Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48426 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48426 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LISANTI GIUSEPPE N. IL 20/03/1950
avverso l’ordinanza n 53/2010 CORTE APPELLO di BARI, del
18/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consi gliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA ;
lette/~ le conclusioni del PG Dott. 4i icke
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Data Udienza: 18/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bari, con ordinanza adottata in data 18.11.14 e depositata in data 1.12.2014, dichiarava la inammissibilità della domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Lisanti Giuseppe ritenendo il ricorso
proposto oltre i termini di legge di cui all’art. 315 cod. proc. pen.

2. Avverso tale provvedimento il Lisanti ha proposto ricorso per Cassazione,
a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo il motivo di seguito enunciato

comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Difetto di motivazione ai sensi e per l’effetto dell’art. 606 lett. e) cod. proc.
pen. nonché da erronea applicazione di norme di diritto.
Il ricorrente evidenzia che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di
Appello il ricorso presentato nell’interesse del LISANTI Giuseppe, è stato proposto
nei termini di legge, ovvero, così come recita la disposizione normativa di cui
all’art. 315 cod. proc. pen.”…. entro due anni dal giorno in cui la sentenza di
proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile”.
Ciò in ragione del fatto che Lisanti Giuseppe, prima di proporre il ricorso alla
Corte di Appello, si era munito di copia autentica della sentenza adottata dalla
Corte di Assise dì Bari nel procedimento a suo carico, completa dell’attestazione
di irrevocabilità.
Ebbene, la cancelleria della Corte di Assise di Bari, nel rilasciare la sentenza
con l’indicazione della irrevocabilità richiesta dal LISANTI Giuseppe, attestava che
la sentenza era divenuta irrevocabile in data 26.5.2008. Da ciò consegue che il
ricorso di riparazione per ingiusta detenzione, depositato presso la cancelleria della
Corte di Appello dì Bari in data 21.5.2010, di certo non poteva né doveva essere
dichiarato inammissibile, perché la domanda era stata proposta nei termini di
legge ovvero entro due anni dalla intervenuta irrevocabilità della sentenza.
Invece, ci si duole, nell’ impugnato provvedimento la Corte territoriale afferma: “Né, infine, assume rilevanza contraria – rispetto alla modalità determinativa della data di irrevocabilità come innanzi illustrata – la circostanza che la sentenza in oggetto riporti l’annotazione a cura del cancelliere del ritenuto passaggio
in giudicato della stessa alla (errata) data del 26.5.2008… ”
Tuttavia, ad avviso del difensore del ricorrente, il giudice della riparazione non
poteva spendere l’affermazione che la data apposta sulla sentenza è “errata”, in
quanto di certo non era l’Autorità Giudiziaria competente a formulare tale affermazione; conseguentemente, in virtù di tale deduzione, non poteva dichiarare
inammissibile il ricorso proposto dal Lìsanti.

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nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,

La cancelleria, con quella certificazione, ha attestato che alla data del
26.5.2008 non erano intervenute impugnazioni avverso la sentenza pronunciata
dalla Corte di Assise di Bari in favore dell’odierno ricorrente.
Ove mai il giudice a quo, così come ha fatto, avesse ritenuto erronea l’attestazione apposta dalla cancelleria avrebbe dovuto sospendere il presente procedimento e rimettere la questione innanzi al giudice competente a decidere, ovvero
il giudice dell’esecuzione, per far luce sulla questione. Ne sarebbe riprova – si
sostiene ancora in ricorso- che non vi è dubbio che, ove una cancelleria apponga

decreto penale di condanna e a seguito della attestazione di irrevocabilità il provvedimento venga messo in esecuzione, la parte interessata, per far revocare la
declaratoria di irrevocabilità, deve introdurre apposito procedimento con istanza
indirizzata al giudice dell’esecuzione, al fine di ottenere la revoca dell’attestazione
di irrevocabilità con conseguente rimessione in termini per l’impugnazione.
Viene ricordata la pronuncia delle Sezioni Unite n. 4445/2006 con la quale è
stato stabilito che la competenza a provvedere sulla erronea attestazione di irrevocabilità e richiesta di restituzione nel termine per l’opposizione al decreto penale
di condanna spetta al Giudice per le indagini preliminari.
Alla luce di tale principio di diritto è chiaro ed evidente -ad avviso del ricorrente- che il giudice di un procedimento incidentale, qual è nel caso di specie il
giudice che stava conoscendo la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione,
non poteva dichiarare sic e simpliciter errata l’attestazione di irrevocabilità apposta
dalla cancelleria. Si tratterebbe, peraltro, di una deduzione, una congettura non
consentita al Giudice a quo che avrebbe dovuto prendere atto della attestazione
A tutto concedere – si legge ancora in ricorso- quella declaratoria spettava ai
giudice dell’esecuzione-corte di Assise e non alla corte di appello adita quale giudice della riparazione per ingiusta detenzione.
Il ricorrente aggiunge poi che la Corte territoriale, nell’ordinanza impugnata,
a pag. 3, assume che l’attestazione di irrevocabilità apposta dalla cancelleria è
errata perché gli unici soggetti legittimati ad impugnare erano la Procura Generale
e la Procura della Repubblica. L’imputato Usanti -è il ragionamento seguito dal
giudice della riparazione- non aveva alcun diritto ad impugnare la sentenza adottata nei suoi riguardi, per cui la cancelleria della Corte di Assise aveva errato nel
calcolare anche i termini di impugnazione del LISANTI Giuseppe.
Si lamenta, tuttavia, che anche tale principio di diritto sia senza ombra di
dubbio errato e destituito di ogni fondamento in quanto il giudice a quo, nell’affermarlo, avrebbe dimenticato alcune disposizioni normative che consentono all’imputato di impugnare anche una sentenza di assoluzione. In primis, l’art. 111 della
Costituzione, che consente l’impugnazione contro tutti i provvedimenti /sentenze

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erroneamente l’attestazione di irrevocabilità ad una sentenza di condanna o ad un

a mezzo di ricorso per Cassazione. Inoltre, l’odierno ricorrente assume che
avrebbe potuto comunque impugnare quella sentenza, sia pure di assoluzione,
atteso che poteva avere diritto o poteva avere necessità di avere una formula più
ampia di assoluzione “perché il fatto non sussiste”.
Lisanti Giuseppe – è la tesi sostenuta in ricorso ove si richiama il precedente
di questa Corte di cui a sez. 5 n. 45091/2008- aveva diritto ad impugnare
nell’ipotesi in cui l’accertamento di un fatto materiale sia suscettibile, una volta
divenuta irrevocabile la sentenza, di pregiudicare le situazioni giuridiche a lui fa-

tale interesse (ex art. 568 comma 3 c.p.p.) perché gli effetti della sentenza pronunciata dalla Corte di Assise avrebbero avuto ripercussioni in ambito amministrativo in quanto conducente di una azienda agricola.
In tal senso sarebbe stata ammissibile l’impugnazione dell’imputato per aspirare alla formula più ampia di merito, ovvero “perché il fatto non sussiste”.
Viene ricordato in ricorso che, anche le più ampie formule di proscioglimento
– e tra queste quella per non aver commesso il fatto – sono passibili di gravame
quando l’imputato dimostri un concreto ed attuale interesse ad una pronuncia che
sia più favorevole di quella impugnata, avuto riguardo non al solo dispositivo ma
anche alla motivazione (sul punto si richiama sez. 2, 12.2.1997, Perruzza). Il tutto
senza in alcun modo dimenticare la disposizione normativa di cui all’art. 593 cod.
proc. pen. che faculta l’imputato a proporre impugnazione contro le sentenze di
proscioglimento nelle ipotesi di cui all’art. 603, comma 2, se la nuova prova e
decisiva
Il provvedimento impugnato sarebbe, dunque, privo di motivazione in tal
senso, in quanto la Corte territoriale non ha speso alcuna motivazione sull’interesse del Lisanti Giuseppe ad impugnare.
Da ciò conseguirebbe -prosegue il ricorso- che la cancelleria della Corte di
Assise non avrebbe errato nell’apporre l’attestazione di irrevocabilità conteggiando
anche i termini per l’impugnazione dell’imputato: quell’attestazione era corretta e
ancor più corretto sarebbe stato il comportamento del LISANTI Giuseppe che ha
depositato il ricorso nei termini di legge di cui all’art. 315 cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce poi che, ove si dovesse opinare al contrario e ritenere
valido quanto affermato dalla Corte territoriale, si arriverebbe all’assurdità che il
LISANTI Giuseppe, rectius, il suo difensore, avrebbero dovuto chiedere alla cancelleria della Corte di Assise non l’attestazione di irrevocabilità, ma avrebbero dovuto chiedere di visionare i registri e le comunicazioni alle parti, al fine di verificare
l’attestazione apposta. Si arriverebbe, però, così, all’assurdo che il cittadino si dovrebbe sostituire al cancelliere ed effettuare le verifiche del caso autonomamente,
che la certificazione apposta dalla cancelleria non avrebbe più alcun valore e il
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centi capo in giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno. Ed egli aveva

cittadino dovrebbe chiedere di accedere personalmente alla documentazione e registri riservati alla Cancelleria “per far da sé i relativi calcoli”.
Sarebbe chiaro ed evidente, in tal senso, che l’ordinanza adottata in danno
del Lisanti sarebbe e affetta non solo da difetto di motivazione, ma anche il frutto
di un’errata applicazione di norme giuridiche.
Chiede, perciò, di accogliere per quanto di ragione ogni esposto motivo di
ricorso e, per lo effetto, annullare con o senza rinvio l’impugnata ordinanza

pen. le proprie conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del proposto ricorso.

4.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo dell’Avvocatura Gene-

rale dello Stato ha presentato tempestiva memoria chiedendo di voler dichiarare
inammissibile ovvero di rigettare il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono fondati, nei termini che si andranno ad
illustrare, e, pertanto, l’impugnata ordinanza va annullata con rinvio alla Corte di
Appello di Bari, cui va rimesso il regolamento delle spese tra le parti anche per
questo giudizio.

2. Rileva il giudice della riparazione che, depositata in data 8 febbraio 2008,
ben oltre l’indicato termine di novanta giorni, la sentenza di assoluzione nei confronti del Lisanti, la stessa avrebbe potuto essere legittimamente impugnata agli
effetti penali ad iniziativa esclusiva del Pubblico Ministero presso l’organo giudiziario di primo grado e del Procuratore Generale presso la Corte di Appello, entrambi
invece astenutisi dall’esercizio ditale facoltà. E che al detto scopo, risultava essere
stato comunicato, a cura della cancelleria della Corte di Assise, duplice “avviso di
deposito di sentenza pronunciata in seguito a dibattimento, ai sensi dell’art. 548
cod. di proc. pen, il primo al Procuratore Generale presso la Corte di Appello (datato 12/2/2008 e ricevuto il successivo giorno 13), il secondo al Pubblico Ministero
di prime cure (parimenti datato 12/2/2008 e ricevuto il successivo giorno 15).
Ne discende – scrive ancora la Corte territoriale nel provvedimento impugnato
– che, a far date rispettivamente dal 14 e dal 16/2/2008, il Procuratore Generale
ed il Pubblico Ministero disponevano di quarantacinque giorni per proporre impugnazione e che, non avendovi dato corso, la sentenza era divenuta irrevocabile
“automaticamente” il 10 aprile 2008 [data immediatamente successiva alla scadenza del termine di quarantacinque giorni decorrente dal 16/2/20081.
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3. Il P.G. presso questa Corte Suprema ha rassegnato ex art. 611 cod. proc.

Da tale momento aveva inizio, a sua volta, secondo il provvedimento impugnato la decorrenza del termine biennale di proponibilità della domanda ex artt.
314 ss. c.p.p., la quale risulta invece essere stata depositata dal difensore nonché
procuratore speciale del LISANTI soltanto in data “21-5-10”.
Ebbene, l’esame degli atti -cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere in ragione del tipo di doglianza proposta- consente di dare in primo luogo per
acclarato che effettivamente, sulla copia della sentenza della Corte di Assise di
Bari la Cancelleria di quell’ufficio giudiziario attestava che la pronuncia (di assolu-

3. Orbene, ritiene il Collegio che il caso in esame, al di là di chi fosse la competenza a giudicare in relazione all’erroneità o meno di quell’attestazione, vada
risolto avendo come principale criterio l’affidamento creato da quell’atto, proveniente dalla Pubblica Amministrazione, nell’odierno ricorrente ai fini
che qui interessano, e cioè della tempestività del proposto ricorso per l’ottenimento dell’equa riparazione da ingiusta detenzione.
Erra in diritto il giudice della riparazione laddove afferma: “Né, infine, assume
rilevanza contraria – rispetto alla modalità determinativa della data di irrevocabilità
come innanzi illustrata – la circostanza che la sentenza in oggetto riporti l’annotazione a cura del cancelliere del ritenuto passaggio in giudicato della stessa alla
[errata] data del 26/5/2008′.
In molti casi e situazioni, sin da epoca risalente, questa Corte di legittimità,
ha affermato che le attestazione di cancelleria sono atti destinato a far fede erga
omnes, nel loro contenuto.
Va detto che la giurisprudenza amministrativa, nel pronunciarsi a proposito
dell’art. 124 del codice di procedura civile e della certificazione di irrevocabilità ad
opera del cancelliere in quel settore, ha precisato – e mutatis mutandis l’affermazione può valere anche in ambito penale- che al cancelliere non compete certificare
che la sentenza sia passata in giudicato, bensì che non siano state proposte impugnazioni.
Anche in quel caso, però, non si è potuto negare che tale certificazione abbia
lo scopo di fungere da prova del passaggio in giudicato della sentenza, aggiungendo, tuttavia, che ai fini del relativo accertamento non è una prova risolutiva, e
neppure indispensabile. Ciò in quanto il cancelliere registra fatti, non esprime giudizi; e non può attestare altro, che ciò che risulta agli atti del suo ufficio.
Tutto ciò che egli abbia certificato (o in senso positivo, o in senso negativo),
in altri termini, è suscettibile di prova contraria, non perché egli abbia necessariamente attestato il falso, ma perché potrebbe esservi stato un errore oppure po-

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zione) era divenuta irrevocabile per il Lisanti il 26.5.2008.

trebbero esservi elementi che sfuggivano alla sua conoscenza ed alla sua competenza, quale potrebbe essere stata, per esempio, la possibilità che una impugnazione fosse stata proposta e andata smarrita.
Tutto ciò comprova che la certificazione di cui all’art. 124 disp. att., così come
quella di cui all’art. 28 reg. att. cod. proc. pen. non è inoppugnabile, e non è
neppure indispensabile: se rilasciata, può essere data la prova contraria; se non
rilasciata, la prova può essere data in altro modo.
E’ vero, dunque, che quell’attestazione non sancisce, in termini assoluti e fino

tanto vero che ingenera nel cittadino che la riceve, fino all’intervenuta prova contraria, il legittimo affidamento che quella comunicatagli dalla Pubblica Autorità sia
la data, in un caso come quello che ci occupa, da cui far decorrere il termine di cui
all’art. 315 co. 1 cod. proc. pen..
Se così non fosse, il rilascio di quell’attestazione non avrebbe senso alcuno. E
nemmeno avrebbe senso che numerose Corti di Appello richiedano a chi voglia
proporre domanda di equa riparazione per l’ingiusta detenzione di produrre, in uno
al ricorso, copia della sentenza di assoluzione con l’attestazione del relativo passaggio in giudicato (cfr, ad esempio, http://www.ca.milano.giustizia.it).
Del resto, visto dal versante di chi quelle attestazioni le riceve, non si è mai
dubitato, ad esempio, che l’alterazione della data dell’avvenuto deposito di un atto
costituisca falso materiale in atto fidefaciente (sez. 5, n. 2122 del 29.11.1984 Leo,
rv. 168129; sez. 5, n. 6850 dell’11.5.1994, Coppa, rv. 198133).

4. Avuto presente, dunque, il dettato di cui all’art. 315 co. 1 cod. proc. pen.
(che fissa entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza il termine entro
il quale operare la richiesta, a pena di inammissibilità) e la pluralità di parti in un
processo, ha evidentemente ragione il ricorrente nel ritenere che all’interessato,
ai fini dell’assolvimento del proprio onere di tempestività del ricorso, non poteva
chiedersi nulla di più che non di recarsi presso l’ufficio giudiziario dal quale è stata
emessa la pronuncia e munirsi di un’attestazione circa la data di passaggio in giudicato della sentenza. Ed è quanto il Lisanti risulta avere fatto.
Evidentemente, al di là che gli spettasse o meno di appellare quella pronuncia
e quindi che egli avesse diritto a vedersi comunicata la stessa, a fronte di quella
certificazione, egli non era tenuto certamente a conoscere quali siano le date in
cui la sentenza in questione è stata comunicata al PG e al PM e a computare i
termini per le relative impugnazioni.
Quell’attestazione lo ha informato che l’ufficio giudiziario aveva verificato lo
spirare dei termini per l’impugnazione e aveva constatato il passaggio in giudicato
della sentenza ad una determinata data.
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a querela di falso, l’irrevocabilità del provvedimento cui si riferisce. Ma è altret-

E’ del tutto evidente, allora, che un eventuale errore di computo da parte
dell’ufficio giudiziario, che retrodati quella indicazione, non può essergli opposto
per farlo considerare, ex post, decaduto per tardività, dall’esercizio di un diritto,
qual è quello all’equa riparazione per ingiusta detenzione.
Se anche errore c’è stato, in altri termini, quell’errore è stato certamente
dell’ufficio giudiziario ed è incolpevole per il ricorrente, che quando ha presentato

il ricorso ha legittimamente ritenuto di essere ancora nei termini di cui all’art. 315
co. 1 cod. proc. pen.

5. Ritiene il Collegio, peraltro, che tale conclusione non sia in contrasto con la
giurisprudenza di questa Corte di legittimità richiamata nel provvedimento impugnato.
E’ noto e condivisibile, infatti, il dictum di questa Corte di legittimità, richiamato dal giudice della riparazione, secondo cui, ai fini del decorso dei termini per
la proposizione dell’impugnazione, la legge attribuisce valore solo ed esclusivamente al verificarsi degli eventi indicati dall’art. 585 comma 2, lett. a), b) e c),
c.p.p., per cui nessun rilievo può attribuirsi all’eventuale, erronea applicazione,
sull’originale del provvedimento, dell’attestazione di passaggio in giudicato, costituendo tale attestazione soltanto un adempimento amministrativo di carattere interno, previsto a tutt’altri fini dall’art. 27 del Regolamento di esecuzione del codice
di procedura penale, approvato con D.M. 30 settembre 1989 n. 334 (sez. 1, n.
32301 del 3.7.2003, Musci, rv. 225119).
La pronuncia in questione, tuttavia, è prima di tutto, a garanzia dell’impugnante (in quel caso l’imputato, che chiedeva la declaratoria di non esecutività
della sentenza pronunciata nei suoi confronti in virtù di un errato calcolo del passaggio in giudicato della sentenza da parte della cancelleria) e ispirata, come tutto
il sistema codicistico, oltre che al favor rei, al favor impugnationis. In essa si dice,
evidentemente, ed è assolutamente condivisibile, che, a fronte di un’errata attestazione di cancelleria, in danno di chi abbia diritto ad impugnare, varranno sempre e comunque i termini di cui all’art. 585 cod. proc. pen.
Quello stesso favor , tuttavia, non può che portare all’affermazione che non
può dichiararsi inammissibile un ricorso ex art. 314 cod. proc. pen. pronunciato
nel termine di due anni dall’attestazione di cancelleria, di cui il ricorrente si è munito, circa l’irrevocabilità della sentenza. E se anche da parte dell’ufficio giudiziario
ci possa essere stata quell’errore potrà essere opposto al ricorrente, a meno che
non si provi che egli ne abbia dato causa o vi abbia concorso.

6. Inconferenti appaiono, invece, i richiami operati alla giurisprudenza di
questa Corte di legittimità che ha più volte affermato non essere necessaria, ai fini

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della formazione del titolo esecutivo e della legittima emissione dell’ordine di carcerazione, l’attestazione del cancelliere in calce alla sentenza circa l’avvenuto passaggio in giudicato di essa, allorché esso non sia controverso, poiché l’efficacia
esecutiva è una caratteristica intrinseca della sentenza divenuta irrevocabile e l’attestazione di cancelleria un mero adempimento amministrativo di carattere interno, previsto a tutt’altri fini dall’art. 27 reg. esec. c.p.p., approvato con D.M., 10
settembre 1989, n. 334 (sez. 1, n. 1230 del 9/2/1999, P.M. in proc. Di Martino e
altro, rv. 212970; sez. 6, n. 21925 del 5/3/2002 dep. 17/5/2003, Formisano, rv.

44236 del 13.5.2014, Amati, rv. 260714).
Non sfugge, infatti, la diversità di situazione, e la circostanza che le pronunce in questione riguardino -diversamente da quello che ci occupa- casi in cui
la data del passaggio in giudicato non era controversa.

P.Q.M.
Annulla l’impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello
di Bari cui rimette il regolamento delle spese tra le parti anche per questo giudizio.
Così deciso in Roma il 18 novembre 2015
Il Presi ente

225415; sez. 5, n. 32301 del 3.7.2003, Musei, rv. 225119 e da ultimo sez. 1, n.

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