Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48300 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 48300 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MIANO CLAUDIO n. il 05/09/1983
avverso la SENTENZA della CORTE DI APPELLO di MESSINA
del 22/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere dr. Antonio Prestipino
Udito il Procuratore Generale in persona del dr. Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 26/11/2015

Ritenuto in fatto
1.Ha personalmente proposto ricorso per cassazione Miano Claudio, avverso la sentenza
della Corte di Appello di Messina del 22.11.2013, che confermò la sentenza di condanna
alla pena di mesi nove di reclusione ed € 500 di multa pronunciata nei suoi confronti dal
Tribunale dì Barcellona Pozzo di Gotto il 23.7.2010 per il reato di ricettazione di un
assegno bancario di provenienza furtiva (ritenuto riconducibile all’ipotesi di cui al
secondo comma dell’art. 648 cod. pen.), assegno che, secondo l’accusa, l’imputato
aveva portato all’incasso presso l’ufficio postale di Rodi Milici
2. Deduce il ricorrente:
1.Inosservanza ed erronea applicazione delle norme processuali che presiedono
all’accertamento della verità (in ricorso è richiamato l’art. 606 lett. b) cod. proc. pen). Il
motivo ripropone la deduzione difensiva già proposta nel giudizio di merito circa la
necessità di una decisiva perizia grafica per accertare se la firma di girata sull’assegno
in questione corrispondesse o meno alla grafia dell’imputato. La questione è
ulteriormente sviluppata con il secondo motivo sotto il profilo dì legittimità realmente
ravvisabile (art. 606 lett. d. L’esperimento istruttorio omesso tanto più sarebbe stato
necessario in considerazione dell’errore in cui era caduto l’impiegato postale che aveva
interloquito con il presentatore del titolo, sull’identità anagrafica di quest’ultimo.
2.violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della fattispecie
contravvenzionale di cui all’art. 712 cod. pen. Sul punto, la difesa si limita a rilevare che
questa sarebbe la corretta qualificazione giuridica del fatto.
3. Mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in punto di
conferma del giudizio di responsabilità. La difesa rileva un refuso della sentenza
nell’indicazione del titolare del conto corrente da cui proveniva l’assegno come sintomo
della superficialità delle valutazioni della Corte di merito e lamenta che i giudici di
appello non abbiano dato conto delle obiezioni difensive, pervenendo alla decisione
senza i “necessari passaggi e argomentazioni indispensabili al fine di rendere l’intero
iter motivazionale logico, comprensibile, e verificabile…”
4. Inosservanza ed erronea applicazione delle norme processuali che presiedono
all’accertamento della verità (in ricorso è richiamato l’art. 606 lett. b) cod. proc. pen).
Il motivo è riferito, stavolta, all’applicazione dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 co 2
cod. pen. Il riferimento alla “verità” è in realtà alquanto eccentrico rispetto allo sviluppo
argomentativo del motivo, incentrato sulla presunta, mancata “valutazione”, da parte
della Corte di Appello, (del rapporto) “tra la pena applicabile al caso concreto e
l’eventuale applicazione o meno della circostanza attenuante”.
5. Violazione di legge in relazione alla mancata dichiarazione della prescrizione del
reato.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Quanto al primi due motivi, la Corte di merito ha correttamente ritenuto l’assoluta
superfluità della perizia grafica, atteso che l’imputato era stato riconosciuto come il
presentatore dell’assegno dall’impiegato postale che aveva cambiato il titolo, tale
Pergolizzi Francesco, sulla base dell’esibizione di una patente di guida i cui estremi
erano stati annotati per iscritto dal teste. La stessa difesa (pag. 4 del ricorso)
riconosce, peraltro, che la firma era impossibile da decifrare, e comunque a nulla
rileverebbe che il titolo fosse stato sottoscritto da un terzo, attese le circostanze del
caso concreto (vedi il successivo punto 2.)
2.11 giudizio dì responsabilità nei confronti del ricorrente, alquanto genericamente
contestato in ricorso, è saldamente ancorato, nelle valutazioni della Corte di merito,
alle risultanze istruttorie disponibili. La Corte territoriale sottolinea che l’imputato non
aveva fornito alcuna indicazione sull’identità del soggetto che gli aveva ceduto il titolo,
dovendosi al riguardo richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la
prova della ricettazione è desumibile, nel caso di illecita circolazione di titoli di credito,
dalla mancanza di indicazioni sulla legittimazione cartolare dell’imputato, dal momento
che il modulo di assegno bancario e’ documento che, per sua natura e destinazione,
e’ in possesso esclusivo della persona titolare del conto ovvero della persona da
questi delegata (Corte di Cassazione 09/06/2006 Rinaldi dove l’affermazione che deve
ritenersi provata la consapevolezza della illecita provenienza in capo al soggetto che

riceva o acquisti moduli di assegni bancari al di fuori delle regole che ne disciplinano
la circolazione).
2.1.L’incerta identificazione anagrafica dell’imputato da parte del Pergolizzi è riferibile
alle dichiarazioni dibattimentali del teste, che, però, come si è detto, al momento del
fatto aveva annotato gli estremi della patente di guida dell’imputato. La difesa tenta di
sopravvalutare l’incertezza mostrata in dibattimento dal Pergolizzi, che avrebbe indicato
un altro nominativo, ma dagli stessi brani della testimonianza riportati in ricorso emerge
chiaramente che il teste non aveva conservato un ricordo “autonomo” dell’identità
anagrafica del presentatore del titolo, essendosi riferito, piuttosto, alla trascrizione delle
sue generalità sulla base di un documento di identità (il che attenuava, peraltro, la
necessità di conservare una memoria “personale” dei dati identificativi del
presentatore). Del tutto irrilevante è anche l’errore sull’identificazione del titolare del
conto corrente al quale si riferiva l’assegno, tanto più considerando l’esattezza delle
altre indicazioni relative al rapporto bancario. La stessa difesa non ne trae che una vaga
indicazione “sintomatica” della presunta superficialità delle valutazione della Corte di
merito.
3. Il motivo sulla qualificazione giuridica del fatto è solamente assertivo e generico. In
ogni caso, del tutto correttamente i giudici territoriali, in assenza di qualunque plausibile
indicazione sulla causa della transazione cartolare in oggetto, hanno escluso la
ricorrenza dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 712 c.p.. Ai fini della
qualificazione del fatto ai sensi di quest’ultima norma, è infatti necessario che emergano
in qualche modo le circostanze “negoziali” dell’acquisto, com’è evidente dal riferimento
testuale alla qualità delle cose, al prezzo di vendita e alle condizioni del venditore.
Anche sotto questo profilo, incombe quindi sull’imputato ex art. 648 cod. pen., un onere
di “giustificazione” del possesso della res furtiva, per quanto nella direzione di una
responsabilità soltanto “attenuata”, e tanto più nel caso di ingerenza nella circolazione
di assegni bancari, dove la stessa natura della res implica di per sé, come si è detto al
punto precedente, un’indicazione di responsabilità particolarmente pregnante a carico
del soggetto non legittimato.
4. La questione sull’applicazione dell’art. 648 co 2 cod. pen. è formulata in termini
addirittura incomprensibili. Tutto quello che sì può dire è che il ricorrente non potrebbe
certo dolersi del riconoscimento dell’attenuante speciale, che ha comportato
l’applicazione di una pena ben al di sotto del minimo edittale previsto per l’ipotesi non
circostanziata.
5. Il motivo sulla prescrizione, infine, appare poco meditato, non essendo il termine
prescrizionale ancora trascorso nemmeno alla data della presente sentenza (con le
proroghe dovute agli atti interruttivi la prescrizione sarebbe maturata soltanto il
19.10.2016).
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto dichiarato
inammissibile, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende,
commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione
della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deT in Roma, nella camera di consiglio, il 26.11.2015.
Il Presidente
Il consglire r/rlatore

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