Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48185 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 48185 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANFREDINI CARLO SALVATORE N. IL 19/03/1950
D’AMICO MARIA N. IL 05/07/1946
avverso la sentenza n. 10360/2012 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 28/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 23/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Manfredini Carlo Salvatore e D’Amico Maria propongono ricorso
straordinario ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen. avverso la sentenza della
Quinta Sezione penale di questa Corte n. 7410/13 del 28/9/2012, che aveva
rigettato i ricorsi dagli stessi presentati nei confronti della sentenza del Tribunale
di Catania, sezione distaccata di Acireale, di conferma di quella del Giudice di
Pace di Acireale, che li aveva condannati per distinti reati di diffamazione ai

Secondo i ricorrenti la Corte non si era avveduta che i reati, alla data della
decisione, erano prescritti, risalendo al 26/8/2003 per Manfredini e al 28/7/2003
per D’Amico e anche tenendo conto delle sospensioni del dibattimento
intervenute, pur potendosi discutere se esse sospendessero o meno il decorso
della prescrizione. Non avendo dichiarato inammissibili i ricorsi, la Corte avrebbe
dovuto rilevare la prescrizione dei reati ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen..
I ricorrenti concludono per la correzione dell’errore di fatto e per la riforma
sulla statuizione sulla penale responsabilità degli imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Come definitivamente statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, è
ammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto sulla prescrizione del reato,
a condizione che la statuizione sul punto sia effettivamente l’esclusiva
conseguenza di un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco, e
non anche quando il preteso errore sulla causa estintiva derivi da una qualsiasi
valutazione giuridica o di apprezzamento di fatto (Sez. U, n. 37505 del
14/07/2011 – dep. 17/10/2011, Corsini, Rv. 250528; più recentemente Sez. 6,
n. 36768 del 20/09/2012 – dep. 24/09/2012, Contardi, Rv. 253382).
Occorre, quindi, che sia stato omesso l’esame, da parte della Corte di
cassazione, della questione della prescrizione del reato, a causa della mancata
rilevazione del tempus commissi delicti, purché la decisione in ordine alla causa
estintiva non sia soggetta ad alcuna valutazione giuridica o di fatto, ma ad una
mera presa d’atto dell’avvenuto decorso del termine prescrizionale nel giudizio di
cassazione (Sez. 2, n. 41489 del 28/10/2010 – dep. 23/11/2010, Racchelli, Rv.
248712).

Nel caso di specie risulta evidente che non ricorre l’ipotesi sopra delineata.
I ricorrenti, infatti, ammettono che, per giungere a ritenere prescritti i reati
ad essi contestati, la Corte avrebbe dovuto valutare due periodi di sospensione

danni di Nicola Alfio Bertolo.

del dibattimento (e, quindi, del termine prescrizionale), entrambi – per usare la
stessa espressione dei ricorrenti – “contestabili”: un primo – dal 20/7/2006 al
21/12/2006 – in cui il dibattimento era stato rinviato perché il difensore della
parte civile aveva dichiarato di aderire all’astensione dalle udienze proclamata
dalla Camera penale; un secondo – dal 9/11/2009 al 12/4/2011 – in cui era stato
disposto un rinvio d’ufficio, potendo il reato rientrare nel provvedimento di
indulto.
La prescrizione doveva ritenersi non decorsa alla data della decisione di
questa Corte nel caso si fosse valutato che entrambi i periodi determinassero la

I ricorrenti, per sostenere che la Corte non ha effettuato alcuna valutazione,
affermano che, per il primo periodo, la sospensione della prescrizione non poteva
nemmeno ipotizzarsi, atteso che il rinvio risultava “a verbale

ictu ocull non

ascrivibile al difensore degli imputati”.
Si tratta di costruzione artificiosa, che fa apparire come non necessitante di
alcuna valutazione fattuale o giuridica una determinata decisione, subito dopo
spiegata con ampia argomentazione (“non potendosi, pertanto, opporre il
difensore dell’imputato a tale scelta, che coinvolge tutte le parti e il Giudice, in
quanto esercizio di un potere costituzionalmente tutelato, né nel caso di specie
potendosi ascrivere ragione alcuna a siffatta opposizione ove mai vi fosse stata,
e comunque nemmeno espressamente risultando adesione del difensore
dell’imputato, non può ascriversi all’imputato stesso pretesa sospensione del
termine prescrizionale (per di più per una scelta del difensore di parte civile)”);
in realtà, la questione giuridica sottesa alla fattispecie concerne la possibilità di
equiparare il silenzio del difensore dell’imputato, presente all’udienza, di fronte
alla richiesta di rinvio avanzata dal difensore della parte civile ad una implicita
adesione alla richiesta, tenuto conto che il rinvio del dibattimento per legittimo
impedimento riguardante la parte civile dà luogo a sospensione dei termini di
prescrizione del reato, quando la difesa dell’imputato abbia aderito alla relativa
richiesta (Sez. 5, n. 13296 del 07/12/2007 – dep. 28/03/2008, Ricci e altri, Rv.
239384).

Per il secondo periodo di sospensione, gli stessi ricorrenti ammettono che la
tesi della sospensione della prescrizione era decisamente sostenibile, anche se
“contesta bile”.

Si tratta di accenni, utili solo a dimostrare che, nel caso di specie, la
mancata declaratoria dell’intervenuta prescrizione da parte della Quinta Sezione

3

sospensione della sua decorrenza.

di questa Corte non fu affatto conseguenza di una “svista” che prescindeva da
qualsiasi valutazione giuridica o fattuale, ma, piuttosto, di una (non espressa)
valutazione sia fattuale, sia giuridica sull’intervenuta sospensione del decorso
della prescrizione in occasione dei due rinvii del dibattimento.

Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria di
inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del

1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa
nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro 1.000 alla
Cassa delle Ammende.

Così deciso il 23 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di euro

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