Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4830 del 16/01/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4830 Anno 2013
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Marano Eduardo, n. il 2.6.59;
avverso l’ordinanza del 31.8.12 del Tribunale di Napoli, sezione riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Giuseppe Volpe, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore Avv. Edoardo Cardillo, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 31.8.12 il Tribunale di Napoli, sezione riesame, confermava
l’ordinanza con cui il 30.7.12 lo stesso Tribunale — sezione feriale — aveva
rigettato l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini complessivi di
custodia cautelare in carcere nei confronti di Eduardo Marano, condannato in
primo grado alla pena di anni 9 di reclusione per i delitti p. e p. ex artt. 416 bis
c.p. e 12 quinquies legge n. 356/92.
Tramite il proprio difensore il Marano ricorre contro detta ordinanza, di cui
chiede l’annullamento per un solo motivo con cui lamenta violazione dei termini

Data Udienza: 16/01/2013

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massimi di custodia cautelare di cui all’art. 303 co. 4 0 c.p.p., essendo decorsi
quattro anni dall’applicazione della misura custodiale; a tal fine si deduce che
originariamente il ricorrente era stato sottoposto alla predetta misura intrarnuraria
soltanto per il delitto di estorsione aggravata ex art. 7 legge n. 203/91, dal quale —
però — era stato poi assolto in primo grado; solo con la sentenza di condanna era
stata applicata al Marano, in data 20.6.12, la misura cautelare per i delitti di cui

– se nel caso di specie non può applicarsi il meccanismo della fimgibilità tra
misure cautelari, ad ogni modo deve farsi luogo alla retrodatazione degli effetti
della misura in discorso ai sensi dell’art. 297 co. 3 0 c.p.p., il che comporta il
superamento del termine massimo di custodia cautelare di cui all’art. 303 co. 40
c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- Si premetta che nel caso di specie la misura della custodia cautelare in
carcere è stata applicata il 20.6.12 a seguito della condanna in primo grado del
Marano alla pena di anni 9 di reclusione per i delitti p. e p. ex artt. 416 bis c.p. e
12 quinquies legge n. 356/92, data rispetto alla quale i termini massimi di cui
all’art. 303 co. 4 0 c.p.p. non risultano — com’è evidente — decorsi.
Affinché si ritenga decorso il termine massimo di quattro anni di cui all’art. 303
co. 4 0 c.p.p., il ricorrente chiede di retrodatare gli effetti della misura applicatagli
il 20.6.12 alla data dell’originario fermo eseguito nei suoi confronti il 16.6.08 per
il delitto di estorsione aggravata ex art. 7 legge n. 203/91.
La richiesta non può essere accolta.
Invero, come le S.U. di questa S.C. hanno avuto modo di statuire con sentenza
n. 21957 del 22.3.05, dep. 10.6.05, rv. 231057, Rahulia, il regime della
retrodatazione ex art. 297 co. 3 0 c.p.p. della decorrenza dei termini di custodia
cautelare va distinto a seconda che vi sia o non una connessione qualificata fra i
reati oggetto delle diverse ordinanze (concorso formale, continuazione o
connessione teleologica): ove tale connessione sussista (per fatti commessi,
s’intende, anteriormente al primo titolo custodiale), la retrodatazione opera
indipendentemente dalla possibilità, al momento dell’emissione della prima
ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze
successive, e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di ricavare

agli artt. 416 bis c.p. e 12 quinquies legge n. 356/92; pertanto — conclude il ricorso

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dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure; ove,
invece, non risulti tale connessione qualificata, la retrodatazione opera soltanto se
al momento dell’emissione del primo titolo erano già desumibili dagli atti
elementi idonei a giustificare la successiva ordinanza, retrodatazione che non si
applica (sempre in assenza della connessione qualificata) con riferimento a misure
cautelari disposte in procedimenti diversi.

ha puntualizzato (anche sulla scorta di Corte cosi. 24.10.05 n. 408) che, se le
ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardano fatti tra i quali non
sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano
già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della
seconda ordinanza decori-ano dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la
prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità
giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del P.M.
Orbene, tenuto presente il descritto quadro di riferimento normativa, si noti che
il ricorrente non allega né una connessione qualificata né l’esistenza ab origine di
elementi indiziari tali da legittimare fin dal 16.6.08 la contestuale adozione della
misura anche per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., così venendo meno all’onere
di allegazione che pur incombe su chi impugni il provvedimento che abbia negato
l’invocata retrodatazione (cfr. Cass. Sez. Il n. 46038 del 14.11.07, dep. 10.12.07).
Infine, a ciò si aggiunga che, ai fini della retrodatazione dei termini di
decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297 co. 3 0 c.p.p., il
presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva,
rispetto all’emissione della prima, non ricorre ove il provvedimento successivo
abbia ad oggetto un reato associativo e la condotta di partecipazione alla stessa si
sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza (cfr. Cass. S.U. n. 14535 del
19.12.06, dep. 10.4.07), come risultante dalla contestazione temporalmente aperta
del reato medesimo (cfr. Cass. Sez. Il n. 34576 dell’8.5.09, dep. 7.9.09; Cass. Sez.
II n. 17575 del 16.3.06, dep. 22.5.06).
È questo il caso di specie, atteso che il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. è stato
contestato all’odierno ricorrente con indicazione dell’essere ancora in corso la
relativa condotta.

A sua volta Cass. S.U. n. 14535 del 19.12.06, dep. 10.4.07, rv. 235909, Libraio,

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2- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta
infondatezza. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente alle spese
processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma
che stimasi equo quantificare in euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa
ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di E 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, in data 16.1.2013

P.Q.M.

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