Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48186 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 48186 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI NAPOLI
nei confronti di:
SORRENTINO CIRO N. IL 19/01/1994
avverso l’ordinanza n. 2120/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
25/03/2013
se tita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
l e/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 23/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25/3/2013, il Tribunale di Napoli, provvedendo sulla
richiesta di riesame proposta da Russo Rosario e Sorrentino Ciro avverso
l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Torre Annunziata che applicava nei loro
confronti la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di detenzione in
concorso e ricettazione di una pistola clandestina (ai due soggetti sono contestati
anche i reati di tentata violenza privata aggravata e detenzione di munizioni),
annullava l’ordinanza nei confronti di Sorrentino, di cui ordinava l’immediata

cautelare in carcere con gli arresti domiciliari.
Secondo il Tribunale, Russo aveva reagito istintivamente all’intervento di
Verona Salvatore che era uscito da un locale dove si erano rifugiate due ragazze
che i due indagati avevano tentato di corteggiare. Egli aveva ammesso di
detenere la pistola clandestina e il relativo munizionamento, con cui, secondo
quanto riferito dai testimoni, aveva minacciato Verona e poi sparato un colpo in
aria; aveva anche aggiunto che Sorrentino non era a conoscenza del possesso
della pistola da parte sua. D’altro canto, notava il Tribunale, Sorrentino era
rimasto fermo nella autovettura con cui i due indagati erano giunti e non aveva
in alcun modo partecipato all’intimidazione.
Poiché, secondo lo stesso racconto della persona offesa, si trattava di un
incontro e di una reazione occasionale e non certo di una spedizione punitiva
diretta ad intimorire il Verona, di cui mancava il movente, la posizione di
Sorrentino doveva essere rivalutata, mancando ogni prova della consapevolezza
da parte sua della presenza dell’arma ed essendo egli rimasto estraneo
all’azione. Il Tribunale riteneva adeguata per Russo la misura degli arresti
domiciliari.

2. Ricorre il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Torre Annunziata,
deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Il Tribunale non aveva tenuto conto che Russo aveva ammesso di essersi
recato al bar da cui era uscita la persona offesa “per fare uno scherzo al Verona”
e aveva aggiunto che, insieme a Sorrentino, aveva fatto chiamare Verona da un
giovane per farlo uscire dal locale. Per ritenere la responsabilità di Sorrentino era
sufficiente la sua consapevolezza di collaborare alla realizzazione del reato.
Ancora, Russo aveva riferito di aver cenato in precedenza con Sorrentino,
portando con sé la pistola che intendeva occultare, operazione che
evidentemente intendeva realizzare con l’amico che, quindi, era perfettamente a
conoscenza della presenza della pistola; era stato, poi, Sorrentino a tentare

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scarcerazione, e sostituiva nei confronti di Russo Rosario la misura della custodia

l’approccio con le due ragazze.
Il Tribunale aveva scisso i singoli passaggi dell’interrogatorio di Sorrentino e
quello del Russo, isolandoli in maniera illogica. Per di più, la persona offesa non
aveva affatto riferito della frase con cui Sorrentino aveva preso le distanze dal
gesto dell’amico.
Il ricorrente conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
limitatamente alla parte riguardante Ciro Sorrentino.

Il ricorso è inammissibile.

Il P.M. ricorrente propone una lettura degli atti del procedimento diversa da
quella adottata dal Tribunale del Riesame, valorizzando alcuni passi
dell’interrogatorio del coindagato che l’ordinanza impugnata avrebbe
sottovalutato, dando la preferenza ad altre circostanze: operazione senza dubbio
legittima, ma non in sede di legittimità, atteso che il vizio di motivazione che può
essere dedotto davanti a questa Corte è la manifesta illogicità, risultante dal
testo del provvedimento impugnato, o la contraddittorietà con altri atti del
processo.

Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento
impugnato deve, infatti, essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia
“effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante
ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”,
perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da
evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente
“contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue
diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d)
non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in
termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del
ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il
profilo logico.
Gli atti del processo invocati dal ricorrente a sostegno del dedotto vizio di
motivazione non devono semplicemente porsi in contrasto con particolari
accertamenti e valutazioni del giudicante, ma devono essere autonomamente
dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione
risulti in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante,
determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da

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CONSIDERATO IN DIRITTO

rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica
l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel
loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti

obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di
consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico
composto da lettori razionali del provvedimento.
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a
fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una
correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere
necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e
sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino
autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca
razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal
giudice per giungere alla decisione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep.
15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).

Alla luce di queste considerazioni si evince l’inammissibilità del ricorso: la
(ritenuta) maggiore persuasività della ricostruzione del P.M. ricorrente, sulla
base degli elementi evidenziati, potrà essere fatta valere davanti al giudice del
merito, ma non è in questa sede in grado di dimostrare il vizio della motivazione
denunciato.

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tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso il 23 ottobre 2013

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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