Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48300 del 26/09/2013
Penale Ord. Sez. 7 Num. 48300 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: CITTERIO CARLO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ANNARO SILVANA CARMELA N. IL 23/03/1961
avverso la sentenza n. 1884/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
06/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
Data Udienza: 26/09/2013
15067/13 RG
1
ORDINANZA
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano in data
6-17.12.2012, di conferma della condanna per il reato di cui agli
artt. 385 e 99 c.p. consumato il 21.4.2007, ricorre per
cassazione l’imputata SILVANA CARMELA ANNARO personalmente
doverosa applicazione analogica dell’art. 47 sexies.1 legge
354/75.
2. Il ricorso è originariamente inammissibile, perché il motivo
è manifestamente infondato. Questa Corte ha già affermato il
principio di diritto per il quale gli effetti della sentenza n.
177/09 della Corte costituzionale, in ordine alla durata minima
necessaria per la rilevanza penale dell’allontanamento nel caso
di detenzione domiciliare ‘speciale’ (art. 47 sexies primo e
secondo comma legge 354/1975), non si estendono ad ogni ipotesi
del diverso istituto della misura cautelare degli arresti
domiciliari (che ha finalità del tutto differenti, proprio
caratterizzati dalle esigenze cautelari concretamente sussistenti
nella fattispecie specifica: aspetto, per contenuto, all’evidenza
diverso dalle esigenze di esecuzione di una pena definitiva nei
confronti di un genitore con figli di età non superiore a dieci
anni: Sez.6, sent. 8156/12).
La ricorrente si limita ad affermazione assertiva, senza alcun
confronto argomentativo con tale insegnamento. Da qui la
manifesta infondatezza del motivo, pur a fronte di apparente
prospettazione di questione in diritto. Consegue la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, equa al caso, di euro 1000 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 alla
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26.9.2013
prospettando l’irrilevanza del fatto in ragione della dedotta