Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48425 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 48425 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Merlo Gino, nato a Wolfsburg (germania) il 01/09/1976
avverso la sentenza 15/10/2012 della Corte d’appello di Messina, sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Luigi Riello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 15/10/2012, la Corte di appello di Messina,

confermava la sentenza del Tribunale di Patti, in data 19/12/2008, che aveva
condannato Merlo Gino alla pena di anni 5, mesi 6 di reclusione ed C.
1.500,00 di multa per i reati di estorsione e tentata estorsione aggravata
commessi in Germania in danno del cittadino tedesco Bernd Muller nel corso
degli anni 2000 e 2001.

1

Data Udienza: 13/11/2013

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello

e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale
responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena
inflitta.

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando diversi motivi di gravame con i quali

3.1

nullità della sentenza di primo grado per nullità del decreto di rinvio

a giudizio a causa della nullità del capo d’imputazione per errata
individuazione delle norme di legge violate dall’imputato;
3.2

nullità della sentenza di primo grado per errata, contraddittoria e

carente motivazione;
3.3
3.4

nullità della sentenza d’appello per mancanza della motivazione;
insufficiente motivazione in ordine alla richiesta di ridurre la

pena inflitta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità.

2.

Per quanto riguarda il primo motivo, l’eccezione non può essere

proposta in quanto l’eventuale nullità del decreto che dispone il giudizio, a
norma dell’art. 181, comma 3, cod. proc. pen. deve essere eccepita entro il
termine di cui all’art. 491, comma 1, cod. proc. pen. Nel caso di specie la
difesa del ricorrente non ha neppure allegato di avere sollevato l’eccezione
tempestivamente.

3.

Quanto al secondo motivo, non è deducibile con il ricorso per

cassazione la nullità della sentenza di primo grado per vizio della
motivazione, una volta che sia stato proposto appello. Non v’è dubbio,
infatti, che non solo il vizio, ma persino la mancanza assoluta di
motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti
dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare
2

deduce:

la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo
grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena
cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la
motivazione mancante (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3287 del 27/11/2008
Ud. (dep. 23/01/2009) Rv. 244118).

4.

Quanto al terzo motivo, le censure sono inammissibili per aspecificità

motivazione, senza indicare specificamente le ragioni di diritto ed i motivi di
fatto che sorreggono la propria richiesta.

5.

Infine ugualmente inammissibili sono le censure in merito al

trattamento sanzionatorio in quanto, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti
eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo
motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo, cod.pen., anche ove adoperi
espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero
si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 33773 del 29/05/2007 Ud. (dep. 03/09/2007 ) Rv. 237402). E’
stato, poi, ulteriormente precisato che la specifica e dettagliata motivazione
in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o
aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le
espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”,
come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere
(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009 Ud. (dep. 18/09/2009)
Rv. 245596). Nel caso di specie la pena inflitta è molto al di sotto della
misura media di quella edittale. Pertanto nessuna censura può essere
mossa, sotto questo profilo alla sentenza impugnata.

6.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.

3

in quanto il ricorrente si duole genericamente di mancanza della

186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Piesi ente

Così deciso, il 13 novembre 2013

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