Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48440 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48440 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PASOTTI FULVIO N. IL 05/04/1956
avverso l’ordinanza n. 27/2014 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
27/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI;
lette/~ le conclusioni del PG Dott. Cr_Mliu(m- Co
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Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.In data 9 febbraio 2007 Pasotti Fulvio veniva sottoposto alla misura
degli arresti domiciliari in esecuzione dell’ordinanza cautelare emessa dal Giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia in relazione al reato di cui
detenzione continuata in concorso a fine di spaccio di sostanza stupefacente.

2.In data 14 maggio 2007 alla misura degli arresti domiciliari veniva

giudiziaria competente per territorio.

3.11 Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia con sentenza
12 dicembre 2007, emessa ad esito di giudizio abbreviato, affermava la penale
responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli condannandolo alla pena
ritenuta di giustizia.

4.A seguito di impugnazione, la Corte di appello di Brescia con sentenza 2
dicembre 2008 confermava la sentenza del giudice di primo grado.

5.A seguito di ricorso per cassazione, la Corte regolatrice con sentenza 2
dicembre 2009 annullava al sentenza emessa dal giudice di merito di secondo
grado, con rinvio ad altra sezione.

6.La Corte di appello di Brescia, con sentenza della prima sezione penale,
in riforma della sentenza emessa dal Giudice di primo grado, assolveva
l’imputato con la formula perché il fatto non sussiste.

7.In data 19 settembre 2014 Pasotti Fulvio, tramite il proprio difensore,
presentava istanza di riparazione per ingiusta detenzione.

8.L’istanza veniva respinta dalla Corte di appello di Brescia, seconda
sezione penale, con ordinanza 27 febbraio 2015.

9. Avverso la suddetta ordinanza proponeva ricorso il Pasotti, lamentando
il vizio di motivazione della ordinanza impugnata.

10. Il Procuratore generale con requisitoria scritta chiedeva dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso.

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sostituita la misura non custodiale dell’obbligo di presentazione alla polizia

11. L’imputato depositava memoria a propria firma in vista dell’odierna
udienza, nella quale faceva presente che dalla fine del 2005 non assume più
alcuna sostanza stupefacente, ragion per cui le conversazioni telefoniche
intercettate intercorse tra lui e Didichiello Fortunato e Pedretti Sergio rivestivano
carattere totalmente estraneo alla trattazione di sostanze stupefacenti.

12. L’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del Ministero, depositava nota

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.

2. Preliminarmente giova ricordare che le Sezioni Unite, con sentenza n.
34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263, hanno avuto modo di statuire
che: “In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito,
per valutare se colui che la ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con
dolo o colpa grave, deve, in modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli
elementi probatori a sua disposizione con particolare riferimento alla sussistenza,
da parte di quest’ultimo, di un comportamento, che riveli eclatante o
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti,
fornendo adeguata e congrua motivazione del convincimento conseguito, che è
incensurabile in sede di legittimità, quando presenti i suddetti caratteri.
Nell’eseguire tale accertamento il giudice deve fondare la deliberazione
conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la
condotta tenuta dal richiedente sia prima sia dopo la perdita della libertà
personale, a prescindere dalla conoscenza da parte di quest’ultimo dell’inizio
dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se detta
condotta abbia integrato estremi di reato ma soltanto se sia stata il presupposto,
che abbia ingenerato, pur se in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di causa ad effetto”.
In altra più recente sentenza, le Sezioni Unite, nell’esaminare funditus
l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, hanno pure evidenziato che
risulta legittima una disciplina normativa che preveda, come per l’appunto il
vigente art. 314 cod. proc. pen., l’esclusione dal beneficio in esame di chi,
avendo contribuito con la sua condotta a causare la restrizione, non possa
esserne considerato propriamente “vittima” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 32383
del 27.05.2010, Rv. 247663).
3

con la quale si associava nella richiesta di rigetto del ricorso.

E questa Sezione ha da tempo avuto modo di precisare che:
-“Il Giudice – basandosi su fatti concreti – deve valutare non se la
condotta integri il reato, ma “solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato,
ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della
sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto”. Gli elementi di vantazione, quindi, non devono
essere diversi, mentre è differente l’oggetto di verifica: non più la responsabilità
dell’imputato (ragion per cui una sua eventuale assoluzione può non avere alcun

presupposto della falsa apparenza di integrazione dell’illecito penale, e sia legata
in rapporto di causa-effetto con la detenzione” (Sez. 4, sent. n. 2895 del
13/02/2005, 2006,Mazzei, Rv. 232884);
– condotte sinergicamente rilevanti, rispetto alla cautela sofferta, possono
essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere
determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale
(autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano
state escluse dal giudice della cognizione. A tal fine, nei reati contestati in
concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza
dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si
presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale (Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, 2009, Lafranceschina, Rv. 242760).
Ed è stato altresì chiarito che “il sindacato del giudice di legittimità
sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta
detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il
giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del
beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice dì merito,
che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la
valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (Sez. 4,
sent. n. 15143 del 19/02/2003, Macrì, Rv. 224576).

3.- Occorre in questa sede ribadirsi che il giudizio penale ed il giudizio per
l’equa riparazione sono tra di loro autonomi ed impegnano piani di indagine
diversi (quello della sentenza assolutoria di merito, nel quale il giudice penale
deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato e la sua
riconducibilità all’imputato; e quello della riconsiderazione delle vicende
processuali al fine del riconoscimento del diritto all’equa riparazione, nel quale il
giudice, ponendosi in una prospettiva ex ante, deve indicare gli elementi della
condotta che hanno dato origine all’apparenza di illecito penale, ponendosi come
causa o come concausa della detenzione) e che possono portare a conclusioni del
4

rilievo) ma se la sua condotta – seppur in presenza dell’errore altrui – sia stato

tutto differenti (assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta riparatoria)
sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti (sottoposto nei due
giudizi ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione
differenti). In particolare, è consentita al giudice della riparazione la
rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita
dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una
macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura,
traendo in inganno il giudice. Inoltre, quanto alla utilizzabilità del materiale

natura civilistica.

4. Tanto premesso e ribadito, nella specie la Corte di appello ha enucleato
in modo completo gli elementi in base ai quali non sussistono le condizioni per il
riconoscimento dell’ingiusta detenzione, sottolineando i seguenti profili di colpa
ostativi:
a) l’accertata capacità del Pasotti di procurarsi sostanze stupefacente;
b) gli accertati contatti con persone facenti parte di una organizzazione
criminale;
c) il silenzio serbato in sede di interrogatorio di garanzia 12 febbraio
2007.
In particolare, il giudice della riparazione ha rilevato che il giudice di
rinvio aveva rilevato che le telefonate del 1 marzo 2005 facevano riferimento ad
acquisti pregressi di mezzi etti di cocaina per volta, ma era addivenuto alla
conclusione che era insufficiente la prova che “…Pasotti, sicuro tossicodipendente
e di ampie possibilità economiche, acquistasse stupefacente per uso diverso dal
personale”. Ha aggiunto che nel corso dei diversi gradi di giudizio era stata
sempre ritenuto rilevante il quantitativo trattato dal Pasotti in un contesto di
approvvigionamento, alquanto sospetto, sia perché si rivolgeva a fornitori di
sicura capacità sia perché si inseriva in un contesto delinquenziale di elevato
spessore (come confermato dalla sentenza della Corte di cassazione, che
confermava le condanne per tutti gli altri imputati in relazione al delitto
associativo). Il Pasotti, così operando, conclude il Giudice della riparazione, ebbe
a tenere comportamenti percepibili come indicativi di una di lui contiguità con i
materiali venditori a fini di immissione della cocaina nel mercato finale.
Tali elementi sono stati correttamente inquadrati in un contesto di colpa
grave ostativa alla concessione dell’indennizzo.
L’iter argomentativo seguito dalla Corte d’Appello resiste, allora, alle
censure dedotte con il ricorso in esame, atteso che il giudice della riparazione ha
effettuato del tutto correttamente la autonoma valutazione del comportamento
5

probatorio, va osservato che la procedura riparatoria presenta connotazioni di

posto in essere dal richiedente, secondo una valutazione “ex ante”, cioè a dire in
riferimento agli elementi conosciuti al momento della pronuncia dell’ordinanza
custodiale e sino al momento della remissione in libertà; ed ha ritenuto che tale
comportamento, qualificato da eclatante e macroscopica imprudenza, avesse
ingenerato la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale ancorché in presenza di un errore da parte dell’autorità di pg procedente – così
da dare luogo alla misura con rapporto di causa ad effetto ed escludere il diritto
del ricorrente alla riparazione.

non contradittoria, non può essere disattesa da questa Corte, alla luce dei limiti
del proprio generale sindacato di legittimità nella materia in esame.

5. Ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile e che il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e di una
somma a favore della cassa delle ammende che si reputa equo stabilire in euro
500
Nonostante la declaratoria che precede, le spese sostenute dal Ministero
vanno interamente compensate, apparendo la memoria dell’Avvocatura
caratterizzata da argomentazioni generiche e comunque meramente enunciative
di principi di diritto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 500 a favore della cassa delle ammende..
Compensa le spese tra le parti.

Così .

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a, il 20 novembre 2015.

Il Consig .3r e est.

Il Presidente

Pasquale G nniti

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IV Seziene

1ELI CASSAZIONE

In definitiva, la motivazione della Corte, in quanto logicamente coerente e

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