Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48258 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48258 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALUMBO CRISTOFARO N. IL 04/03/1946
avverso la sentenza n. 6429/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE PAVICH
4 t* 4A-A t6te_AUdito il Procuratore Geperale imerzia del Dott. -4″&t
che ha concluso per :C tyerí’
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Udito, per la rte civile, l’Avv
Uditi ensor Avv.

ts.

Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Milano confermava la
condanna emessa in primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale
milanese nei confronti di PALUMBO Cristofaro, con sentenza in data 19.6.2014, in
relazione al reato p. e p. dall’art. 590, commi 2 e 3 c.p., a lui contestato nella sua
qualità di datore di lavoro della persona offesa HARBI MOHAMED SORBI MAHMOUD
KHALIL, per avere affidato a quest’ultimo, da lui assunto da soli sei giorni in modo
irregolare, lavori di supporto e movimentazione meccanica di carichi pericolosi

in particolare, il giorno 7.8.2008, l’HARBI si collocava in posizione pericolosa
all’interno del rimorchio, sì che la rottura delle regge di trattenuta delle barre
metalliche provocava la caduta di una di esse addosso al dipendente,
provocandogli lesioni con incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni
per oltre 40 giorni. Con la condotta così descritta il PALUMBO aveva, secondo
l’imputazione, violato il dovere di regolamentare le mansioni dell’HARBI come
previsto dall’art. 18 comma 1 lettera C D.Lgs. 81/2008; nonché i doveri di
formazione e informazione del detto dipendente sulle mansioni da svolgere e sulle
procedure di sicurezza, di cui all’art. 36 c. 2 lettere A e C, e 37 D.Lgs. 81/2008.
La pena inflitta al PALUMBO in primo grado e confermata in appello era quella
di mesi 3 di reclusione ed C 600 di multa, oltre alla condanna al risarcimento dei
danni morali in favore dell’HARBI, costituitosi parte civile, in ragione di C 15.000,
con clausola di immediata esecutività, oltre alla rifusione delle spese del giudizio
sostenute dalla detta parte civile.
2. – Ricorre avverso la predetta sentenza il PALUMBO per il tramite del proprio
difensore.
Il ricorso si articola in due motivi.
2.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione di legge di cui
all’art. 606 comma 1 lett. B c.p.p., in ragione del fatto che l’HARBI, pur essendosi
costituito parte civile , aveva esercitato azione civile in via autonoma in esito alla
quale il Giudice del Lavoro di Milano, con sentenza n. 4179 del 5.10.2012, passata
in giudicato, respingeva il suo ricorso, avendo ritenuto che l’HARBI avesse svolto
di propria iniziativa un’attività del tutto diversa da quella, non pericolosa, a lui
affidata dal PALUMBO, e che comunque non vi era alcun elemento certo che
permettesse di ricondurre al datore di lavoro la direzione e l’autorizzazione a
svolgere un’attività diversa rispetto a quella a lui demandata. Si duole pertanto il
ricorrente della sussistenza di un contrasto di giudicati sul punto e invoca
l’annullamento dell’impugnata sentenza anche in riferimento alle statuizioni civili
ivi adottate.

(barre metalliche da caricare all’interno di un rimorchio, in ausilio a un carrellista):

2.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della carenza e
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, laddove essa non
pare in grado di ricostruire adeguatamente lo svolgimento dei fatti ponendo a
carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare che egli avesse proibito al
lavoratore di avere a che fare con le barre metalliche, pervenendo all’opposto
convincimento in mancanza di una prova in tal senso: in tal modo, lamenta il
ricorrente, vi è stata un’indebita inversione dell’onere della prova, oltretutto in
contrasto con i motivo posti a base dell’opposta decisione del Giudice del Lavoro.

3. – Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha espressamente e convenientemente motivato in
riferimento alla legittimità della richiesta risarcitoria dell’HARBI nei confronti del
PALUMBO in sede penale, legittimità che, secondo la Corte di merito, riposa non
tanto sul principio di autonomia del giudizio penale rispetto alle statuizioni civili,
quanto sul fatto che davanti al giudice del lavoro erano state citate la C.T.S.
(società appaltatrice dei lavori, di cui il PALUMBO era legale rappresentante) e la
committente Beta Trans s.r.I.; mentre in sede penale la persona offesa si è
costituita nei soli confronti del PALUMBO, chiedendone la condanna al risarcimento
del danno morale. Del resto, il principio di autonomia e di separazione del giudizio
civile da quello penale, posto dall’art. 75 cod. proc. pen., comporta che, qualora
un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato possa
pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in
sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l’altro
(Cass. Sez. 2, n. 5801 del 08/11/2013 – dep. 06/02/2014, Montalti e altro, Rv.
258201).
Nella specie quindi la doglianza si appalesa immeritevole di accoglimento,
siccome riferita non già a una duplicazione dell’azione civile già esercitata, ma a
un’autonoma domanda risarcitoria, riferita unicamente al danno non patrimoniale
(voce non richiesta nel giudizio civile) e rivolta personalmente all’imputato, ossia
a soggetto che, pur avendo commesso il reato quale legale rappresentante della
C.T.S., resta comunque distinto rispetto ai soggetti chiamati in causa avanti il
Giudice del Lavoro (la stessa C.T.S. e la committente Beta Trans s.r.I.).
Quanto, poi, al lamentato contrasto tra la decisione impugnata e quella del
Giudice del Lavoro divenuta irrevocabile, è noto che l’acquisibilità delle sentenze
divenute irrevocabili ai fini della prova dei fatti in esse accertati riguarda
esclusivamente le sentenze pronunziate in altro procedimento penale e non anche
quelle pronunziate in un procedimento civile, attese le evidenti e sostanziali
asimmetrie in ordine alla valutazione della prova che caratterizzano i due diversi
ordinamenti processuali (si veda ad es. Cass. Sez. 5, n. 14042 del 04/03/2013 –

CONSIDERATO IN DIRITTO

dep. 25/03/2013, Simona ed altri, Rv. 254981). Ne deriva che, anche sotto questo
profilo, i giudici di merito erano liberi di procedere ad autonoma valutazione dei
fatti e a formarsi il conseguente convincimento, secondo le disposizioni del codice
di rito penale in tema di valutazione delle prove; e va detto che in tal senso, in
particolare, il Tribunale aveva, con la sentenza emessa in prime cure -e
confermata dall’impugnata pronunzia- fornito ampia ed esaustiva motivazione
anche delle ragioni in base alle quali essi hanno ritenuto di discostarsi dalla
decisione del Giudice del Lavoro (pp. 9-11 sentenza di primo grado); dal canto

ricorrente dopo un attento vaglio critico del materiale probatorio offerto al Giudice
del Lavoro, congruamente motivando in proposito.
Conseguentemente anche la censura mossa sul punto dal ricorrente alla
sentenza impugnata non merita accoglimento.
4. – Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di merito ha convenientemente motivato in ordine all’inattendibilità
di quanto argomentato dall’imputato circa il fatto che l’HARBI, assunto solo per
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caricare cartoni su un camion, avrebbe tra~rispetto alle sue mansioni
andando a svolgere compiti a lui non affidati: invero, osserva la Corte territoriale,
se così fosse stato non sarebbe spiegabile il fatto che egli, al momento
dell’infortunio, si trovava non già presso il luogo dove dovevano svolgersi le
previste operazioni di movimento merce tra la ditta committente e quella
appaltatrice (ossia presso la sede della Beta Trans in Via Londra 20) ma presso
altro magazzino della Beta Trans sito in Segrate, via Fanin n. 2, non contemplato
dal contratto d’appalto. È perciò chiaro che l’osservazione della Corte di Appello
riportata nel ricorso non costituiva un’inversione dell’onere della prova, come
argomentato dalla difesa nel motivo di ricorso in esame, ma era frutto dello
sviluppo di un ragionamento critico basato su un argomento proposto nell’ottica
difensiva dell’imputato, alla cui allegazione non ha però corrisposto alcun elemento
probatorio a sostegno, sì che la Corte di merito ha disatteso la prospettazione della
difesa del PALUMBO. Per contro, nella sentenza impugnata si fornisce ampia
motivazione delle ragioni a sostegno dell’assoluta assenza di formazione e
informazione dell’HARBI, da parte del PALUMBO, sia in ordine alle sue mansioni
(tra l’altro si legge che la persona offesa era stata assunta in modo irregolare e
senza neppure un contratto scritto), sia in ordine alle procedure di sicurezza (si dà
atto che l’HARBI ha disconosciuto la propria firma sul verbale di consegna dei
dispositivi di protezione, e che comunque non è risultata espletata alcuna attività
di informazione circa l’impiego di detti dispositivi) .
5. – Da quanto precede discende il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

suo, anche la Corte di merito è pervenuta al convincimento di cui oggi si duole il

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma, il 26.11.2015

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