Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4844 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4844 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Froio Salvatore, nato a Soverato il 1 gennaio 1953
cotigkilta,r_e,
avverso la sentenza n. 1022/2014 della Corte d’Appello di ~32E1=3 del 19 giugno
2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in pubblica udienza del 7 gennaio 2015 la relazione del Consigliere Dott. Stefano
Mogini
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Mauro Iacoviello, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso con riferimento ai delitti di peculato e annullamento sello
=M rinvio per intervenuta prescrizione con riferimento ai reati di falso.
udito l’Avvocato Fabio Criscuolo in sostituzione dell’Avv. Giancarlo Pittelli, che ha insistito
per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 07/01/2015

Ritenuto in fatto
1. Froio Salvatore ricorre per mezzo del suo difensore avverso la sentenza con la quale, in
data 19 giugno 2014, la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza emessa
ad esito di giudizio abbreviato dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di
Catanzaro il 14 gennaio 2011, ha dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il reato
ascritto al ricorrente al capo C della rubrica e rideterminato la pena applicata per gli
altri reati in anni 3 e mesi 4 di reclusione. Il ricorrente era stato ritenuto colpevole, in

pubblico per essersi appropriato, nella sua qualità di Presidente del Confidi di Soverato,
di denaro pubblico, distraendolo dalla funzione alla quale era destinato a beneficio
proprio e di altri associati a lui legati da vincoli di parentela, mediante sottoscrizione di
polizze di credito e polizze assicurative ad alto rischio, poi riscattate dallo stesso
ricorrente, e l’attribuzione diretta di somme in favore di imprese riconducibili al Froio, a
suoi familiari e prossimi congiunti, nonché a consiglieri di amministrazione del Confidi. Il
ricorrente avrebbe inoltre attestato falsamente nelle relazioni rese al Ministero
dell’Economia e delle Finanze sull’attività del consorzio l’esistenza di attivi fittizi perché
oggetto delle illecite appropriazioni sopra descritte.

2. Il ricorrente censura l’impugnata sentenza lamentando in primo luogo violazione di
legge extrapenale in relazione agli articoli 15 comma 7 L. 108/96 (nel testo anteriore
alla novella recata dalla L. 326/2003) e 108 TUB (Testo Unico Bancario). La normativa
speciale teste’ citata avrebbe all’epoca dei fatti consentito ai Confidi l’investimento in
capitali di rischio e la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, mentre lo
Statuto del Consorzio in questione autorizzava, all’art. 4 lett. B), attività diverse dalla
garanzia collettiva. Ritenendo consentito l’investimento dei contributi ministeriali in
attività diverse dalla garanzia collettiva dei fidi, verrebbe meno la contestata condotta
distrattiva e non potrebbe dunque ritenersi integrato il delitto di peculato.

3. Col secondo motivo il ricorrente si duole invece dell’erronea applicazione dell’art. 479
cod. pen. e di mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla
correttezza dell’inserimento nelle relazioni al Ministero dell’Economia e delle Finanze
sull’operatività del Confidi, tra le poste attive, delle polizze di credito commerciale, ciò
che avrebbe consentito di escludere in radice la falsità delle contestate dichiarazioni e,
tenuto conto del loro carattere valutativo, la sussistenza dell’elemento psicologico dei
reati in questione.

4. Infine, il ricorrente segnala l’estinzione per prescrizione del delitto di falso ideologico di
cui al capo E della rubrica, intervenuta in data anteriore alla sentenza di secondo grado
senza che la Corte territoriale, espressamente a ciò richiesta, la rilevasse.

da solo o in concorso con Froio Bruno, di fatti di peculato e falso ideologico in atto

Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Se è infatti vero che la
normativa vigente al momento dei fatti, ed in particolare l’articolo 15 comma 7 L.
108/96 (nel testo anteriore alla novella recata dalla L. 326/2003), consentiva ai Confidi
di esercitare non solo le attività ivi specificamente previste, ma anche le “altre previste
dallo Statuto”, tra le quali figurava l’erogazione di contributi e la facilitazione
dell’accesso al credito ordinario, è di tutta evidenza che questo tipo di operazioni non

e delle Finanze ai sensi della legge n. 108/1996, recante “Disposizioni in materia di
usura”. Come correttamente indicato dalla Corte territoriale, l’art. 15 comma 2 lett. a)
della legge 108/1996 stabilisce infatti che i contributi che il Ministero dell’Economia e
delle Finanze eroga ai Consorzi o Cooperative di garanzia collettiva fidi hanno una
destinazione obbligatoria, vincolata alla costituzione di “speciali fondi antiusura,
separati dai fondi rischi ordinari, destinati a garantire fino all’80% le banche e gli istituti
di credito che concedono finanziamenti a medio termine e all’incremento di linee di
credito a breve termine a favore delle piccole e medie imprese a elevato rischio
finanziario, intendendosi per tali le imprese cui sia stata rifiutata una domanda di
finanziamento assistita da una garanzia pari ad almeno il 50% dell’importo del
finanziamento stesso pur in presenza della disponibilità del Confidi al rilascio della
garanzia”. La destinazione vincolata per legge dei contributi erogati dal MEF e la
separazione necessaria dei fondi antiusura da quelli ordinari rendono evidente che la
disciplina teste’ descritta non poteva essere derogata da disposizioni statutarie. Ne
consegue che il denaro erogato dalla pubblica amministrazione con un vincolo di
destinazione che obblighi, da una parte, il soggetto finanziato ad impiegarlo per il fine
indicato e, dall’altra, l’amministrazione erogatrice a vigilare sul rispetto di tale
destinazione, conservando in tal senso la giuridica disponibilità della somma
corrisposta, si considera appartenente alla pubblica amministrazione, agli effetti di cui
all’art. 314 cod. pen., per cui la sua – peraltro non contestata – destinazione ad uno
scopo diverso e incompatibile con quello per il quale era stato erogato da’ luogo ad
un’illecita distrazione. Del tutto correttamente il ricorrente è stato dunque ritenuto dai
giudici di merito, con percorso argomentativo completo e privo di vizi logici e giuridici
anche per quanto concerne la configurazione della condotta appropriativa e gli altri
elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 614 cod. pen., responsabile dei delitti
di peculato a lui ascritti.

2. E’ inammissibile, perché manifestamente infondato, anche il secondo motivo di ricorso.
Come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, al momento della redazione delle
relazioni al MEF di cui ai capi E ed F, il Fondo Antiusura gestito dal Confidi di Soverato

potevano essere effettuate con i contributi erogati ai Confidi dal Ministero dell’Economia

era già stato privato – mediante le operazioni distrattive e appropriative descritte
nell’accusa e ritenute nell’impugnata sentenza – dei fondi che, contrariamente alla
realtà, venivano nelle stesse relazioni indicati come esistenti e depositati presso le
banche di cui ai citati capi di imputazione. Il percorso argomentativo seguito dalla Corte
territoriale deve ritenersi quindi, anche per quanto riguarda i reati di falso ideologico in
atto pubblico per i quali è intervenuta condanna, del tutto adeguato (tra l’altro,
correttamente la sentenza impugnata ricorda che anche le somme del Fondo Antiusura
utilizzate dal Froio per la sottoscrizione di polizze di credito commerciale non sono mai

ricorrente.

3. E’ invece fondata la doglianza relativa alla mancata rilevazione in appello della
prescrizione del delitto di cui all’art. 479 cod. pen. contestato al capo E (l’altro delitto di
falso ideologico di cui al capo F, commesso il 3 aprile 2008, non è prescritto),
maturatasi, in assenza di periodi di sospensione, in data 30 giugno 2013 (data di
commissione 31 dicembre 2005; termine massimo di prescrizione sette anni e sei mesi,
pari alla pena edittale massima di sei anni di reclusione – art. 157 cod. pen. aumentata di 1/4 ai sensi dell’art. 161 comma 2 cod. pen.). Avendo la Corte territoriale
computato in modo dettagliato la determinazione della pena (pena base per il piu’ grave
reato di cui al capo A anni sei di reclusione, ridotta ad anni quattro e mesi due di
reclusione per le riconosciute attenuanti generiche, aumentata per la continuazione di
mesi tre e giorni dieci di reclusione per ciascuno dei reati di cui ai capi B, E e F, con la
riduzione finale del terzo di legge per il rito), alla sua rideterminazione, necessaria in
conseguenza dell’annullamento senza rinvio per il solo capo E, può direttamente
provvedere questa Corte, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. L.. Vanno pertanto eliminati
due mesi e sette giorni di reclusione complessivi per il capo E (l’aumento di tre mesi e
dieci giorni per la continuazione era stato diminuito di un terzo per il rito). Pena
rideterminata e’ quindi quella di tre anni un mese e ventitre giorni di reclusione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo E
perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di due mesi e sette giorni di
reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso il 7 gennaio 2015.

rientrate nel Fondo medesimo) e immune dai vizi logici e giuridici denunciati dal

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