Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48422 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 48422 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALBERICI FABIO N. IL 20/02/1952
avverso la sentenza n. 1055/2006 CORTE APPELLO di ANCONA, del
02/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

2>°( f\ii42444″Migyart:‘

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

‘I.;

Data Udienza: 05/11/2013

Con sentenza del 2 aprile 2012, la Corte di appello di Ancona ha dichiarato
inammissibile per genericità dei relativi motivi l’appello proposto nell’interesse di
ALBERICI Fabio avverso la sentenza pronunciata il 23 marzo 2006 dal Tribunale di
Urbino, con la quale il predetto era stato condannato alla pena di mesi otto di
reclusione ed euro 400 di multa quale imputato del delitto di ricettazione di due
assegni bancari provento di appropriazione indebita.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale lamenta violazione di
legge. Si osserva al riguardo che con i motivi di appello, l’imputato aveva inteso
lumeggiare il rapporto sottostante la dazione degli assegni per sottolineare l’assenza
del dolo: infatti, Serretti Benito amministratore della Metalli s..r.l. — da qui la
configurazione a suo carico del reato di appropriazione indebita, delitto presupposto
della ricettazione — era il locatario dell’imputato e in tale veste gli avrebbe
consegnato gli assegni; da ciò la richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., di esame dello
stesso Serretti ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., per rendere dichiarazioni sulle
circostanze della dazione degli assegni e sulla carica di amministratore della Metalli
s.r.l. La seconda parte dell’appello era diretta a contrastare, sia pure in forma
sintetica, le affermazioni della sentenza di primo grado in punto di dolo. Si contesta
poi l’affermazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la
irrilevanza dell’assunto secondo il quale il Serretti era stato a lungo amministratore
della Metalli s.r.l.
Il ricorso è fondato. Analogamente a ciò che prevedeva il codice di rito
abrogato sotto l’art. 201, anche il codice vigente ha prescritto, sotto l’art. 581, il
requisito della specificità dei motivi di impugnazione, in termini, peraltro, ancor più
incisivi, prescrivendosi che i motivi stessi rechino la “indicazione specifica” «delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta». Permane
inalterata nel sistema la sanzione della inammissibilità, ma è proprio la natura
dell’effetto processuale che deriva dalla aspecificità del motivo a rendere avvertiti del
fatto che deve trattarsi di un difetto tale da impedire la delibazione del motivo, in
ragione, tanto del provvedimento impugnato e del relativo oggetto, che delle
peculiarità che caratterizzano il mezzo di impugnazione che può venire in discorso:
altro essendo, come è evidente, i requisiti formali che devono caratterizzare il motivo
rispetto ad un rimedio a connotazioni particolari, come l’appello, in cui i margini
della devoluzione variano in ragione dello spettro delle doglianze attivate dalla parte
appellante, altro il sindacato demandato in sede di legittimità, attraverso il ricorso per
cassazione. Si osservava infatti in passato che la genericità della impugnazione era
tale da “giustificare” la sanzione della inammissibilità, allorchè le critiche poste a
fondamento del gravame fossero articolate in termini tali da potersi adattare alla
impugnazione di un qualunque provvedimento, senza alcun preciso e concreto
riferimento con il provvedimento impugnato. La pronuncia di inammissibilità,
starebbe dunque a significare una sostanziale declaratoria di non liquet sul gravame,

OSSERVA

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proprio perché difetterebbero i requisiti di identificabilità delle “ragioni” poste a
fondamento delle censure, altrimenti solo labialmente enunciate dalla parte ed
insuscettibili, come tali, di formare oggetto di una argomentata replica da parte del
giudice adito: alla genericità di quelle “ragioni,” non potrebbe dunque che
corrispondere una altrettanto “generica” replica del giudice della impugnazione, che
darebbe ineluttabilmente luogo ad una pronuncia nella sostanza immotivata.
Ma una volta che le “ragioni” dell’appellante siano state concretamente
enunciate in riferimento ad un oggetto specifico della domanda di impugnazione, e si
versi, come nella specie, all’interno di un regime impugnatorio a devoluzione
variabile, non v’è spazio per una declaratoria che produce l’effetto di paralizzare
l’esame nel merito del gravame; e ciò, proprio perché la disamina degli indici di
“riconoscibilità” delle censure e, dunque, del petitum richiesto e del “perché” la
doglianza è stata• articolata, può giustificare l’adozione di una pronuncia di
inammissibilità per genericità dei motivi soltanto ove siano le stesse “sembianze” del
gravame a non risultare tracciabili, dal momento che una declaratoria siffatta si fonda
e si giustifica (anche sul piano costituzionale del canone di ragionevolezza) sulla
sostanziale “impossibilità” della decisione, dovuta, appunto, alla “imprecisione” della
domanda che ne impedisce il “riconoscimento”.
Ove così non fosse, d’altra parte, il discrimen tra motivo generico,
inammissibile, e motivo manifestamente infondato, ammissibile in appello, si farebbe
davvero troppo labile e tale da legittimare statuizioni preclusive della impugnazione
non consentite dall’ordinamento.
Per escludere la patologia della genericità del motivo in appello si è dunque
ritenuto necessario che l’atto di impugnazione individui il punto che intende
devolvere alla cognizione del giudice del gravame, enucleandolo con riferimento alla
motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla
decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il
giudice ad quem. Da ciò, ancora, l’assunto secondo il quale la specificità che deve
caratterizzare i motivi di appello, deve essere intesa alla luce del principio del favor
impugrzationis, in virtù del quale, in sede di appello, l’esigenza di specificità del
motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minor rigore rispetto al
giudizio di legittimità, avuto riguardo alla peculiarità di quest’ultimo (Cass., Sez. IV,
n. 48469 del 7 dicembre 2011, El Katib). In appello, d’altra parte, si è anche
affermato, proprio in considerazione della natura del rimedio, i motivi possono anche
consistere in un motivato invito alla rilettura delle prove (Cass., Sez. VI, n. 9093 del
14 gennaio 2013, Lattanzi), giacchè è proprio quella la sede nella quale proporre
interpretazioni alternative dei fatti, proprio alla luce ed in critica agli argomenti esibiti
in proposito dal giudice di prime cure.
Ebbene, nella specie, a fronte di una sentenza di primo grado estremamente
succinta, nei motivi di appello il ricorrente ha proposto una critica anch’essa succinta
ma del tutto perspicua nei relativi aspetti qualificanti, essendosi essa concentrata
proprio sui rapporti tra il Serretti e la società vittima della appropriazione indebita
degli assegni, reato presupposto del delitto di ricettazione ascritto al’odierno

P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte
di appello di Ancona per il giudizio.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013
Il Consiglir estensore

Il P esidente

imputato; il che giustificava la richiesta di esame dello stesso Serretti ex art. 210 cod.
proc. pen., anche in relazione ai rapporti che lo avrebbero legato all’imputato. Il tutto
non senza sottolineare la critica relativa all’elemento soggettivo del reato che, a sua
volta, giustificava la gradata sollecitazione a ritenere se del caso applicabile la
contravvenzione di incauto acquisto.
Si tratta di motivi, dunque, che non presentano affatto i caratteri di genericità
prospettati dai giudici a quibus, i quali, peraltro, contraddittoriamente, dopo essersi
diffusi in termini generali sul requisito della specificità dei motivi, ne stigmatizzano
sostanzialmente la manifesta infondatezza, osservando come le deduzioni
dell’appellante non valessero ad incrinare il «monolitico quadro probatorio» raccolto
a suo carico e la cui consistenza veniva ad essere nuovamente evocata.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio e gli atti
vanno trasmessi alla Corte di appello di Ancona per il giudizio.

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