Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48475 del 07/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 48475 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1) P.M. presso il Tribunale di Fermo
2) Parte civile TOD’S s.p.a.
avverso la sentenza del 21.12.2011
del GIP del Tribunale di Fermo
nei confronti di
1)
2)
3)

Scaramazza Patrizia
Granatelli
Massimo
Franceschetti Daniela

nata il 7.02.1954
nato l’ 8.11.1957
nata il 23.9.1962

sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G.,dr.Fulvio Baldi,che ha chiesto
annullarsi con rinvio la sentenza impugnata
sentito il difensore di parte civile, aw.Francesco De Minicis,
che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi
sentiti i difensori degli imputati, avv. Massimo Ortensi, per
Granatelli e Scaramazza, che ha concluso per il rigetto del
ricorso del P.M. e per la inammissibilità del ricorso della
parte civile, e avv. Igor Giostra, per Franceschetti, che ha
chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso della parte civile

1

Data Udienza: 07/11/2013

1. Con sentenza in data 21.12.2011 il GUP del Tribunale di Fermo dichiarava non
luogo a procedere nei confronti di Scaramazza Patrizia, Granatelli Massimo e
Franceschetti Daniela in ordine ai reati di cui all’art.323 c.p. loro rispettivamente
ascrittii ai capi c) e d) perchè i fatti non costituiscono reato.
Premetteva il GUP che il Granatelli, quale tecnico istruttore responsabile del
procedimento urbanistico, esprimeva parere di conformità e la Scaramazza,
quale responsabile dell’Area 00.PP. e Gestione del territorio del Comune di
Sant’Elpidio a Mare, rilasciava il permesso di costruire n.66/07 per la
realizzazione di tre centri commerciali nell’area progetto APC 6, da eseguirsi in
località Barcadoro, in favore della società “Il Castagno srI”; la Franceschetti,
quale responsabile dell’Area risorse finanziarie e Strumentali e dello Sviluppo
economico del Comune di Sant’Elpidio a Mare, rilasciava, a sua volta, tre
autorizzazioni commerciali in favore della medesima società.
Tanto premesso, rilevava il GUP che gli atti di indagine non erano idonei a
sostenere l’accusa in dibattimento in relazione all’elemento soggettivo di cui
all’art.323 c.p. (dolo intenzionale).
Dagli atti non emergeva alcun indizio di collusioni (neppure ipotizzate
nell’imputazione) con i soggetti responsabili della società destinataria dei
provvedimenti e neppure la consapevolezza di violazione della normativa
urbanistica (art.44 NTA del PRG che consentiva di realizzare nell’area
unicamente strutture di vendita di tipo medio, vale a dire con superficie non
superiore a 2.500 mq.), tenuto conto della non chiara formulazione della L.R.
Marche n.26/1999 in ordine alla possibilità che un unico centro commerciale
contenga più strutture senza che in tal modo venga a configurarsi una grande
struttura di vendita.
La Franceschetti, inoltre, prima del rilascio delle tre autorizzazioni commerciali
aveva richiesto parere in ordine alla configurabilità, sotto l’aspetto urbanistico,
di una struttura edilizia unica oppure di tre strutture edilizie distinte tra loro,
aventi autonomia funzionale, servizi e standard separati.
Stante tali difficoltà interpretative non sussisteva pertanto neppure la
macroscopica illiceità dell’atto, da cui poter desumere secondo la giurisprudenza
di legittimità, il dolo intenzionale del reato di cui all’art.323 c.p.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Fermo, denunciando l’erronea applicazione dell’art.425 co.3 c.p.p. e la manifesta
illogicità della motivazione.
Premette il ricorrente P.M. che la realizzazione del centro commerciale era
avvenuta in contrasto radicale con le previsioni del piano di lottizzazione,
approvato dal Comune, che prevedeva la costruzione di un unico edificio,
essendo stati realizzati quattro edifici. Con il rilascio dei tre permessi di costruire
si aggirava palesemente il disposto dell’art.44 delle NTA (secondo cui la
superficie di vendita non può essere superiore a 2.500 mq) in quanto le tre
strutture, pur avendo complessivamente una superficie di circa 6.000 mq,
singolarmente non superavano i 2.500 mq.. Eppure, come emergeva dalla
disposta consulenza tecnica, i tre edifici, sia sotto il profilo edilizio che sotto
quello commerciale costituivano un’unica struttura (da definirsi quindi come
“grande struttura”).
Tanto premesso, la sentenza del GUP, in relazione alle posizioni di Granatelli e
Scaramazza (per le quali viene proposta impugnazione) viola l’art.425 co.3 c.p.p.
e motiva illogicamente in ordine alla insufficienza di elementi, sotto il profilo
dell’elemento soggettivo, per disporre il rinvio a giudizio, quanto meno con
riferimento alla violazione del piano di lottizzazione.
Contrariamente a quanto ritenuto dal GUP risulta con evidenza la macroscopica
illegittimità dei tre permessi di costruire rilasciati per la realizzazione di quattro
edifici, nonostante che il piano di lottizzazione approvato ne prevedesse uno
solo, con l’evidente finalità di aggirare le previsioni dell’art.44 NTA e quindi per

2

RITENUTO IN FATTO

Ak

3. Ricorre per cassazione la parte civile TOD’S spa, a mezzo del difensore,
denunciando, con il primo motivo, la contraddittorietà, illogicità manifesta ed in
parte la omessa motivazione.
Il GUP,dopo aver riconosciuto l’evidenza della violazione del piano di lottizzazione t
contraddittoriamente dubita dell’esistenza del dolo, adducendo difficoltà
interpretative della normativa regionale.
Nella motivazione si riconosce che le strutture edilizie sono quattro, per cui se
gli imputati avessero ritenuto, in buona fede, che ad ogni struttura edilizia
debba corrispondere una distinta struttura commerciale, avrebbero dovuto
negare il rilascio di soli tre permessi di costruire. Inoltre la norma regionale non
è isolata nell’ordinamento, risultando la definizione di “centro commerciale” data
dall’art.4 D.L.vo 114/98, legge quadro vigente su tutto il territorio nazionale (tale
norma statale richiamata dal GUP rende assolutamente insostenibile la difficoltà
interpretativa, tenuto conto anche della preparazione e competenza
professionale e dell’assoluta incongruità ed incompletezza del parere del
Granatelli richiamato in relazione alla posizione della Franceschetti).
La sentenza omette di motivare inoltre in ordine ai beni interessi sottesi alla
diversa disciplina urbanistica dettata per le grandi strutture di vendita ed al più
complesso iter procedimentale previsto per il rilascio delle relative
autorizzazione.
Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art.425 c.3 c.p.p., avendo il
GUP espresso un giudizio, riservato al Giudice del dibattimento, sulla
colpevolezza degli imputati, invece di limitarsi ad accertare la sostenibilità
dell’accusa in dibattimento.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art.323 c.p. e
la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine
all’impossibilità di ottenere in dibattimento “elementi sintomatici” del dolo
intenzionale.
3.1. Con memoria del 21.10.2013 la parte civile TOD’S evidenzia che, come
emerge dalla allegata sentenza del Consiglio di Stato del 2.8.2013, che ha
confermato la sentenza del Tar Marche, quella realizzata dalla società “Il
Castagno srl” è una grande struttura di vendita. Ribadisce, inoltre, che l’art.44
NTA non consentiva nell’area di proprietà della predetta società la realizzazione
di una grande struttura di vendita.
4. Con memoria, depositata in cancelleria il 30.10.2013, il difensore di
Franceschetti Daniela, deduce l’inammissibilità del ricorso proposto dalla parte
civile TOD’S. Tale parte civile può essere considerata eventualmente quale
danneggiata dal reato, contestandosi una condotta volta a procurare vantaggio a
terzi (l’unica parte offesa è la P.A.). Il danneggiato che non sia anche persona
offesa non può impugnare la sentenza di non doversi procedere, ma deve
proporre autonoma azione risarcitoria civile.
5. Con memoria, deposita in cancelleria il 27.2.2013, il difensore di Granatelli e
Scaramazza, chiede il rigetto delle impugnazioni, avendo il GUP, sulla base della
costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, ampiamente motivato sulla
insussistenza del dolo intenzionale.
Il ricorso del P.M. desume il dolo soltanto dalla pretesa macroscopica illegittimità
del permesso di costruire rispetto al piano di lottizzazione, senza tener conto che
esso non costituisce atto normativo ai sensi dell’art.323 c.p. che, comunque,
3

arrecare un ingiusto vantaggio patrimoniale al beneficiario. Del tutto
apoditticamente, poi, il GUP
ha escluso la possibilità di approfondimenti
dibattimentali e del tutto contraddittoriamente ed illogicamente,
pur
riconoscendo l’evidenza della violazione del piano di lottizzazione e quindi la
sussistenza della consapevolezza della violazione dello strumento urbanistico,
non attribuisce ad essa lo stesso valore sintomatico che avrebbe attribuito alla
violazione delle NTA senza le difficoltà ermeneutiche della legislazione regionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va rilevata, preliminarmente, la inammissibilità, ai sensi dell’art. 591 c.p.p.,
comma 1, lett. a) c.p.p., del ricorso della parte civile TOD’S,
A norma dell’art. 428 c.p.p., comma 2, avverso la sentenza di non doversi
procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare può proporre ricorso per
cassazione la persona offesa dal reato nei soli casi di nullità previsti dall’art. 419
c.p.p., comma 7. La persona offesa che sia costituita parte civile può, però,
proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606 c.p.p.
“E’ noto che la nozione di persona offesa dal reato non coincide con quella di
danneggiato, in quanto la prima costituisce un elemento che appartiene alla
struttura del reato, mentre il danneggiato è portatore di interessi connessi alle
conseguenze privatistiche dell’illecito penale (cfr. sez. 5, 198304116, Bortolotti,
RV 158854 a proposito del diritto di querela con l’affermazione che la persona
offesa è titolare del diritto di querela, mentre il danneggiato è legittimato ad
esercitare l’azione civile nel processo penale). In particolare la persona offesa dal
reato deve essere individuata nel soggetto titolare dell’interesse direttamente
protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce
l’essenza dell’illecito, (cfr. sez. 6, 200421090, Soddu, RV 228810). Peraltro, sono
chiare le ragioni che hanno indotto il legislatore a limitare la possibilità di
impugnazione della sentenza di non doversi procedere alla sola persona offesa
dal reato, poiché detta impugnazione è destinata a produrre direttamente effetti
nella sfera penale a differenza dell’impugnazione ai soli effetti della
responsabilità civile proponibile dalla parte civile, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., nei
successivi gradi del giudizio, (cfr. sez. un. 29.5.2008 n. 25695, P.C. in proc.
D’Eramo,RV 239701). Pertanto, il danneggiato, che non sia anche persona offesa
dal reato, non può impugnare la sentenza di non doversi procedere, ma deve
proporre autonoma azione risarcitoria nella sede civile” (cfr. Cass.pen. sez. 3
n.18811 del 19.5.2010).
Sicchè il soggetto che assume di avere subito un pregiudizio dalla edificazione
abusiva non è persona offesa dal reato, ma solo danneggiato, in quanto parte
4

non sussiste alcun macroscopico contrasto.
L’area in questione risulta individuata nel PRG come “APC6”. Il Piano di
lottizzazione, approvato dal Consiglio Comunale, negli elaborati grafici prevede il
massimo ingombro non indicando le destinazioni d’uso consentite; il massimo
ingombro dell’edificabile è peraltro non prescrittivo.
La richiesta di un unico permesso di costruire di più edifici non risulta vietata da
alcuna norma; né è prevista la separazione di tali costruzioni, dovendo essere
solo rispettata per ogni edificio la superficie consentita per una media struttura.
Sia con un unico permesso di costruire che con plurimi permessi si sarebbe
potuto realizzare quanto costruito. Le strutture rispettavano le NTA sia per l’uso
commerciale consentito UA/2 (media struttura di vendita con superficie inferiore
a mq.2.500), sia per i distacchi dai confini e tra gli edifici.
L’assunto accusatorio dell’obbligo di realizzare un unico fabbricato (rinvenibile
nelle tavole 6/a e 6/b allegate al piano di lottizzazione) è smentito dalla stessa
intestazione di tali elaborati e dal loro contenuto. E’ corretta, pertanto,
l’argomentazione del GUP, secondo cui l’elaborato grafico è solo indicativo del
massimo ingombro delle opere.
Anche l’assunto che il dolo sarebbe rinvenibile nel fatto che il rilascio dei
permessi di costruire era finalizzato a consentire attività di vendita in spazi
superiori è smentito dalla circostanza che sia il PRG che i P.d.L. prevedono la
realizzazione di medie strutture di vendita senza alcuna limitazione sul numero
delle stesse. Peraltro tutta la problematica in ordine alla sussistenza o meno di
una grande struttura di vendita non riguarda gli imputati Scaramazza e
Granatelli. In ogni caso non è possibile ipotizzare il dolo intenzionale stante le
difficoltà interpretative della normativa.

AA-

offesa è esclusivamente la pubblica amministrazione, che è titolare degli interessi
attinenti alla tutela territorio protetti dalla norma incriminatrice (dr. sez. 3,
14.1.2009 n. 6229, P.O. in proc. Celentano ed altri, RV 242532; sez. 3,
15.7.2005 n. 26121, Rosato, RV 231952).
Nel reato di abuso di ufficio, finalizzato a recare un ingiusto vantaggio, l’unica
parte offesa è la pubblica amministrazione, e nessun altro soggetto privato
assume la qualità di persona offesa dal reato, (cfr. sez. 6, 2003,39751, Mancini,
RV 226936; conf. sez. 6, 2005,44999, P.O. in proc. Scierri e altro, RV 232625).
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il reato di cui all’art.323 c.p. ha,
invece, natura plurioffensiva quando l’abuso di ufficio sia finalizzato ad arrecare
ad altri un danno ingiusto, perché è idoneo a ledere, oltre l’interesse pubblico al
buon andamento ed alla trasparenza della P.A., il concorrente interesse del
privato a non essere turbato nei suoi diritti dal comportamento illegittimo e
ingiusto del pubblico ufficiale (cfr. ex multis Cass. Pen. Sez. 6 n. 17642 del
10.4.2008, conf. Cass.pen. sez. 6 n.13179 del 29.3.2012).
Soltanto in tal caso, quindi, il privato danneggiato riveste la qualità di persona
offesa ed è legittimato a proporre impugnazione a norma dell’art.428 co.2 c.p.p.
1.1. Risulta chiaramente dalle contestazioni che la parte civile Tod’s non è
persona offesa del reato.
L’abuso di ufficio ex art.323 c.p., ascritto agli imputati, rispettivamente ai capi c)
e d) dell’originaria rubrica, era invero finalizzato a procurare un ingiusto
vantaggio patrimoniale alla società “srl il Castagno” e non certo ad arrecare alla
“TOD’S s.p.a” un danno ingiusto. L’unica persona offesa era pertanto la RA.
La parte civile “TOD’S s.p.a”, potendo assumere soltanto la veste di eventuale
danneggiata dal reato, non era conseguentemente legittimata, per cui il suo
ricorso va dichiarato inammissibile, con le conseguenze di legge.
2. Il ricorso del P.M. è, invece, fondato.
2.1. Prima di esaminare le censure mosse con l’impugnazione, appare opportuno
soffermarsi sulla natura e sull’inquadramento sistematico della sentenza di non
luogo a procedere ex art.425 c.p.p.
Anche dopo le modifiche apportate a tale norma prima dall’arti L.8.4.1993
n.105 e poi dall’art.23 L.16.12.1999 n. 479 l’udienza preliminare ha conservato
la natura processuale. Pur essendo mutata la regola di giudizio, il criterio dì
valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza
dell’imputato, ma l’inutilità del dibattimento.
La giurisprudenza di questa Corte è costantemente orientata nel ritenere che il
giudice dell’udienza preliminare abbia il potere di emettere sentenza di
improcedibilità non quando ritenga l’innocenza dell’imputato, ma nei casi in cui
non vi sia una prevedibile possibilità che il dibattimento possa sfociare in una
diversa soluzione. “Non contrasta con questa ricostruzione il tenore del nuovo
terzo comma dell’art.425 c.p.p. che prevede la pronuncia della sentenza di n.l.p.
anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o
comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. La norma- che riecheggia
la regola di giudizio prevista dall’art.530 c.p.p.- conferma infatti quanto si è in
precedenza espresso: il parametro non è l’innocenza ma l’impossibilità di
sostenere l’accusa in giudizio. L’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi
devono quindi avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente
considerate superabili nel giudizio. Insomma la situazione non deve poter essere
considerata suscettibile di chiarimenti o sviluppi nel giudizio. Questo giudizio
prognostico vale sia per l’ipotesi dell’insufficienza che per quella della
contraddittorietà: queste caratteristiche legittimeranno la pronunzia della
sentenza di n.l.p. solo se non appariranno superabili nel giudizio. In conclusione
a meno che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per
sostenere l’accusa in giudizio per l’esistenza di prove positive di innocenza
dell’imputato o per la manifesta inconsistenza di quelle di colpevolezza, la
sentenza di non luogo procedere non è consentita quando l’insufficienza o

5

k

2.2. Tanto premesso, risulta pacificamente che il ricorso del P.M. riguarda solo le
posizioni di Scaramazza Patrizia e Granatelli Massimo (e non anche di
Franceschetti Daniela) per cui vengono in rilievo soltanto gli aspetti, per così
dire, urbanistici della vicenda. Si contesta agli imputati, infatti, di avere, nelle
rispettive qualità, procurato intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale
alla società “Il Castagno srl”, “in violazione di norme di legge e di regolamento
in materia urbanistica, il secondo esprimendo “parere di conformità” e la prima
rilasciando il permesso di costruire di cui al capo che precede benché
contrastante con il Piano di lottizzazione e le Norme Tecniche di attuazione del
P.R.G. del Comune di Sant’Elpidio”.
Il GUP, dopo aver ricordato che l’elemento soggettivo del delitto di cui
all’art.323 c.p. è costituito dal dolo intenzionale, ha ritenuto contraddittori e
comunque insufficienti, in una prospettiva dibattimentale, gli elementi di prova
in ordine al fatto che le condotte degli imputati “..siano state caratterizzate dalla
volontà di arrecare un vantaggio ingiusto ai committenti delle opere edilizie, e
della consapevolezza della violazione del piano di lottizzazione e dell’art.44 delle
norme tecniche di attuazione”.
Quanto al primo aspetto ha evidenziato che non erano state neppure ipotizzate
nell’imputazione collusioni tra i p.u. ed i privati.
In ordine alla consapevolezza delle violazioni, pur riconoscendo che tale
elemento avrebbe avuto valore indiziario della volontà da parte degli imputati di
favorire i richiedenti (pag.7) e che, nel caso di specie, l’unico elemento di prova
del dolo intenzionale era “costituito dall’evidenza della violazione del piano di
lottizzazione (che prevedeva, sul lotto oggetto dei lavori, la realizzazione di un
solo edificio e non dei quattro assentiti)”- pag.9, ha ritenuto, poi, che non
potesse parlarsi di macroscopicità della violazione medesima stante le difficoltà
interpretative della legislazione regionale; inoltre, secondo il GUP, “la stessa
evidenza della violazione del progetto allegato alla richiesta di permesso di
costruire rispetto al piano di lottizzazione si attenua sensibilmente ove
all’elaborato grafico allegato al piano non venga riconosciuto il carattere tecnico
di un cd. planivolumetrico..” (pag.9).
Tale motivazione, peraltro palesemente contraddittoria, si pone nella prospettiva
di un accertamento della colpevolezza degli imputati. Il GUP, al di là di un
generico riferimento, non spiega, infatti, minimamente perché gli elementi
acquisiti e consistenti nella riconosciuta evidenza della violazione del piano di
lottizzazione fossero inidonei a sostenere l’accusa in dibattimento.
Gli argomenti adoperati (difficoltà interpretativa della normativa, peraltro riferita
solo alle NTA, e natura dell’elaborato grafico allegato al piano) non risultano
decisivi proprio perché, come emerge dalla stessa motivazione della sentenza
impugnata, incerti ed opinabili.
E, come si evidenziava in precedenza, la previsione di cui all’art.425 comma
6

contraddittorietà degli elementi acquisiti siano superabili in dibattimento. Come è
stato affermato in dottrina sfuggono all’epilogo risolutivo i casi nei quali, pur
rilevando incertezze, la parziale consistenza del panorama d’accusa è suscettibile
di essere migliorata al dibattimento” (Cfr.Cass.sez,4 n.26410 del
19.4.2007;conf.Cass.sez.4 n.47169 dell’8.11.2007 ed in precedenza Cass.sez.6
n.42275 del 16.11.2001; Cass.pen.sez.6 n.1662 del 6.4.2000).
Tali principi, peraltro, erano stati posti a base della sentenza della Corte
Costituzionale n.71 del 15 marzo 1996, in cui si affermava: “l’apprezzamento del
merito che il giudice è chiamato a compiere all’esito della udienza preliminare
non si sviluppa, infatti, secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza
o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di deliberare se, nel
caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del
dibattimento: la sentenza di non luogo procedere, dunque, era e resta, anche
dopo le modifiche subite dall’art.425 c.p.p., una sentenza di tipo “processuale”,
destinata null’altro che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal
Pubblico Ministero”.

2.3. Va per ultimo ricordato, come del resto riconosce lo stesso GUP, che
richiama Cass.pen. sez. 6 n.49554 del 22.10.2003, che la prova del dolo
intenzionale che qualifica la fattispecie criminosa di abuso di ufficio, non richiede
l’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire,
potendo essere desunta anche da altri elementi, quali ad es. la macroscopica
illegittimità dell’atto.
In relazione, poi, ai rilievi contenuti nella memoria della difesa, la violazione
degli strumenti urbanistici, pur non potendosi questi configurare come norme di
legge o di regolamento, integra, nei congrui casi, il reato di abuso di ufficio, in
quanto rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa
legale in materia urbanistica, alla quale deve farsi riferimento quale dato
strutturale della fattispecie delittuosa prevista dall’art.323 c.p. (cfr. Cass. Pen.
Sez. 6 n. 11620 del 25.1.2007). Si è così ritenuto integrare il delitto di abuso di
ufficio la condotta con cui il funzionario dell’ufficio tecnico comunale esprima
parere favorevole al rilascio di una concessione edilizia in violazione delle
disposizioni di un piano di bacino, le cui norme integrano quelle contenute negli
strumenti urbanistici (Cass. Pen. Sez. 6 n.46503 del 13.10.2009).
3. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame,
alla luce dei rilevi e dei principi sopra enunciati, al Tribunale di Fermo.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Scaramazza Patrizia e Granatelli
Massimo e rinvia al Tribunale di Fermo per nuovo esame.
Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile TOD’S che condanna al
pagamento delle spese processuali ed al versamento in favore della Cassa delle
ammende della somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 7.11.2013

terzo c.p.p.- per la quale il GUP deve emettere sentenza di non luogo a
procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o
contraddittori-è qualificata dall’ultima parte del suddetto terzo comma che
impone tale decisione soltanto ove i predetti elementi siano comunque inidonei
a sostenere l’accusa in dibattimento. Ne deriva che solo una prognosi di inutilità
del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del
materiale probatorio accolto- e non un giudizio prognostico in esito al quale il
giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato- può condurre ad
una sentenza di non luogo a procedere (cfr. Cass.pen. sez. 5 n.22864 del
15.5.2009; conf. Cass. Sez. 4 n. 43483 del 6.10.2009; Cass. Sez. 6 n.10849 del
12.1.2012). Per pervenire ad una sentenza di non luogo a procedere ex art.425
c.p.p. deve, quindi, essere formulato un giudizio prognostico di immutabilità del
quadro probatorio, specificamente di non modificabilità in dibattimento per
effetto dell’acquisizione di nuove prove o anche di una diversa rivalutazione degli
elementi in atti (Cass. Pen. Sez. 2 n.35178 del 3.7.2008).
L’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi acquisiti debbono cioè avere
caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili in
dibattimento (Cass. Sez. 6 n.5049 del 27.11.2012).

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA