Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48462 del 08/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 48462 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STAFFETTA VINCENZO N. IL 09/02/1964
avverso l’ordinanza n. 284/2013 TRIB. LIBERTA’ di SALERNO, del
29/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
ktte/sentite le conclusioni del PG Dott. F L z (4 G14/ 9 V i `77-0
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Data Udienza: 08/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 29 aprile 2013 il Tribunale del riesame di Salerno ha annullato l’ordinanza
cautelare emessa il 16 marzo 2013 dal G.i.p. presso il Tribunale di Nocera Inferiore nei confronti di
Staffetta Vincenzo, limitatamente ai reati di cui ai capi sub b), e) e g), confermando la misura della
custodia in carcere quanto ai reati di cui ai capi sub c) – condotta estorsiva in concorso con Aniello

Giuseppe, debitore del primo per la somma di undicimila euro, ex artt. 81 cpv., 110 e 629 c.p. – sub
d) – porto e detenzione illegale di armi, lesioni personali e danneggiamento in danno di Grimaldi
Salvatore e del suocero Pastore Giuseppe, ex artt. 110, 582-585, commi 1 e 2, 635 cpv., 61, n. 2, c.p. e
10-14 1. n. 497/74 – e sub f) dell’imputazione provvisoria formulata in sede cautelare (lesioni
personali e violenza privata in danno di Gallo Rolando, ex artt. 81 cpv., 582-585, commi 1 e 2, 612
cpv., 610 c.p.).

2. Avverso la predetta ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione il
difensore dell’indagato, deducendo le seguenti censure:

a) violazioni di legge e carenze motivazionali (art. 606, lett. b), c) ed e), c.p.p.) in relazione al delitto
di estorsione di cui al capo sub c) dell’imputazione, difettando gli indizi in ordine al requisito
dell’ingiustizia del profitto ed eventualmente ricorrendo i gravi indizi di colpevolezza riguardo
alla diversa ipotesi del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con l’insussistenza delle
condizioni di applicabilità della misura: l’indagato, infatti, ha agito in concorso con Aniello
Federico non per trarre un ingiusto profitto, ma per il recupero di un credito legittimo vantato da
quest’ultimo, del quale lo stesso provvedimento genetico non contesta l’illiceità; resta del tutto
immotivata, inoltre, l’impugnata ordinanza, come pure quella originaria, per quel che attiene alla
ritenuta sussistenza di una condotta intimidatoria, della quale non v’è alcuna traccia nelle
dichiarazioni del Manzo Giuseppe e nelle stesse intercettazioni telefoniche;

b) illogicità della motivazione riguardo al reato di cui al capo sub d), non avendo il Tribunale del
riesame affrontato criticamente i rilievi sollevati dalla difesa, laddove si è limitato a ritenere
provata la responsabilità del coindagato Antonio Mattone sulla scorta delle sue stesse ammissioni,
e dimostrata la responsabilità dello Staffetta sulla base di una confessione stragiudiziale contenuta
in una conversazione oggetto di captazione ambientale: le dichiarazioni oggetto delle ambientali n.
188 e n. 189, laddove lo Staffetta parla di un suo coinvolgimento nella lite, sono in contrasto con la
ricostruzione operata dalle persone offese, ed è verosimile, al riguardo, che egli abbia fornito al suo
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Federico ed altro indagato (per il quale non è stata emessa misura cautelare), e in danno di Manzo

interlocutore false informazioni al fine di apparire come persona amica del Matrone Antonio,
intervenuta in suo aiuto per malmenare delle persone che lo avevano offeso, ben essendo a
conoscenza che quest’ultimo aveva avuto una lite furibonda con dei trasportatori (notizia, questa,
divenuta peraltro di pubblico dominio);

c) violazione dell’art. 280 c.p.p. e mancanza di motivazione in relazione al capo sub f), non essendo

d) violazione di legge e carenze motivazionali (art. 606, lett. c), ed e), c.p.p.) in relazione all’art. 274,
lett. c) c.p.p., laddove l’impugnata ordinanza ravvisa la sussistenza di esigenze cautelari rispetto a
fatti piuttosto remoti e nella parte in cui riserva un trattamento più severo rispetto a quello del
coindagato Matrone Antonio (autore materiale della condotta enucleata sub d), nei cui confronti è
stata applicata la diversa misura coercitiva degli arresti domiciliari).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è parzialmente fondato e va conseguentemente accolto nei limiti e per gli effetti di
seguito esposti e precisati.

4. Le censure dal ricorrente prospettate nel primo motivo di doglianza devono ritenersi fondate e
vanno pertanto accolte, dovendosi rilevare, con riferimento al reato di cui al capo sub C), come le
sequenze motivazionali che compongono l’impugnato provvedimento cautelare mostrino un
andamento incerto e contraddittorio, frutto di un insufficiente approfondimento in merito alla
valutazione dell’effettiva consistenza del panorama indiziario, laddove trascurano di considerare,
sulla base di un congruo supporto critico-argomentativo, i puntuali rilievi difensivi espressi in
merito alla configurazione del titolo della responsabilità: pur descrivendosi un intervento
incongruo dello Staffetta nella vicenda storico-fattuale oggetto del tema d’accusa, quanto meno
con riferimento ad una somma di denaro che si ipotizza corrisposta quale percentuale pattuita per
il recupero forzoso di un credito vantato dal Federico nei confronti del Manzo, non risultano in
alcun modo chiarite con precisione e nettezza di contorni, al di là di congetturali ed ipotetici
riferimenti all’attività lavorativa ovvero alla personalità dell’indagato, la sussistenza degli elementi
costitutivi della violenza o della minaccia che dovrebbero necessariamente connotare la
realizzazione dell’illecita condotta di intermediazione dal medesimo posta in essere, né, tanto
meno, le circostanze relative alla natura del credito vantato ed alle correlative, sottostanti,
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possibile emettere una misura custodiale per i reati di lesioni volontarie e di minaccia aggravata;

pattuizioni che al riguardo sarebbero intercorse tra le diverse parti intervenute nella vicenda in
esame.
V’è da osservare, al riguardo, che la giurisprudenza ha più volte tracciato una linea di netta
demarcazione, secondo cui si configura il reato di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni, allorché un terzo, incaricato dal creditore ma estraneo al rapporto
contrattuale, agisca con violenza o minaccia nei confronti del debitore al fine di ottenere l’ingiusto
profitto, consistente nel recupero di un credito in misura maggiore rispetto a quanto dovuto al suo

Per integrare, tuttavia, il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni, la condotta minacciosa deve essere in grado di esprimere una tale forza intimidatoria da
andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio, preteso diritto, sicché la
coartazione dell’altrui volontà deve ritenersi assuma “ex se” i caratteri dell’ingiustizia (Sez. 5, n.
19230 del 06/03/2013, dep. 03/05/2013, Rv. 256249).

5. Infondato, di contro, deve ritenersi il secondo profilo di doglianza dal ricorrente prospettato,
risultando la gravità della correlativa base indiziaria evocata a sostegno della misura, e scrutinata
in termini di adeguatezza dal Giudice del riesame cautelare, congruamente sostenuta dall’apparato
motivazionale su cui si radica l’impugnato provvedimento, che ha correttamente proceduto,
riguardo alle fattispecie di reato oggetto della imputazione cautelare provvisoriamente enucleata
nel capo sub d), ad una valutazione complessiva degli elementi indiziari emersi a carico del
ricorrente, dando conto, in maniera logica ed adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo del
relativo percorso decisorio.
Entro tale prospettiva, l’impugnata ordinanza ha fatto buon governo del quadro dei principii che
regolano la materia, ponendo in evidenza, sulla base delle convergenti risultanze indiziarie offerte
dal chiaro contenuto dell’intercettazione ambientale di un colloquio intercorso fra lo Staffetta e tale
Verrone Mario, dall’esito di un’informativa dei Carabinieri di Angri, dalle dichiarazioni delle
persone offese e dal contenuto delle dichiarazioni rese dal coindagato Matrone in sede di
interrogatorio di garanzia, le coordinate spazio-temporali e le ragioni giustificative del
coinvolgimento dell’indagato nell’aggressione subita il 28 settembre 2010 da Salvatore Grimaldi e
dal suocero, Pastore Giuseppe, all’interno di un’area di parcheggio per camion ubicata nel
territorio di quel Comune.
A fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto
attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha
individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso
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mandante (Sez. 6, n. 25176 del 02/04/2012, dep. 25/06/2012, Rv. 253020).

argomentativo delineato dal Tribunale, né ha soddisfatto l’esigenza di una critica puntuale e
ragionata che deve informare l’atto di impugnazione, ma ha sostanzialmente contrapposto una
lettura alternativa delle risultanze processuali, facendo leva sull’apprezzamento di profili di merito
già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è
sottoponibile al giudizio di questa Suprema Corte.

6. Fondata invece deve ritenersi, sia pure per ragioni diverse da quelle indicate nel ricorso, la terza

riferimento ad ipotesi di reato (lesioni volontarie e minaccia aggravata) diverse da quelle oggetto
dell’apprezzamento espresso, sia pure in forma piuttosto sintetica, nella motivazione
dell’impugnata ordinanza cautelare, la cui trama argomentativa, riguardo alla vicenda storicofattuale delineata nel capo d’imputazione sub f), insiste sulla configurabilità di ben altra fattispecie
incriminatrice (ossia, il reato di violenza privata), senza che il ricorrente prenda in esame ed
affronti criticamente la congruità o meno di tale specifico passaggio motivazionale.
Sul punto occorre peraltro considerare – trattandosi di una questione di solo diritto che in questa
Sede può essere affrontata ex art. 609, comma 2, c.p.p., in ragione delle implicazioni legate al cd. ius

superveniens rappresentato dalle rilevanti innovazioni normative apportate dalla 1. 9 agosto 2013,
n. 94, che ha convertito, con modificazioni, il d.l. 10 luglio 2013, n. 78, contenente “Disposizioni
urgenti in materia di esecuzione della pena” (v. Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003, dep. 06/02/2004,
Rv. 229374) – che, a seguito della interpolazione del testo dell’art. 280, comma 2, c.p.p., il limite di
pena per l’applicabilità della custodia cautelare in carcere è stato innalzato da quattro a cinque
anni di reclusione, fatta salva la deroga, non rilevante nel caso di specie, per il delitto di
finanziamento illecito dei partiti politici di cui all’art. 7 della 1. n. 195/1974.
Ne discende che, a seguito della predetta modifica normativa, la custodia cautelare in carcere può
essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione
non inferiore nel massimo a cinque anni, con la conseguente inapplicabilità di siffatta tipologia di
misura coercitiva all’ipotizzata condotta delittuosa della violenza privata, sanzionata con la pena
della reclusione sino al limite edittale massimo di quattro anni.
Pur in assenza di una specifica disposizione transitoria, deve ritenersi che la modifica normativa in
esame sia senz’altro applicabile ai procedimenti cautelari in corso al momento dell’entrata in
vigore della su citata 1. n. 94/2013, venendo in rilievo, nel caso in esame, la trasformazione di un
profilo essenziale di legittimità della misura della custodia cautelare in carcere, ossia quello dotato
di valenza propriamente “costitutiva”, inerente alle sue condizioni generali di applicabilità, la cui
presenza non può, per qualsiasi ragione, venir meno in corso di esecuzione, se non al prezzo di
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censura ivi prospettata, che contesta le condizioni di applicabilità della misura custodiale con

un’inammissibile violazione del quadro costituzionale dei presupposti e delle condizioni di
legalità delle limitazioni che possono essere tassativamente imposte alle libertà della persona (ex
artt. 13, comma 2, Cost. e 272 c.p.p.).
Non vengono in rilievo, nel caso in esame, le implicazioni legate all’affermazione del principio di
diritto stabilito da Sez. Un., n. 27919 del 31/03/2011, dep. 14/07/2011, Rv. 250195, secondo cui, in
assenza di una disposizione transitoria, la misura cautelare in corso di esecuzione, disposta prima
della novella legislativa che ha modificato l’impianto codicistico (nel caso di specie, l’art. 275 cod.

adeguatezza della sola custodia carceraria), non può subire modifiche solo per effetto della nuova,
più sfavorevole normativa, poiché l’evenienza or ora considerata aveva ad oggetto un’ipotesi di
variazione del tutto diversa del tessuto normativo, siccome destinata ad incidere in malam partem
sull’ambito di applicabilità delle restrizioni alla sfera della libertà personale, laddove, nell’ipotesi
in questione, le modifiche processuali incidono sulle stesse condizioni generali di legalità delle
possibili limitazioni dello status libertatis, determinando un’oggettiva situazione di favore nella
valutazione della regolarità del vincolo imposto alla libertà personale dell’indagato.
Anche sotto altro, ma connesso profilo, del resto, pare impossibile anche solo prospettare una
situazione di continuità temporale nell’applicazione della misura imposta, atteso che il vizio
“ontologico” che in tal guisa si manifesta per via normativa e viene a colpire lo stesso fondamento
costitutivo di una misura cautelare che non può più ritenersi legittimamente irrogata, sia pure per
ragioni strettamente legate agli effetti del cd.

ius superveniens, non ne consentirebbe un

prolungamento di efficacia neanche quale presupposto per la sostituzione con altra misura
coercitiva prevista dalla legge (arg. ex Sez. 6, n. 4849 del 21/12/2000, dep. 31/01/2001, Rv. 217863).

7. Non meritevole di accoglimento deve infine ritenersi il quarto motivo di ricorso, avuto riguardo
alla congrua ed esaustiva esposizione, nell’iter motivazionale dell’impugnato provvedimento, delle
ragioni giustificative della sussistenza delle esigenze cautelari, che il Tribunale del riesame ha
desunto dall’evidenziato rischio di reiterazione delle gravi condotte oggetto di addebito cautelare,
oltre che dalla condizione di recidivo e dalla rappresentata assenza di significativi segnali di
resipiscenza.
Né, peraltro, può, in questa Sede, essere propriamente considerato come indice di vizio di
motivazione il diverso trattamento cautelare riservato nel medesimo procedimento ad altro
coindagato, salvo che il giudizio di merito sul diverso apprezzamento del caso che si prospetta
come identico sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali, ciò che non può dirsi sotto
alcun profilo avvenuto nel caso in esame.
5

proc. pen., con l’ampliamento del catalogo dei reati per i quali vale la presunzione legale di

8. Ne discende, conclusivamente, che l’impugnato provvedimento deve essere annullato, riguardo
alla contestazione formulata nel capo sub C), con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Salerno, il
quale, nella piena libertà delle valutazioni di merito di sua competenza, dovrà porre rimedio alle
rilevate carenze motivazionali, uniformandosi ai principii di diritto in questa Sede elaborati; il
medesimo provvedimento, inoltre, deve essere, per quanto su esposto ed indicato, annullato senza

merito ai residui profili di doglianza.
La Cancelleria curerà l’espletamento degli adempimenti menzionati nell’art. 94, comma primo-ter,
disp. att., c.p.p. .

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al delitto di estorsione di cui al capo C) e rinvia per
nuovo esame al Tribunale di Salerno; annulla la stessa ordinanza senza rinvio in ordine al reato di
cui al capo F); rigetta nel resto il ricorso.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att., c.p.p. .

Così deciso in Roma, lì, 8 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

rinvio, per quel che attiene alla diversa contestazione formulata nel capo sub F), e rigettato in

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