Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48499 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 48499 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Barra Anna

nata il 5.6.1968

avverso l’ordinanza del 16.4.2013
del Tribunale di Napoli
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G.,dr.Fulvio Baldi, che ha chiesto
annullarsi senza rinvio l’ordinanza impugnata

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Data Udienza: 07/11/2013

RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione Barra Anna, a mezzo del difensore, denunciando la contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari, la
violazione di legge ed il travisamento del fatto.
La difesa, davanti al riesame, aveva prodotto documentazione (verbali di s.i.t. raccolti ex
art.391 ter co.3 c.p.p., certificato di residenza storica di Altruda Pasquale, coniuge della
ricorrente, istanza di concessione in sanatoria depositata in data 9.12.2004) da cui risultava
inequivocabilmente che l’immobile sequestrato era abitato fin dall’anno 2006 e che da
quell’epoca non vi era stata alcuna ulteriore attività edilizia.
E si evidenziava, quindi, che tutti i reati erano prescritti. La data di accertamento della Polizia
municipale non corrispondeva infatti a quella di realizzazione dell’abuso edilizio e neppure
della violazione di sigilli (apposti in data 14.5.1998).
Il Tribunale si è dilungato in ordine ai requisiti richiesti dal provvedimento di sequestro, ma ha
omesso ogni motivazione in ordine alla eccepita prescrizione alla luce di tutta la
documentazione prodotta (non contrastata da elementi di segno contrario).
Né ha tenuto conto il Tribunale che, in presenza di un reato prescritto, non è possibile
disporre un provvedimento di cautela reale

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Va premesso che, a norma dell’art.325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto
soltanto per violazione di legge..
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte ( sentenza n.2/2004, Terrazzi), nel concetto di
violazione di legge può comprendersi, però, la mancanza assoluta di motivazione o la
presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise
norme processuali, quali ad esempio l’art.125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le
ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo
mezzo di annullamento dall’art.606 lette) c.p.p., né tantomeno il travisamento del fatto non
risultante dal testo del provvedimento.
Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n.25932
del 29.5.2008-Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia
gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da
rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o
privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a
rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

1. Con ordinanza in data 16.4.2013 il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame,
proposta nell’interesse di Barra Anna, confermando il decreto di sequestro preventivo, emesso
dal GIP del Tribunale di Napoli il 15.3.2013, del manufatto ubicato in Cardito, ipotizzando a
carico della Barra il reato di cui all’art.349 c.p.
Dopo aver richiamato i motivi di riesame e la documentazione prodotta dalla difesa in allegato
alla memoria, riteneva il Tribunale che fosse condivisibile il ragionamento del GIP che aveva
ritenuto prescritti i reati edilizi ed aveva imposto il vincolo reale sul manufatto in relazione al
reato di violazione di sigilli.

3. Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr.in
particolare sez.unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc.Bassi), nei procedimenti incidentali aventi ad
oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una “piena cognitio” del
Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità
dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la
correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con

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4. Con il ricorso si lamenta, sostanzialmente, l’omesso esame della documentazione prodotta
(con la quale si assumeva che il sequestro era stato eseguito nell’anno 1998 e che la violazione
dei sigilli non poteva che essere avvenuta prima dell’anno 2006, essendo in tale epoca
l’immobile già ultimato ed abitato) e, conseguentemente, la mancanza di motivazione (da
ricondursi alla previsione di cui all’art.125 co.3 c.p.p.) in ordine alla eccepita prescrizione
anche del reato di cui all’art.349 c.p..
In effetti il Tribunale, dopo aver elencato detta documentazione, si limita, da un lato, a rinviare
al provvedimento impugnato e, dall’altro, ad ipotizzare una sorta di “permanenza” del reato di
cui all’art.349 c.p. (“..il fine di garantire la conservazione della cosa, richiamato dall’art.349
c.p, è dissolto, anche, attraverso il mero uso di essa…” (pag.3).
Secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, però, il reato di violazione di sigilli ha natura
istantanea e si perfeziona per il solo fatto della rimozione, rottura, distruzione dei sigilli,
ovvero con la realizzazione di qualsiasi comportamento idoneo a frustrare l’assicurazione della
cosa mediante i sigilli pur lasciando intatti i medesimi. E il momento di perfezionamento del
reato può essere desunto anche da indizi gravi, precisi e concordanti e da nozioni di comune
esperienza: quindi si può ritenere, in virtù di considerazioni logiche (l’inosservanza dei doveri
imposti avviene a distanza di qualche tempo), di fatti notori (sospensione dell’attività edilizia
durante il periodo natalizio), di massime di esperienza (l’accertamento viene effettuato
tempestivamente a seguito, per lo più di denuncia anonima) che il momento consumativo del
delitto coincida con quella dell’accertamento salva l’esistenza di ipotesi anomale e particolari
da provare rigorosamente, le quali intaccano la detta presunzione rendendo almeno dubbia
l’epoca di commissione dei fatti (cfr. ex multis Cass.pen. sez. 3 n.13147 del 2.2.2005;
Cass.pen. sez. 3 n.47082 del 16.1.2007).
5. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Napoli.
Il Giudici del rinvio, alla luce dei principi sopra enunciati, accerteranno, pur con i limitati poteri
del riesame (ma tenendo conto delle deduzioni delle parti) se era maturata la prescrizione
anche del reato di cui all’art.349 c.p.p.
P. Q. M.

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l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, potere questo riservato al
giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale
risponde all’esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura
per un preventivo accertamento sul “meritum causae”, così da determinare una non consentita
preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la
rigida attribuzione di competenze nell’ambito di un medesimo procedimento.
L’accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo
della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano
fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno
valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono- in una prospettiva di
ragionevole probabilità- di sussumere l’ipotesi formulata n quella tipica. Il Tribunale del
riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile
ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della
fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che
legittimano il sequestro (ex multis Cass.pen.sez.,3 n.40189 del 2006- ric.Di Luggo).
Il controllo non può quindi limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità
in astratto del fatto indicato dall’accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto
attraverso la valutazione dell’antigiuridicità penale del fatto come contestato, ma tenendosi
conto, nell’accertamento del “fumus commissi delicti”, degli elementi dedotti dall’accusa
risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive.
Secondo anche la già citata sentenza (sez. un. n.23/1997), non sempre correttamente
richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza del
cd.fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell’astrattezza, va sempre riferito
ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale (principi affermati più volte
da questa sezione 3, 29.11.1996, Carli; Cass.sez.3, 1.7.1996, Chiatellino; 30.11.199, Russo;
2.4.2000, P.M.c.Cavagnoli; n.5145/2006).

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli.
Così deciso in Roma il 7.11.2013

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