veicolo
incorso nel sinistro, attesta che non si trattava di prova contraria rispetto a
quella disposta dalla Corte di Appello, che atteneva alla ‘dinamica del’incidente’.
Quanto alla sindacabilità della decisione della Corte di Appello di limitare la
rinnovazione istruttoria all’esame dei testi Capone e Amadio, essa va certamente
esclusa nel caso specifico, atteso che l’eventuale censurabilità è connessa alla
circostanza dell’esser stata omessa la motivazione del rigetto di un’istanza
all’uopo avanzata dalla parte; ebbene, nella vicenda in esame non risulta alcuna

documentazione medica…”. Il P.G. non si oppose alla produzione degli atti testè

istanza difensiva relativa all’escussione di Hanana Jawad e, per ciò che concerne
l’escussione di Meola Federica, la richiesta risulta avanzata solo in sede di
conclusioni.
Conclusivamente, non ravvisandosi errores in procedendo nelle decisioni
della Corte di Appello, le ulteriori doglianze del ricorrente vanno ritenute
inammissibili perché si sostanziano nell’affermazione della non condivisione delle
valutazioni operate dal giudice di seconde cure.

pen. per essere stato valutato dalla Corte di Appello il fatto che l’imputato, in
sede di notifica dei verbali di contestazione delle violazioni al C.d.S., non formulò
alcun rilievo, è sufficiente rilevare che in presenza di un dato negativo, quale
l’assenza di dichiarazioni, del tutto inappropriato è il richiamo alle disposizioni
che disciplinano le dichiarazioni rese dall’indagato, sulle quali lungamente
indugia il motivo di ricorso. Tanto conduce agevolmente a comprendere che la
circostanza alla quale la Corte di Appello ha fatto richiamo non è un atto
dichiarativo bensì un comportamento; per dirla con il linguaggio della teoria degli
atti linguistici, non un atto costatativo bensì un atto performativo. Il cui valore,
peraltro, nell’economia complessiva della decisione in esame, risulta meramente
confermativo del fatto che la ricostruzione degli eventi patrocinata dalla difesa
venne avanzata solo in sede dibattimentale.

3.3. Il giudizio di inattendibilità del Laktar, che il ricorrente censura per
diversi profili, risulta invero immune da censure. La Corte di Appello non si è
mossa sul presupposto che il Laktar non fosse stato sul posto, pur dubitandolo; e
partendo dalla premessa che pone il ricorrente medesimo – presenza sul luogo
del sinistro in tempo i poco successivo al verificarsi dello stesso – ha ritenuto che
egli non fosse però attendibile perché aveva riferito di aver scambiato qualche
parola con l’El Assouni, che però l’Amadio aveva rinvenuto privo di sensi; e che
la descrizione dello stato finale del veicolo e dell’infortunato non trovasse
conferma nella deposizione del teste da ultimo citato.
Ne risulta che l’argomentazione posta a sostegno del giudizio di
inattendibilità del Laktar non è affetta da manifesta illogicità.

3.4. Ogni ulteriore censura denuncia l’approccio parcellizzante del ricorrente
al giudizio probatorio espresso dalla Corte di Appello. Appare allora opportuno
rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza
conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia
riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale

3.2. In merito alla pretesa violazione degli artt. 350, 64 e 191 cod. proc.

della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza
di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o
fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla
collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero
dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente
dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati
inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che
siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro

interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc.
Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri,
Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775;
Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
In ciò vi è la perimetrazione del sindacato che il giudice di legittimità può
operare sulla valutazione della prova svolta dal giudice di merito; posti il
principio della libertà di convincimento del giudice e l’insussistenza di un regime
di prova legale, il presupposto della decisione è costituito dalla motivazione che
la giustifica. Il giudice di legittimità, investito di un ricorso che proponga una
diversa valutazione degli elementi di prova (cosiddetto travisamento del fatto),
non può optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei
fatti, valutando a sua volta la prova disponibile; egli può unicamente verificare,
negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il
risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa
verifica non si risolva in una valutazione della prova (Sez. 4, Sentenza n. 36769
del 09/06/2004, Cricchi ed altri, Rv. 229690).
Il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, pure richiamato dal
ricorrente, costituisce l’espressione di una regola di giudizio cui il giudice del
merito è tenuto ad attenersi – in buona parte già desumibile dal disposto dell’art.
530 co. 2 e 3 cod. proc. pen. – e che impone allo stesso di giungere alla
condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e
plausibilità.
Tuttavia, tale principio non vale ad intaccare l’altro fondamentale cardine in
tema di decisione del processo, valido con riferimento al giudizio di legittimità: e
cioè quello secondo cui, anche dopo la novella normativa dell’art. 606 cod. proc.
pen., comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, non muta la natura del
sindacato della Corte di cassazione, chiamata ad un controllo sulla persistenza o
meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione
necessariamente unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di

rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo

essi imperniati, non potendo in ogni caso la sua valutazione sconfinare
nell’ambito del giudizio di merito (Sez. 6, Sentenza n. 14054 del 24/03/2006,
Rv. 233454). In altri termini, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio non
può certo valere a far sì che sia la Cassazione a valorizzare e rendere decisiva la
duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emersa
nella sede del merito e segnalata dalla difesa, una volta che tale eventuale
duplicità sia stata il frutto di un’attenta e completa disamina da parte del giudice
dell’appello, il quale abbia operato una scelta, sorreggendola con una

infatti la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio deve ritenersi
osservata dal giudice del merito e la Corte di cassazione non può che rilevarne il
rispetto, a prescindere dalla persistenza dei dubbi della difesa sulla correttezza
della ricostruzione prescelta (Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013, Rv.
254579).
Proiettando siffatte premesse in diritto sul caso in esame, va in primo luogo
rimarcato come la sentenza impugnata abbia condiviso e ribadito la ricostruzione
operata dal giudice di primo grado il quale, a fronte della versione difensiva, con
motivazione non manifestamente illogica ne ha superato i principali argomenti.
In merito alla pretesa incompatibilità dell’affezione ad un occhio e la guida di
u veicolo da parte dell’imputato, essa è stata esclusa dai giudici di merito sulla
scora della documentazione in atti, e tale valutazione è incensurabile in questa
sedE, non risultando peraltro superata dalle successive argomentazioni difensive.
Per ciò che concerne la deposizione del Laktar, la scrupolosa disamina
dell’attendibilità del teste risulta in ogni caso marginalizzata dal decisivo rilievo
della Corte di Appello della inidoneità di tali dichiarazioni a risolvere il nodo della
presenza di una seconda persona all’interno del veicolo uscito di strada,
considerato che il Laktar riferì che qualcuno si allontanava dal luogo del sinistro
ma non di aver visto taluno uscire dal veicolo.
Ancora con riferimento alla identità del conducente del veicolo, la Corte di
Appello ha rimarcato la circostanza dell’essere l’imputato rimasto intrappolato
sotto l’auto, ribaltata sul lato conducente; e ne ha dedotto l’impossibilità che
egli, rinvenuto all’esterno dell’autovettura in gravi condizioni fisiche, avesse
potuto scavalcare un altro soggetto alla guida.
Nel complesso, si tratta di ricostruzione che non manifesta alcuna intima
contraddizione né è incoerente con i dati processuali assunti dal giudicante.
Pertanto, e in conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

7

motivazione rispettosa dei canoni della logica e della esaustività. In tal modo

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 117/9/2013.

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