Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48448 del 13/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 48448 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CATALANO FRANCESCO N. IL 23/09/1928
avverso la sentenza n. 769/2012 CORTE APPELLO di SALERNO, del
29/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Genewale in persona del Dott. £A. ,kche ha concluso per

e

Ud. , per la parte civile, l’Avv
dit i difensor Avv.

AO_CA

Data Udienza: 13/10/2015

Rilevato che, con sentenza del 29 ottobre 2013, la Corte di Appello di Salerno ha
confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore che aveva
dichiarato Catalano Francesco, responsabile: a) del reato di cui all’ art. 44, lett
b), del D.P.R. n. 380 del 2001, perché in qualità di proprietario committente, in
assenza del permesso di costruire, realizzava un manufatto a livello di piano
terra al lato sud-est di un fabbricato già esistente, avente superficie di mq 25,35
e volumetria di mc. 68,44, con mura perimetrali in blocchi di lapil cemento,
solaio di calpestio in calcestruzzo, copertura con pannelli coibentati; b) del reato
di cui agli artt. 64-71 del D.P.R. n. 380 del 2001, per aver realizzato le suddette

abilitato ed iscritto nel relativo albo nei limiti delle rispettive competenze; c) del
reato di cui agli artt. 65-72 del D.P.R. n. 380 del 2001, per aver iniziato le
suddette opere senza farne denuncia allo Sportello Unico; e unificati dal vincolo
della continuazione, riconosciute le attenuanti generiche, lo aveva condannato
alla pena di euro 4570,00 di ammenda, così determinata per effetto della
sostituzione della pena detentiva dell’arresto con la pena pecuniaria
dell’ammenda. Fatto accertato in Scafati, il 15 novembre 2008;
che, avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, tramite il proprio difensore,
ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) la sentenza impugnata avrebbe
confermato acriticamente la decisione del giudice di prime cure senza
considerare il manufatto era preesistente e ricadeva nella zona agricola E, non in
quella urbanistica Al, con la conseguenza che, per tale ristrutturazione, sarebbe
stata sufficiente la D.I.A. ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001; 2) la
motivazione sarebbe, altresì, carente nella parte in cui è stata rigettata la
richiesta di riduzione della pena pecuniaria; 3) da ultimo, poiché il fatto è stato
consumato il 15 novembre 2008, il reato sarebbe prescritto;

Considerato che, le censure prospettate dal ricorrente tendono a sottoporre al
giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e
all’apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi
all’esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una
versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento
impugnato;
che infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 22256 del
26/04/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità – in sede di controllo
sulla motivazione – non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto,
posti a fondamento della decisione o nell’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal
giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili;

opere senza la previa redazione di un progetto e senza la direzione di un tecnico

che la lettura della motivazione della sentenza impugnata impone una seconda
osservazione di ordine generale: deve condividersi il principio, secondo cui
quando le sentenze di primo e secondo grado “concordino nell’analisi e nella
valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni,
la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella
precedente” (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Baretti, Rv. 239735) e da tale
principio discende, nel caso in esame, che i motivi di ricorso possano essere
esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le
decisioni di merito, tenendo conto del fatto che i motivi di ricorso proposti dal

le cui motivazioni non presentano errori giuridici o manifeste illogicità;
che, nel caso di specie, è stato accertato che la richiesta del permesso di
costruire in sanatoria relativVad “un abbattimento con ricostruzione casotto” era
stata rigettata dal Comune di Scafati perché l’immobile interessato è sito nel
centro storico in zona urbanistica “Al”, laddove non erano ammessi interventi di
nuova costruzione; e che inoltre, non solo il manufatto non era preesistente, ma
dovendosi realizzare la modifica di prospetti (circostanza peraltro confermata
dagli stessi grafici prodotti dalla difesa) sarebbe stato necessario il rilascio del
permesso di costruire ex art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.;
che pertanto, in considerazione di ciò, i giudici di merito hanno correttamente
affermato la responsabilità dell’imputato, in conformità all’orientamento
interpretativo di questa Corte (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 38338 del 21/05/2013,
Cataldo, Rv. 256381), secondo cui, in tema di reati edilizi, l’esecuzione di
interventi comportanti la modifica dei prospetti non rientra nelle tipologie delle
ristrutturazioni edilizie “minori” e, come tale, richiede il preventivo rilascio
di permesso a costruire;
che, del pari, risultano manifestamente infondate le censure circa la omessa
motivazione sulla richiesta di riduzione della pena pecuniaria, dal momento che
la difesa aveva chiesto l’ulteriore riduzione della pena con la concessione delle
circostanze attenuanti generiche e la conversione della pena detentiva in pena
pecuniaria;
che, già la Corte territoriale ha ritenuto il motivo di gravame infondato, in
definitiva ritenendo congrua la pena fissata in primo grado, poiché il giudice di
prime cure aveva già provveduto al riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria e d’altra
parte, nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale,
l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, sicché è sufficiente il richiamo al
criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui

ricorrente ribadiscono censure già puntualmente disattese dai giudici del merito,

all’art. 133 c.p. (Sez. 2, Sentenza n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi ed altro, Rv.
256464);
che, attesa la manifesta infondatezza dei motivi, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile;
che, da ultimo, come affermato da questa Corte (cfr. tra le altre, Sez. 2, n.
28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. 4, Sentenza n. 18641 del
20/01/2004, Tricorni, Rv. 228349), l’inammissibilità del ricorso per cassazione
dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione, sicché è preclusa la possibilità di rilevare e

prescrizione del reato;
che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente deve essere
condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed al
pagamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2015.

dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p, tra cui la

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