Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48191 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 48191 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARVELLI GIUSEPPE N. IL 05/01/1953
avverso l’ordinanza n. 95/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 27/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI .
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Data Udienza: 23/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27/4/2013, il Tribunale di Reggio Calabria rigettava
l’appello proposto da Marvelli Giuseppe avverso quella del Tribunale di Locri che
aveva respinto la richiesta di declaratoria di perdita di efficacia della misura
custodiale ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen..
Nei confronti di Marvelli era stata emessa, con decorrenza 13/7/2010,
ordinanza cautelare per il reato di associazione mafiosa, mentre il 16/7/2012 era

ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991.
Nel caso di specie, secondo il Tribunale, non sussisteva una connessione ai
sensi dell’art. 12 cod. proc. pen. atteso che i reati fine non rientrano nel generico
programma associativo, né vengono commessi per eseguirlo e, comunque, in
concreto, nessun elemento permetteva di affermare che l’episodio oggetto della
contestazione fosse stato programmato fin dall’affiliazione all’associazione
dell’imputato.
Né, secondo il Tribunale, gli elementi posti a base della seconda ordinanza
erano desumibili alla data di applicazione della prima misura cautelare.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Giuseppe Marvelli, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione.
La documentazione prodotta dalla difesa dimostrava che gli elementi posti a
base della seconda ordinanza erano facilmente desumibili all’epoca della prima,
in cui si faceva riferimento al suo ruolo con riferimento alla latitanza del capo
cosca Antonio Pelle: si affermava, infatti, che le responsabilità penali in capo al
Marvelli erano emerse dall’attività di ricerca del latitante. In definitiva, Marvelli
era stato monitorato per il delitto di procurata inosservanza di pena prima
ancora di essere indagato per associazione per delinquere, circostanza del tutto
tralasciata nell’ordinanza impugnata; inoltre, la sussistenza della connessione
teleologica era dimostrata dalla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7
legge 203 del 1991. Quindi, nel programma dell’associazione mafiosa rientrava
la condotta contestata al ricorrente, certamente desumibile dagli atti al momento
dell’emissione del provvedimento cautelare per associazione mafiosa: altro
elemento del tutto tralasciato nell’ordinanza impugnata.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

2

stata eseguita ordinanza per il reato di cui all’art. 390 cod. proc. pen. aggravato

Punto centrale della motivazione dell’ordinanza impugnata è costituito
dall’affermazione secondo cui, alla data dell’emissione della prima ordinanza
(13/7/2010), non esistevano elementi sufficienti per disporre la misura cautelare
per il reato di cui all’art. 390 cod. pen., oggetto della seconda ordinanza
(eseguita il 16/7/2012).
Esattamente viene richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui
la nozione di desumibilità non coincide con la disponibilità degli atti – che
costituisce mero dato di fatto – ma consiste, viceversa, in un giudizio sulla
possibilità che l’autorità giudiziaria, in possesso di determinati elementi, sia in

indiziaria idonea a giustificare l’adozione della misura cautelare, risultando
indifferente la circostanza che sul punto non vi sia stato un apprezzamento,
poiché la ratio dell’istituto è riconducibile proprio all’eventualità di un omesso
apprezzamento (Sez. 6, n. 49326 del 21/12/2009 – dep. 22/12/2009, Amicuzi,
rv. 245423; Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012 dep. 01/08/2012, Canzonieri, rv.
253236).

Secondo il Tribunale del riesame, la gravità indiziaria dei fatti oggetto
dell’ordinanza impugnata è fondata su elementi acquisiti posteriormente
all’emissione dei precedenti titoli custodiali.
Il ricorrente sostiene con forza la tesi opposta, che, cioè, gli elementi erano
desumibili già nel 2010: appare evidente che ciò che viene denunciata è la
contraddittorietà della motivazione con altri atti del processo specificamente
indicati dal ricorrente, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.; ma il
ricorso manca palesemente di autosufficienza, atteso che riferisce, a grandi
linee, lo svolgimento delle indagini concernenti quattro diversi procedimenti,
sollecitando la Corte a desumere da tale narrazione la desumibilità negata dai
giudici di merito.
Non si deve, per di più, dimenticare che gli atti del processo richiamati dal
ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione devono essere
autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal
giudicante e determinare al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare
o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1,
n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).

L’esposizione svolta dal ricorrente e la sua non autosufficienza non permette
una valutazione del genere da parte di questa Corte.

3

grado di dedurre da essi date conclusioni; deve quindi sussistere una situazione

Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue

ex lege, in

forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle

CI (.1
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ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al

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.

direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

C.)

Così deciso il 23 ottobre 2013
te)

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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