Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48190 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 48190 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TEGANO BRUNO ANTONINO N. IL 25/04/1973
avverso l’ordinanza n. 1169/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 11/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere I o o GIACOMO ROCCHI .
l e/sentite le conclusioni del PG Dott. (> —-\kp.

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Uditi difens Avv.;

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Data Udienza: 23/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza dell’11/5/2013, rigettava
l’appello proposto da Tegano Bruno Antonino avverso l’ordinanza del G.I.P. dello
stesso Tribunale che aveva respinto un’istanza proposta ex art. 297, comma 3,
cod. proc. pen..
Nei confronti di Tegano sono state emesse due ordinanze applicative della
custodia cautelare in carcere, la prima per il reato di associazione per delinquere

pena, reati aggravati ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991, a favore di Condello
Domenico, cognato del ricorrente e capo della cosca.
Il Tribunale riteneva insussistente la connessione, ai sensi dell’art. 12 cod.
proc. pen., tra il delitto di associazione mafiosa e i delitti commessi per
agevolare l’associazione mafiosa, sussistendo tale connessione solo nella ipotesi
eccezionale in cui, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso, il soggetto abbia
già individuato uno o più specifici fatti di reato. Invece Tegano non aveva
realizzato la condotta di favoreggiamento per eseguire il reato di associazione
mafiosa, non essendo provato che i delitti fossero presenti nella sua mente al
momento dell’adesione; si trattava di delitti posti in essere in un’evenienza
imprevista ed imprevedibile al momento della costituzione del vincolo
associativo. La commissione di condotte favoreggiatrici non rientrava nel
programma dell’associazione.
Trattandosi di reati non connessi, occorreva verificare la desumibilità, al
momento dell’adozione della prima ordinanza, degli elementi posti a base della
seconda misura: il Tribunale condivideva il giudizio negativo espresso dal G.I.P.,
atteso che la gravità indiziaria dei fatti oggetto della seconda ordinanza era
fondata su elementi non solo acquisiti posteriormente all’emissione della prima,
ma concretamente valutati nella loro portata probatoria in quell’epoca.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Tegano Bruno Antonino, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione.
La difesa aveva invocato l’applicazione della retrodatazione ai sensi dell’art.
297, comma 3 cod. proc. pen. sostenendo la connessione qualificata tra i reati
oggetto delle due ordinanze e la desumibilità dagli atti in epoca anteriore alla
emissione del decreto che dispone il giudizio in relazione al primo procedimento.
Questa prospettazione rendeva irrilevante la desumibilità degli atti al momento
dell’emissione della prima ordinanza, in base al dettato della norma, cosicché le
considerazioni sul punto dell’ordinanza impugnata erano superflue e, soprattutto,
non davano conto del fatto che gli elementi erano desumibili al momento del

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di stampo mafioso, la seconda per favoreggiamento e procurata inosservanza di

decreto di rinvio a giudizio.
Del tutte errate erano le considerazioni dell’ordinanza impugnata in punto di
sussistenza della connessione qualificata: il Tribunale si era rifatto alla
giurisprudenza sulla continuazione, che pure sussiste, mentre il ricorrente aveva
sostenuto soprattutto l’esistenza del nesso teleologico di cui all’art. 12, comma
1, lett. c) cod. proc. pen., per il quale non è richiesta alcuna correlazione di
carattere temporale tra le contestazioni ma piuttosto la condizione che un
soggetto ponga in essere una condotta al fine di garantire la esecuzione

latitanza di Domenico Condello era quello di garantire il mantenimento in vita
dell’associazione: per ritenere ciò, era sufficiente verificare se, al momento in cui
erano state poste in essere le condotte fine, vi fosse l’associazione mafiosa,
circostanza innegabile.
Non era, quindi, un caso che, per i reati fine, fosse stata contestata
l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991 anche nella forma della finalità di
agevolazione del sodalizio mafioso.
Il nesso teleologico è già stato affermato in casi simili da questa Corte, ma il
Tribunale taceva del tutto su tale legame.
Il ricorrente, infine, sottolinea che, quando nel 2007 Tegano aveva aderito
all’associazione mafiosa, il capo del sodalizio era già latitante, cosicché era ben
possibile ipotizzare che la condotta posta in essere fosse prevedibile al momento
dell’adesione: tale aspetto era stato del tutto tralasciato dall’ordinanza
impugnata.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e determina l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata: la motivazione del provvedimento appare, infatti, gravemente
carente e parzialmente contraddittorip, tanto da imporre una rivisitazione più
approfondita e lineare.

Il ricorrente ha chiarito che l’impostazione seguita non contempla l’ipotesi
residuale della contestazione a catena relativi a fatti diversi non connessi, i cui
elementi erano desumibili al momento dell’emissione della prima ordinanza:
l’ipotesi non viene, quindi, analizzata.

Piuttosto il ricorrente sostiene che tra i reati oggetto delle due ordinanze
sussiste una connessione qualificata ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc.

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dell’altra. Nel caso di specie, lo scopo precipuo del favoreggiamento della

pen., sia sotto il profilo della sussistenza del vincolo della continuazione, sia
sotto il profilo del nesso teleologico; deduce, pertanto, che gli elementi
valorizzati nella seconda ordinanza cautelare fossero già desumibili al momento
del rinvio a giudizio disposto per il reato associativo oggetto della prima
ordinanza.

2.

Con riferimento al vincolo della continuazione, appare corretta

l’impostazione seguita dal Tribunale del Riesame: come è noto, questa Corte ha
ripetutamente affermato che non è configurabile la continuazione tra il reato

sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al rafforzamento del medesimo, non
erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti
ed occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale
dell’associazione stessa (Sez. 1, n. 13609 del 22/03/2011 – dep. 05/04/2011,
Bosti, Rv. 249930).
Tale insegnamento non esclude, pertanto, che il vincolo sussista in casi
eccezionali, quelli, cioè, in cui i reati fine erano stati programmati al momento
dell’adesione all’associazione. Sotto questo profilo il Tribunale dovrà valutare la
specifica deduzione in punto di fatto del ricorrente: si afferma, infatti, che il capo
cosca Domenico Condello fosse già latitante quando – secondo l’imputazione
associativa – Tegano aveva aderito alla cosca mafiosa.
Se ciò corrispondesse ai dati emergenti dagli atti processuali, dovrebbe
essere seriamente valutata l’ipotesi della programmazione dei reati fine al
momento dell’adesione all’associazione, tenuto conto che si tratta di reati – come
si dirà subito dopo – strettamente legati al vincolo associativo, che si caratterizza
proprio per la promessa di aiuto reciproco che gli associati si fanno,
esplicitamente o meno.

3. Ancora meno convincente appare la motivazione quanto all’insussistenza
del nesso teleologico.
Questa Corte, in alcune pronunce, ha valorizzato il fenomeno dell’inversione
dei ruoli di reato-mezzo e reato-fine che si manifesta talora nell’ambito del
rapporto associativo, ritenendo astrattamente ipotizzabile il nesso teleologico tra
un omicidio o un tentato omicidio e un delitto associativo già in atto, in quanto la
natura permanente di quest’ultimo rende possibile che, dopo la creazione
dell’associazione, questa costituisca il reato-fine rispetto al primo, commesso
esclusivamente allo scopo di consentire la sopravvivenza del sodalizio criminoso
(Sez. 1, n. 6090 del 08/11/1999 – dep. 28/12/1999, Schettini, Rv. 215017; cfr.
anche Sez. 6, n. 43 del 13/01/1997 – dep. 13/03/1997, Comandè, Rv. 207161).

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associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del

Né appare convincente l’argomento che lo esclude in radice sulla base
dell’anteriorità cronologica dell’affiliazione all’associazione rispetto alla
commissione di qualunque reato commesso nel suo ambito, essendo quello
associativo un reato permanente.
Nel caso in esame, le condotte di favoreggiamento e di procurata
inosservanza di pena, non a caso contestate come aggravate ai sensi dell’art. 7
legge 203 del 1991, in quanto commesse al fine di agevolare l’attività
dell’associazione, erano state poste in essere a favore del capo cosca latitante:

eseguire” il reato associativo.

Se la connessione qualificata sarà ritenuta sussistente, il Tribunale dovrà
valutare la desumibilità dagli atti degli elementi oggetto della seconda ordinanza
non al momento dell’emissione della prima, ma al momento del rinvio a giudizio
(valutazione che, coerentemente, l’ordinanza impugnata non ha effettuato,
ritenendo i reati oggetto delle due ordinanze non connessi).

4. Più in radice, il Tribunale del Riesame dovrà sciogliere il nodo della
possibilità di contestare come condotte illecite autonome quelle di
favoreggiamento e di procurata inosservanza di pena rispetto al reato di
partecipazione all’associazione mafiosa oggetto della prima ordinanza e del
successivo rinvio a giudizio del ricorrente.

Come è noto, poiché l’art. 378 cod. pen. punisce chi aiuta taluno a eludere
le investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa

dopo la

commissione di un delitto e fuori dei casi di concorso nel medesimo, questa
Corte ha negato, con riferimento al reato associativo, la configurabilità del
concorso tra le due figure criminose: la loro sovrapposizione può sussistere solo
quando il favoreggiamento venga posto in essere per la copertura di un singolo
reato-fine, ovvero per un reato totalmente estraneo alle finalità dell’associazione
(Sez. 6, n. 40966 del 08/10/2008 – dep. 31/10/2008, Pillari, Rv. 241701),
oppure dopo lo scioglimento dell’associazione (Sez. F, n. 38236 del 03/09/2004 dep. 28/09/2004, Iovino, Rv. 229648).

In effetti, il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere si
distingue da quello di favoreggiamento, in quanto nel primo il soggetto opera
organicamente e sistematicamente con gli associati, come elemento strutturale
dell’apparato del sodalizio criminoso, anche al fine di depistare le indagini di
polizia volte a reprimere l’attività criminosa dell’associazione o a perseguire i

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doveroso è, quindi, verificare se si tratti di condotta posta in essere “per

partecipi di tale attività; mentre nel reato di favoreggiamento il soggetto aiuta in
maniera episodica un associato, resosi autore di reati rientranti o non nell’attività
prevista dal vincolo associativo, ad eludere le investigazioni della polizia o a
sottrarsi alle ricerche di questa (Sez. 1, n. 13008 del 28/09/1998 – dep.
11/12/1998, Bruno e altri, Rv. 211896); cosicché è stato ritenuto integrare il
delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (e non quello di
favoreggiamento personale aggravato ex art. 7 D.L. n. 172 del 1991, conv. in I.
203 del 1991) l’aiuto prestato a favore del massimo esponente di vertice di

sia a garantirgli le cure necessarie al suo stato di salute sia a consentirgli il
mantenimento della sua capacità gestionale, fungendo da canale per i
collegamenti epistolari con altri associati (Sez. 6, n. 5909 del 06/12/2011 – dep.
-)

15/02/2012, Lipari, Rv. 252406).

sai

m’:

Nel caso di specie, l’ordinanza cautelare confermata dal Tribunale del

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ed

Riesame addebitava al ricorrente la condotta di avere favorito la latitanza del
capo dell’associazione mafiosa in relazione all’esecuzione della misura cautelare
emessa nei suoi confronti proprio per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. e di

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