Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48298 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 48298 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MARINARO FRANCESCO n. il 21/10/1987
avverso la SENTENZA della Corte di Appello di MILANO
del 12/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere dr. Antonio Prestipino
Udito il Procuratore Generale in persona del dr. Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 26/11/2015

Considerato in diritto
1.Seguendo l’ordine logico dei motivi, Va premesso, in diritto, che la valutazione
dell’idoneità del tentativo non è subordinata all’accertamento di condotte che nella loro
oggettività corrispondano anche in minima parte ad un inizio di esecuzione del delitto
programmato, dal momento che il codice penale non prevede, ai fini della
configurabilità del tentativo, la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi (cfr. Cass.
pen. Sez. 1, 2.2.2007, n. 4359). Ai fini della punibilità del tentativo, possono quindi
assumere rilevanza anche gli atti meramente preparatori, quando essi, per le
concrete circostanze di luogo, di tempo o dì mezzi, evidenzino che l’agente
commetterà il delitto progettato a meno del sopravvenire di eventi imprevedibili,
indipendenti dalla sua volontà, e che l’azione abbia la rilevante probabilità di
conseguire l’obiettivo programmato (Corte di Cassazione SENT. 28213 15/06/2010

Ritenuto in fatto
1.Ha proposto ricorso per cassazione Marinaro Francesco, per mezzo dei propri
difensori, avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 12/12/2013, che
confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il
14.1.2010, per il reato di tentata rapina.
1.1.Secondo la ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito, l’imputato si era
recato insieme a due complici, a bordo di un’autovettura Fiat Punto, presso il
supermercato Dì per Dì di Nerviano. Uno di essi aveva fatto ingresso nel supermercato,
avvicinandosi alle casse, l’altro si era trattenuto vicino all’ingresso, entrambi con il capo
coperto dal cappuccio delle felpe da ciascuno indossate. L’atteggiamento dei due aveva
destato l’attenzione della titolare del supermercato, Butta Rita, che aveva simulato una
telefonata alle forze dell’ordine, provocando l’allontanamento degli intrusi, che venivano
notati da un altro teste prendere posto a bordo di un’autovettura parcheggiata nei
pressi, dove li attendeva un altro soggetto. A questo punto intervenivano gli inquirenti,
che identificavano gli occupanti dell’autovettura e rinvenivano al suo interno una pistola
giocattolo priva di tappo rosso.
2. Deduce il ricorrente:
1.Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata applicazione del
beneficio della sospensione condizionale della pena (art. 606 lett. b) ed e) cod. proc.
pen. La Corte di merito avrebbe indebitamente considerato ostativa alla concessione del
beneficio la precedente sentenza di patteggiamento della pena di anni tre e mesi sei di
reclusione emessa nei confronti del ricorrente dal gip del tribunale di Milano il 5.2.2007.
Nello schema dell’art. 444 cod. proc. pen. è prevista infatti l’irrogazione di una pena
senza giudizio e la sentenza non può essere equiparata ad una sentenza di condanna
costituente presupposto per la revoca della sospensione condizionale.
2.Violazione dell’art. 56 cod. pen. in relazione alla ritenuta configurabilità nei fatti, di
un’ipotesi di tentativo punibile. Il “rigonfiamento” di una tasca dei pantaloni del
ricorrente, notato da un teste, sarebbe dato di fatto del tutto ambiguo rispetto
all’ipotesi che fosse dovuto alla presenza di una pistola. Né potrebbe ritenersi in termini
di necessità logica che la prova della presenza dell’arma nella tasca dei pantaloni possa
desumersi a posteriori dal ritrovamento di una pistola giocattolo all’interno dell’auto con
cui il ricorrente aveva raggiunto l’esercizio commerciale. Ancora, La percezione del
pericolo da parte del personale del supermercato non sarebbe stata ancorata a nessun
dato oggettivo, ma soltanto ad intuito personale.
2.1.Non vi sarebbe prova che la desistenza dall’azione criminosa fosse stata dettata
dalla percezione della “finta telefonata” alle forze dell’ordine effettuata dalla teste e non
da una spontanea decisione. Peraltro, dovrebbe al riguardo tenersi conto del fatto che,
secondo le concordi dichiarazioni del ricorrente e dei suoi presunti complici, il Marinaro li
avrebbe informati di dovere immediatamente tornare a casa in quanto aveva rivenuto
una allarmante telefonata dalla propria compagna. In ogni caso, i fatti così come
accertati dai, giudici dei due gradi di merito non integrerebbero gli estremi del tentativo,
mancando il requisito dell’inequívocità degli stessi in assenza di atti esecutivi di violenza
o minaccia sulle cose.

SEZ. 2, Michelizzi). Tanto, per dar conto in prima battuta dell’accenno contenuto in
ricorso all’assenza di “atti esecutivi” di violenza o minaccia sulle cose.
2.Alla stregua di tali premesse di diritto, la valutazione dei fatti da parte dei giudici di
merito si sottrae ad ogni censura di legittimità, dovendosi rilevare quanto segue in
ordine alle deduzioni difensive:
2.1. la percezione del pericolo da parte della teste Butta è ancorata nelle corrette
valutazioni della Corte di merito all’atteggiamento dei due giovani che avevano fatto
ingresso nell’esercizio, entrambi con il capo coperto dal cappuccio delle felpe da
ciascuno indossate, uno fermatosi all’ingresso mentre l’altro si era avvicinato alle casse,
nella prefigurazione di una significativa distinzione di ruoli; l’interpretazione del
“rigonfiamento” assume in effetti ben poca rilevanza, di fronte al già significativo
atteggiamento dei due e delle altre circostanze del caso concreto, soprattutto
considerando il successivo rinvenimento di una pistola giocattolo con il tappo rosso
nella disponibilità del Marinaro (vedi il successivo punto 2.3.).
2.2. La valutazione difensiva della mancanza di prove sul fatto che i due avessero
potuto ascoltare la “finta telefonata” alle forze dell’ordina della teste Butta è del tutto
arbitraria; la Corte territoriale ricorda infatti che la donna aveva parlato a voce alta, con
il preciso intento di essere udita;
2.3.. Nelle corrette valutazioni dei giudici di appello completano il quadro probatorio,
come si è accennato, il rinvenimento di una pistola giocattolo priva di tappo rosso
all’interno di un’autovettura parcheggiata in una strada laterale e la presenza di un
terzo soggetto a bordo, raggiunto dai due che si erano introdotti nel supermercato.
Peraltro, nota la Corte che la pistola era occultata sotto un tappetino dell’autovettura e
che il Marinaro, dichiaratosi proprietario dell’arma, non aveva fornito alcuna spiegazione
delle ragioni per le quali l’aveva recata con sé.
2.4.. La prova della presunta spontaneità dell’allontanamento del Marinaro dal
supermercato, che adombra, nelle pur non compiute deduzioni difensive sul punto,
un’ipotesi di desistenza volontaria, dovrebbe essere affidata alle interessate
dichiarazioni dei protagonisti del fatto, peraltro evocate dalla difesa senza alcun
concreto riferimento processuale. Resta quindi insuperata la valutazione della Corte
territoriale circa la non volontarietà della desistenza del ricorrente e dei suoi complici,
determinata piuttosto dal timore dell’intervento delle forze di polizia.
2.5..In definitiva, le censure difensive in punto di responsabilità propongono
un’alternativa ricostruzione di merito dello svolgimento dei fatti, mentre le circostanze
complessivamente esaminate dai giudici di appello fondano pienamente la valutazione
della sussistenza del tentativo di rapina, e resistono allo scrutinio di legittimità sul piano
della coerenza logico-giuridica.
3. infondato è anche il motivo sulla mancata concessione della sospensione condizionale
della pena. E’ ormai ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, che la sentenza
con la quale si applica la pena nella misura concordata fra le parti, pur non
presupponendo il concreto accertamento della responsabilità dell’imputato, è
equiparata, nondimeno, per espressa previsione dell’ultima parte del primo comma
dell’art. 445 cod. proc. pen., ad una pronuncia di condanna, per cui ad essa (per quanto
non diversamente previsto da detta disposizione), non possono non conseguire tutti gli
effetti propri della sentenza di condanna ivi compresa, quindi, la revoca della
sospensione condizionale nei casi di cui al primo comma dell’art. 168 cod. pen., la cui
operatività prescinde da qualsiasi apprezzamento discrezionale del giudice (ex plurimis,
Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2967 del 22/06/1992 Schena; Sez. 1, Sentenza n. 19949 del
06/12/2013 : Patrucchi., dove la precisazione che II beneficio della sospensione
condizionale, eventualmente riconosciuto in sede di applicazione della pena su richiesta
delle parti, deve essere revocato nel caso in cui sopravvenga una condanna entro i
termini previsti dall’ad 168, comma primo, n. 1 cod. pen.; Sez. 1, Sentenza n. 43498
del 18/07/2013, Dell’Acqua.
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto rigettato, con la
condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

in Roma, nella camera di consiglio, il 26.11.2015.
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