Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48303 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 48303 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• ILJAZI Klodian nato in Albania il giorno 08/09/1976
avverso la sentenza n. 2674 in data 19.07.2012 della Corte di Appello di Ancona
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 19.07.2012 la Corte di Appello di Ancona confermava la
sentenza emessa con rito abbreviato dal giudice della udienza preliminare del
Tribunale di Macerata il 16.09.2009 di condanna di Iljazi Klodian – previo
riconoscimento di attenuanti generiche – alla pena di anni due, mesi due, giorni
dieci di reclusione ed euro 400 di multa perché ritenuto responsabile del reato di
estorsione in concorso con Bagoj Artan, giudicato separatamente, ed in danno di
Vesataroli Elisabetta, costretta a versare la somma di euro 200,00 per ottenere
la riconsegna di documenti dei quali aveva dichiarato in precedenza il furto.
Evidenziava

la

corte

territoriale,

rigettando

l’eccezione

preliminare

dell’appellante, che correttamente il tribunale aveva rigettato la richiesta di rito
abbreviato condizionato all’escussione di un teste ed all’acquisizione di tabulati
telefonici, trattandosi di prove non rilevanti. Nel merito richiamava la

Data Udienza: 26/11/2015

ricostruzione in fatto contenuta nella parte narrativa della sentenza impugnata;
confermava la qualificazione del reato di estorsione ed il trattamento
sanzionatorio, con riferimento anche all’esclusione dell’attenuante prevista
dall’art.62 n. 4 cod. pen.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato,
sulla base di cinque motivi:

mancata assunzione di una prova decisiva (testimonianza di Rapagnani

cod. proc. pen. così come previsto dall’art. 606 lett.d) cod. proc. pen;

mancata assunzione di una prova decisiva (acquisizione completa dei tabulati

telefonici) richiesta dalla difesa in virtù del disposto dei cui all’art.495 comma 2
cod. proc. pen. così come previsto dall’art. 606 lett.d) cod. proc. pen;
– violazione di legge per mancata riqualificazione del fatto quale esercizio
arbitrario delle proprie ragioni (mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione della sentenza impugnata relativamente alla sussistenza del
reato di estorsione), in relazione all’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. sul
presupposto dell’esistenza del diritto alla ricompensa per i documenti ritrovati ex
art. 930 cod. civ;
– manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del
furto (anziché del ritrovamento) dei documenti, con riferimento all’art.606 lett.
e) cod. proc. pen;
– difetto di motivazione per la mancata concessione dell’attenuante del fatto di
lieve entità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo, il secondo e il quinto motivo costituiscono mera ripetizione di quelli
proposti in sede di appello, ai quali la corte territoriale ha fornito adeguata
motivazione, non confutata dal ricorrente.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su censure che si risolvono nella pedissequa reiterazione di
quelle già dedotte in appello e motivatamente disattese dal giudice di merito,
dovendosi le stesse considerare non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto
non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto
di ricorso (tra le tante Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012; Sez. 6 n. 22445 del

2

Samuela) richiesta dalla difesa in virtù del disposto dei cui all’art.495 comma 2

8 maggio 2009, rv 244181). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di
una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la
pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può
essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla
Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi
dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone la
esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Cass.
Sez. 6, sent. n. 20377 del 11/03/2009, dep. 14/05/2009, Rv. 243838).

ammissione al rito abbreviato condizionato all’escussione di un teste ed
all’acquisizione dei tabulati telefonici; la corte di appello, rigettando la censura,
aveva evidenziato che il teste avrebbe dovuto riferire su circostanze attinenti ad
un episodio diverso e che i numeri telefonici – attestanti il contatto tra l’imputato
e la vittima – erano stati altrimenti acquisiti: concludeva pertanto per
l’irrilevanza dei mezzi istruttori in questione.
Con il ricorso per cassazione l’imputato non ha confutato la conclusione sul punto
della corte territoriale, riconoscendo che la testimonianza era relativa ad un fatto
diverso (ancorchè indicativo della sua personalità) e che egli aveva in effetti
telefonato alla parte lesa; si è limitato ad insistere nell’approfondimento
istruttorio, senza evidenziare ragioni – contrarie a quelle indicate nella sentenza
impugnata – che giustificassero una valutazione di rilevanza delle ulteriori prove.
Anche l’ultimo motivo, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del
fatto di lieve entità, è stato oggetto di esame da parte della corte di appello
(pagg. 3 e 4), con riferimento all’entità della somma pretesa ed alla persona
offesa. La giurisprudenza citata dal ricorrente fa riferimento ad importi inferiori
rispetto a quello estorto alla vittima sì che non costituisce confutazione del
ragionamento del giudice di merito.
2.1 Per quanto attiene alla riqualificazione del reato di estorsione in esercizio
arbitrario delle proprie ragioni il ricorrente afferma che la pretesa era legittima e
nasceva da un fatto lecito: il diritto alla ricompensa per il ritrovamento dei
documenti smarriti dalla parte offesa.
In realtà la pretesa non era comunque tutelabile davanti all’autorità giudiziaria,
posto che l’art.927 cod. civ. prevede espressamente l’obbligo per chi ritrova una
cosa mobile altrui di restituirla al proprietario senza affermazione di alcun diritto
di ritenzione in relazione al premio eventualmente dovuto al ritrovatore, non
senza evidenziare che: a) nel caso di specie i documenti erano stati oggetto di
furto; b) trattandosi di beni privi di valore commerciale solo il giudice poteva

3

Nel caso di specie l’imputato aveva già eccepito in via preliminare la mancata

fissare la misura della ricompensa secondo equità (art. 930, terzo comma cod.
civ.).
Il motivo pertanto è manifestamente infondato, a fronte della corretta
qualificazione della fattispecie, caratterizzata dalla minaccia, implicita e
contestuale alla richiesta di pagamento, di perdita definitiva del bene.
2.2. Il quarto motivo è inammissibile perché aspecifico, relativo alla “ritenuta
sussistenza del reato di furto”: il riferimento è ai documenti della Rapagnani
vittima, pochi giorni prima della estorsione, del furto dei documenti, in data

riferimento alla giurisprudenza secondo cui “il delitto di estorsione sussiste anche
quando sia stata la vittima di un furto, di sua iniziativa, ad offrire denaro per il
recupero della refurtiva”.

3. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 26 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

6/09/2009, con la conseguenza che correttamente la corte territoriale ha fatto

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