Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48396 del 26/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48396 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BATTAGLIA ANGELA TIZIANA N. IL 05/06/1981
avverso la sentenza n. 259/2012 CORTE APPELLO di MESSINA, del
02/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 26/09/2013

R.G. 21755 / 2013

1. Con il ministero del difensore l’imputata Angela Tiziana Battaglia ricorre per
cassazione contro la decisione della Corte di Appello di Messina, che ha confermato in
punto di responsabilità la sentenza di condanna resa all’esito di giudizio abbreviato dal
locale Tribunale per il reato di illecita vendita di 3,1 grammi di marijuana a un giovane
minorenne per un prezzo di 40,00 euro. Responsabilità la cui sanzione la Corte
territoriale ha ritenuto di mitigare con un giudizio di prevalenza della già concessa
attenuante del fatto lieve (art. 73 co. 5 L.S.) sulle contestate aggravanti e recidiva ex art.
99 co. 4 c.p., stabilendo la pena in misura di due anni di reclusione ed euro 3.000,00 di
multa, in assenza di condizioni per riconoscere il beneficio della sospensione ex art. 163
c.p. (avendo già il giudice di primo grado correttamente revocato detto beneficio
concesso su due anteriori condanne subite dalla Battaglia nel quinquennio precedente la
consumazione del nuovo reato di cui all’art. 73 L.S.).
2. Il ricorso deduce violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo:

a) alla contraddittorietà della motivazione sulla individuata eccessiva pena base
(quattro anni e sei mesi di reclusione), pur avendo i giudici di appello rilevato la minima
quantità della sostanza drogante venduta, l’avvenuta sua cessione senza accorgimenti di
sorta, il mancato rinvenimento nel corso di perquisizione domiciliare a carico della
Battaglia di altro stupefacente o di mezzi per confezionare dosi destinate alla vendita;
b) alla motivazione omessa o apparente sulla richiesta di applicazione della pena
alternativa del lavoro di pubblica utilità ex art. 73 co. 5-bis L.S., disattesa con formule
generiche e di stile per asserita insussistenza dei presupposti legittimanti l’invocata
conversione dell’inflitta pena detentiva.
3. Il ricorso è inammissibile per indeducibilità e manifesta infondatezza dei

delineati motivi di censura.
3.1. Immune da qualsiasi rilievo appare la determinazione della pena (ridotta
sensibilmente rispetto a quella definita dal Tribunale) operata con logicità dalla Corte
peloritana, che ha tenuto ben presenti tutti i parametri dettati dall’art. 133 c.p. e in
particolare quello dell’anteatta condotta della ricorrente, cui è stata contestata la recidiva
qualificata anche dalla specificità dei fatti reato (e che ha indotto la sentenza di primo
grado a segnalarne una “particolare attitudine ai fatti di spaccio”).
3.2. Analoghi rilievi valgono per il diniego della sostituzione della pena detentiva
con quella di un lavoro di pubblica utilità invocata dalla prevenuta per il suo asserito
stato di tossicodipendenza, addotto in dibattimento con spontanee dichiarazioni, dettate
da palesi finalità autodifensive e non supportate da altri dati, a sostegno della tesi di un
possesso dello stupefacente per suo personale consumo, occasionalmente ceduto in
piccola parte al minorenne. Tesi smentita dalle evenienze processuali ripercorse dalle
due sentenze di merito (la Battaglia si è disfatta della maggior parte dell’originaria
quantità di gr. 4,7 di marijuana in suo possesso, cedendone gr. 3,1 al minore, non per un
gesto di generosità, ma solo dietro specifico pagamento di euro 40,00).
Non vi è dubbio che, nel quadro della discrezionale applicazione dell’istituto
della pena alternativa (art. 73 co. 5-bis L.S.: “…il giudice può applicare…”), il giudice della

2

Motivi della decisione

cognizione di merito abbia il dovere, anche in rapporto alle peculiari finalità di emenda
e reinserimento sociale della sanzione penale (art. 27 Cost.), di verificare e ricercare -se
necessario, ex officio gli elementi utili per una esauriente delibazione della richiesta
dell’interessato, sul quale non può gravare l’onere probatorio di fornire la piena
dimostrazione della sussistenza di tutte le condizioni normative per accedere al
beneficio dell’alternativa esecuzione della pena (cfr.: Cass. Sez. 6, 15.4.2009 n. 21554,
Pendino, rv. 244144; Cass. Sez. 6, 14.1.2013 n. 6140, Greco, rv. 254488).
Nondimeno l’esercizio di tale dovere di ricerca e controllo di idonei dati
informativi (stato di tossicomania; eventuale iscrizione ad un SERT e/o sottoposizione a
programmi terapeutici di recupero; orientamenti e attitudini lavorative del richiedente;
anteriori o attuali occupazioni lavorative; ecc.), esercizio implicante intuibili differimenti
dei tempi di definizione del giudizio e -per ciò stesso- della procedura esecutiva penale
(la richiesta deve ex lege precedere la pronuncia della sentenza), richiede -quale specifica
precondizione funzionale- che il giudice di merito sia in concreto posto in grado di
attivarsi efficacemente in base a precisate, se pur sommarie, indicazioni provenienti
dallo stesso imputato. A tal fine il requisito pregiudiziale dell’istituto previsto dall’art.
73 co. 5-bis, l’essere -cioè- l’imputato “persona tossicodipendente”, non può discendere, ove
non già aliunde risultante dagli atti, da un generico labiale assunto dello stesso imputato,
come è avvenuto nel caso della odierna ricorrente.
Di tal che i pur doverosi accertamenti del giudice di merito in tanto si rendono
utilmente esperibili, in quanto siano indotti da una responsabile richiesta dell’imputato,
sorretta almeno da tracce di reale esistenza di elementi meritevoli di approfondimento e
verifica da parte del giudice per i fini di cui all’art. 73 co. 5-bis L.S. (Cass. Sez. 6,
27.6.2008 n. 34620, P.G. in proc. Piredda, rv. 240317; Cass. Sez. 6, 18.6.2009 n. 38110,
Barbieri, rv. 244554; Cass. Sez. 3, 27.1.2011 n. 6876).eco, rv. 254488).
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 26 settembre 2013

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