Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48266 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48266 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Schipani Carmine n. il 27/6/1969
avverso la sentenza n. 151/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di
Catanzaro il 7/11/2014;
sentita nella camera di consiglio del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. G. Corasaniti, che ha richiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con decisione resa in data 7-10/11/2014, la Corte d’appello di Catanzaro
ha rigettato l’istanza di riparazione avanzata da Carmine Schipani per l’asserita
ingiusta detenzione dello stesso subita (per la durata di circa quattro mesi) in
esecuzione della misura della custodia cautelare in carcere disposta nel quadro
del procedimento penale avviato in relazione alla prospettata commissione, da
parte dello Schipani, di una pluralità di reati; procedimento conclusosi con la
condanna condizionalmente sospesa alla pena di un anno e otto mesi di reclusio-

l’assoluzione dalle restanti ipotesi criminose per le quali era stata sollevata
l’imputazione.
Con il provvedimento impugnato in questa sede, la corte territoriale ha ritenuto priva di fondamento la domanda di riparazione avanzata dallo Schipani, atteso che la misura restrittiva originariamente assunta nei relativi confronti era
stata adottata in virtù di una valutazione operata, dal giudice della cautela, con
riguardo a presupposti di fatto (riferiti alla sussistenza delle condizioni per la
prevedibile concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena)
diversi da quelli successivamente esaminati dal giudice del merito.
Avverso tale decisione, a mezzo del proprio difensore, ha interposto ricorso
per cassazione lo Schipani, censurando l’ordinanza impugnata per violazione di
legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale erroneamente omesso di
rilevare come le condizioni per la concessione del beneficio della sospensione
condizionale della pena sussistessero già al momento dell’adozione della misura
cautelare, con la conseguente originaria ingiustizia formale della detenzione sofferta dall’indagato, siccome disposta, già ab origine, in difetto dei relativi presupposti di legge.

2. Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte di cassazione, che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

3. Con memoria depositata in data 10/11/2015, il Ministero dell’Economia e
Finanze ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato.
Secondo l’indirizzo fatto proprio dalla giurisprudenza di questa corte (che il
collegio condivide nella sua interezza e ripropone in questa sede) (cfr., da ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 24623 del 20/02/2014, Rv. 261563), il presupposto generico del diritto all’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa ripara-

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ne in relazione ad una sola delle diverse accuse originariamente formulate e con

zione per l’ingiusta detenzione, s’identifica con la circostanza dell’avvenuto proscioglimento dell’interessato con l’adozione di una formula liberatoria di merito
(ovvero che sia stato emesso un decreto di archiviazione per manifesta infondatezza della notizia di reato, ossia perché il fatto non sussiste, per non avere
l’indagato commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato) in relazione all’addebito o agli addebiti formulati con
il provvedimento di cautela; oppure, che sia stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, ove la durata della custodia cautelare sofferta risulti superio-

ma solo per la parte di detenzione subita in eccedenza, ovvero quando risulti accertata in astratto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’ingiustizia formale della privazione della libertà personale.
Ciò posto, va ribadito anche in questa circostanza che non sussiste il diritto
alla riparazione per ingiusta detenzione quando, nell’ambito del subprocedinnento
cautelare, la prognosi sulla possibilità di una futura sospensione condizionale della pena sia stata negativa, ma all’esito del giudizio di cognizione detto beneficio
sia stato nondimeno concesso (Sez. 4, n. 2509 del 14/10/2009, Lavelle, Rv.
246296).
Sul tema si registra una convergenza interpretativa, posto che, con ancor
maggiore puntualità, si è ribadito che l’emissione del provvedimento applicativo
di una misura custodiale non è consentita nei casi in cui già a quel momento
sussistano le condizioni per dichiarare l’estinzione del reato o della pena, ma non
anche quando la declaratoria possa eventualmente aver luogo a seguito di valutazioni di merito affidate all’esclusivo apprezzamento del giudice del fatto (in
termini, ex plurimis, Sez. 4, n. 22359 del 21/04/2011, Rv. 250314).
Alla base dell’interpretazione che il Collegio ritiene condivisibile, in coerenza
con i conformi precedenti giurisprudenziali esistenti, sta il fatto che l’art. 273
c.p.p., comma 2, per il quale la misura non può essere applicata nel caso in cui
“sussiste” una causa di estinzione del reato, con la richiamata perentoria forma
verbale fa chiaro riferimento non ad un’ipotesi di successivo intervento di una
causa di estinzione, dovuta alle dinamiche processuali, bensì alla sussistenza evidente ed “attuale”, cioè all’atto dell’adozione della misura cautelare personale,
della causa di estinzione. Sicché non è consentita l’emissione del provvedimento
custodiale allorché pacificamente sussista, già al momento dell’adozione del
provvedimento stesso, una causa di estinzione del reato; non anche quando
questa possa eventualmente intervenire in una fase successiva, oppure la sospensione condizionale della pena essere concessa per situazioni connesse alle
dinamiche del processo ovvero a seguito di valutazioni di merito affidate all’esclusivo apprezzamento del giudice del fatto.

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re alla misura della pena astrattamente irrogabile, o a quella in concreto inflitta,

Argomenti a conforto di siffatta opzione interpretativa vengono anche dalle
Sezioni Unite di questa Corte le quali, in tema di giudizio prognostico funzionale
all’applicazione e al mantenimento di una misura cautelare personale, hanno ribadito che la concedibilità dell’indulto per i reati per i quali si procede diviene elemento ostativo a condizione che detta causa estintiva della pena risulti oggettivamente applicabile in base ad elementi certi, che ne rendano probabile la futura
concessione (Sez. Un., n. 1235 del 28/10/2010, in motivazione).
A ritenere diversamente, si finirebbe con il dover far riferimento alla disposi-

sta la custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere
concessa la sospensione condizionale della pena – così però incorrendo in un evidente errore prospettico. E infatti, l’art. 314 c.p.p., comma 2 non richiama l’art.
275 c.p.p., comma 2-bis ma l’art. 273 cod. proc. pen. (oltre che l’art. 280 cod.
proc. pen.). In altri termini – e l’argomento appare decisivo – non è la prognosi
sulla concedibilità della sospensione condizionale della pena il presupposto del
diritto alla riparazione, ma l’esistenza al momento dell’emissione del provvedimento cautelare, o durante il tempo della sua esecuzione, di una causa di estinzione del reato; causa di estinzione che nel caso della sospensione condizionale
della pena interviene indefettibilmente solo dopo che l’esecuzione della misura è
cessata, vale a dire con la sentenza di condanna a pena sospesa.
Mette conto poi sottolineare, in relazione alla sospensione condizionale della
pena come causa di estinzione del reato, che in realtà la fattispecie estintiva non
è costituita dalla sola sospensione della esecuzione della pena, essendo componente essenziale l’astensione del condannato dalla commissione di reati per l’intero periodo della sospensione. Ciò dimostra l’ontologica estraneità della sospensione condizionale della pena – questa volta intesa sia in senso stretto che in
senso ampio – all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione: essa non può
mai “sussistere” al tempo della adozione o della persistenza della misura restrittiva.

5. Non ignora il Collegio l’esistenza di un isolato e risalente precedente difforme: con la sentenza n. 19305 del 06/03/2003, Rv. 224516, fu invero enunciato il principio così massimato: “il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2, conseguente all’emissione o al mantenimento della custodia cautelare in violazione degli artt. 273 e 280 c.p.p., non
viene meno se il processo si conclude con una condanna con sospensione condizionale della pena, né tale diritto è subordinato alla scadenza del termine di cui
all’art. 163 cod. pen., in quanto diversamente la richiesta dell’interessato risulte-

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zione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 2-bis – per la quale non può essere dispo-

rebbe sempre tardiva per decorso del termine biennale stabilito a pena di decadenza”.
Tuttavia, gli argomenti quali innanzi illustrati inducono a ritenere non condivisibile la soluzione adottata da questa Corte con la sentenza appena ricordata:
mette conto peraltro evidenziare che – dalla motivazione della stessa – si rileva
che in tale occasione non furono addotte specifiche ragioni a sostegno della ritenuta sussistenza del diritto all’equa riparazione anche nel caso di condanna a
pena condizionalmente sospesa, posto che la Corte nella circostanza si soffermò

dalla stessa massima come formulata – sul termine biennale di decadenza stabilito per la presentazione della domanda di equa riparazione, nel caso di condanna
a pena condizionalmente sospesa.

6. Nella fattispecie oggetto dell’odierno giudizio, dunque, la Corte di Appello,
nel disattendere l’istanza riparatoria dello Schipani, ha puntualmente rilevato
come la concessione della sospensione condizionale della pena fosse stata conseguente alla valutazione operata dal giudice della cognizione.

7. Al rigetto del ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, là dove la natura delle questioni giuridiche esaminate induce a ritenere sussistenti giusti motivi per la compensazione tra le
parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali. Compensa le spese tra le parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26/11/2015.

specificamente – quanto alla questione da affrontare, e come peraltro traspare

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