Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48325 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 48325 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• ANELLI Pierluigi, nato a Roma il 07/08/1967;
avverso la ordinanza in data 03 – 06/08/2015 del Tribunale di Roma in funzione
di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Antonio Giaranella, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore dell’imputato, avv. Massimo Filiè del foro di Roma

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 03 – 06/08/2015, a seguito di giudizio di riesame, il
Tribunale di Roma ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Roma emessa in data 01/07/2015 con la quale
era stata applicata ad Anelli Pierluigi la misura cautelare personale degli arresti
domiciliari in relazione ai reati di associazione a delinquere, con ruolo di
partecipe, nonché di due reati fine (riciclaggio – sub capo 9; ricettazione – sub
capo 35); struttura associativa stabile che – secondo l’impostazione accusatoria
– sulla scorta di un programma indeterminato, attuato nell’area romana in un

In

Data Udienza: 24/11/2015

apprezzabile lasso di tempo (dal 2013 al mese di agosto 2014) aveva attuato
una vera e propria strategia delinquenziale e, attraverso una pianificata
ripartizione dei ruoli, delineati in maniera tale da essere ricoperti all’occorrenza
da ciascun solidale, aveva consumato numerose truffe in danno delle Poste
Italiane e degli ignari clienti, realizzando un ingente profitto illecito, stimato in un
milione di euro. In sintesi, attraverso l’opera di alcuni funzionari postali infedeli,
veniva individuato il conto postale da colpire, dal quale si prelevava illecitamente
il denaro depositato mediante la complicità di un solidale – munito di falsi

sostituiva con assegni circolari oppure ordinava operazioni di trasferimento con
bonifici.
Il quadro indiziario a carico del ricorrente è stato delineato sulla scorta della
collaborazione di un impiegato infedele di Poste Italiane, delle intercettazioni
telefoniche, dell’esame dei tabulati telefonici, degli esiti dei servizi di
appostamento e di pedinamento effettuati dalla polizia giudiziaria, delle
perquisizioni e sequestri, del tracciamento delle movimentazioni finanziarie, dei
controlli anti frode dell’ente Poste.
In particolare, era risultato che gli associati agivano sotto la supervisione di
Cesarini Andrea e di Silvestri Vincenzo, il quale aveva realizzato stabili accordi
criminali con persone a lui direttamente riconducibili nell’area campana oltre che
nel modenese e nel milanese, al fine di riciclare i proventi delle operazioni
illecite.
Il ruolo dell’Anelli e di altri complici, era individuato nel sostituire la propria
persona con quella dei diversi correntisti, vittime della sottrazione delle somme
depositate presso i relativi conti postali, falsificare documenti d’identità sui quali
apporre le rispettive foto, associandole alle generalità dei correntisti truffati;
porre all’incasso assegni clonati e buoni fruttiferi postali falsificati; disporre
trasferimenti dei conti postali; operare truffe depredando i conti correnti postali;
riciclare le somme provento di precedenti truffe cui non avevano partecipato,
frazionando in molteplici operazioni finanziarie gli importi illecitamente sottratti a
conti o depositi postali.
I reati fine attribuiti all’Anelli erano quelli di riciclaggio (per aver ricevuto quattro
vaglia circolari – proventi dell’incasso effettuato da Bonaga Giacomo di un vaglia
circolare di 35.000 euro, disposto da Celep Abdullah e di cui al capo 8 – e di
aver sostituito e trasferito il denaro di provenienza illecita, così compiendo
operazioni volte ad ostacolare l’individuazione della sua provenienza) e di
ricettazione di un assegno, provento del reato di cui al capo 32.

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documenti e sostituitosi al vero cliente – che incassava assegni clonati o li

Il Tribunale ha condiviso il ragionamento del primo giudice, richiamando
integralmente la motivazione sulla sussistenza della gravità indiziaria e
ravvisando il concreto ed attuale pericolo di reiterazione di analoghe condotte
delittuose, sulla base della stabilità del vincolo associativo e dell’assorbimento
dell’indagato nelle logiche delinquenziali del gruppo.
Ha rigettato il ricorso basato sull’inidoneità dei due singoli reati fine a dimostrare
la partecipazione dell’Anelli all’associazione di cui al capo 1; sulla giustificazione

prestito); sull’insussistenza delle esigenze cautelari; sulla necessità di espletare
attività lavorativa per far fronte alle esigenze della famiglia.
2. Ricorre per Cassazione il difensore di Anelli Pierluigi chiedendo l’annullamento
dell’ordinanza impugnata per manifesta violazione di legge sostanziale e
processuale ex art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. e per assenza
e contraddittorietà di motivazione del provvedimento impugnato, riconducibile
all’inosservanza o erronea applicazione dell’art.273 cod. proc. pen. e dell’art.125
n.3 cod. proc. pen. nonché per inosservanza dell’art. 111, quarto capoverso
Cost. quale norma giuridica della quale si deve tener conto nell’applicazione della
legge penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.

2. Deve innanzitutto premettersi che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema
hanno già avuto modo di chiarire che “in tema di misure cautelari personali,
allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in
relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso
ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni
che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziarlo a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie” (Cass. Sez. U,
sent. n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Rv. 215828).

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addotta a fronte dell’operazione finanziaria contestata (restituzione di un

Tale orientamento, dal quale l’odierno Collegio non intende discostarsi, ha
trovato conforto anche in pronunce più recenti di questa Corte Suprema (cfr. ex
multis: Cass. Sez. 4, sent. n. 26992 del 29/05/2013, dep. 20/06/2013, Rv.
255460).
Ne consegue – ed il discorso vale anche per le esigenze cautelari di cui si dirà più
avanti – che “l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc.
pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in

in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato (in motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di
legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del
giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei
dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo
formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito – Cass. Sez. F,
sent. n. 47748 del 11/08/2014, dep. 19/11/2014, Rv. 261400; Sez. 3, sent. n.
40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Rv. 248698).
3. Ciò premesso, deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata presenta una
motivazione congrua, non manifestamente illogica e tantomeno contraddittoria.
In essa risultano, infatti, ricostruite le emergenze investigative e gli ulteriori
elementi che portano a ritenere che i fatti descritti nell’imputazione preliminare
si sono verificati e che essi sono riconducibili all’indagato (oltre che ai complici).
Per contro la difesa del ricorrente, per una verso ha riproposto argomentazioni
già confutate dal giudice del merito e per altro ha svolto censure in fatto tese a
sminuire le quantità degli indizi, pur senza negare la condotta oggetto delle
imputazioni di riciclaggio e di ricettazione.
L’appartenenza dell’Anelli alla struttura associativa è motivata con specifico
riferimento alla posizione di costui nell’indagine: la partecipazione
all’associazione è riferita ad una fase ben precisa dell’attività criminale ossia al
frazionamento in operazioni finanziarie degli importi illecitamente sottratti a conti
o depositi postali, così come riportato nel capo 1.
I gravi indizi di colpevolezza – contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso sono costituiti da elementi individualizzanti, con riferimento – oltre che ai due
reati fine – anche ai contatti con Cesarini Massimo, organizzatore e promotore
del sodalizio così come emersi in relazione all’episodio di ricettazione sub 35 (fu

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cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od

il Cesarini a suggerire all’Anelli di porre all’incasso l’assegno provento del reato di
cui al capo 32 – cfr. pag. 6 del ricorso) e avvalorati dalle indagini della Procura di
Lecce (con provvedimento di accoglimento della misura cautelare è stata
affermata la solidità dei rapporti esistenti fra il Cesarini e i coindagati Anelli
Pierluigi e Di Matteo Stefania, quest’ultima dipendente presso l’ufficio postale di
Roma Prima Porta, con trasmissione degli atti alla Procura di Roma per
competenza con riferimento alla posizione dell’Anelli – pag. 13 dell’ordinanza

La motivazione fa altresì riferimento a specifici elementi dell’indagine a carico
dell’Anelli: l’esito dell’interrogatorio di garanzia (nel corso del quale il ricorrente,
pur dichiarando di non rendersi conto di cosa avesse organizzato il Cesarini,
ammetteva gli addebiti, sostenendo di aver agito per necessità e precisando di
aver ricevuto gli assegni da Cesarini Andrea ottenendo il 5% del valore del titolo
e che tramite quest’ultimo aveva conosciuto Silvestri Vincenzo, altro promotore
dell’associazione a delinquere); la continuità dell’adesione al gruppo guidato dal
Cesarini con riferimento ai dati temporali ed all’indagine per fatti analoghi della
procura leccese (pag. 12 dell’ordinanza impugnata); la pretestuosità delle
giustificazioni addotte a fronte delle transazioni oggetto dei capi d’imputazione
sub 9) e 35) (i riferiti rapporti di debito – credito con il Bonaga ed il Cesarini
sono stati confutati dallo stesso tribunale di Roma in occasione del riesame del
sequestro disposto nei confronti del Bonaga, con il provvedimento richiamato
nell’ordinanza impugnata ed estraneo alle doglianze del ricorrente); lo stretto
collegamento dei reati fine con quelli commessi da altri appartenenti al sodalizio
(il riciclaggio del denaro proveniente dall’incasso effettuato dal Bonaga di un
vaglia circolare oggetto del reato sub 8; la ricettazione di un assegno tratto da
un conto corrente postale, provento del reato di cui al capo 32).
In definitiva, la motivazione del tribunale è congrua e si sottrae alla censure di
manifesta illogicità.
Anche le esigenze cautelari sono state delineate con argomentazioni immuni da
vizi logici rispetto alle quali il motivo di ricorso costituisce riproposizione della
tesi difensiva disattesa dal tribunale, il quale ha condiviso in particolare la
conclusione del primo giudice secondo cui solo la disarticolazione della struttura
criminale e la rescissione di ogni legame illecito tra i correi, nel contesto della
consumazione di altri delitti della stessa specie di quelli in contestazione, potrà
far cessare l’attualità concreta del pericolo di recidiva.

impugnata).

È proprio la persistente capacità di porre in essere reati contro il patrimonio con
modalità ben definite, avvalendosi di una estesa rete di complicità, che ha
determinato l’applicazione per tutti i consociati delle misure cautelari in corso;
pericolo concreto ed attuale che riguarda anche l’Anelli per le ragioni evidenziate
dal giudice di merito.
4. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.

delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di €
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 24 novembre 2015.

Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento

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