Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48050 del 27/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48050 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TROVATO PATRIZIA N. IL 30/05/1973
avverso la sentenza n. 4466/2012 TRIBUNALE di CATANIA, del
12/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 27/09/2013

t,

1) Con sentenza del 12.2.2013 il Tribunale dì Catania, in composizione monocratica,
applicava a Trovato Patrizia, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche con criterio di equivalenza e ritenuta la diminuente per la scelta del rito, la
pena concordata ex art.444 c.p.p. di mesi 8 di reclusione ed euro 400,00 di multa per
i reati di cui agli artt.110 c.p.,44 lett.b) DPR 380/01 (capo a), 110,117 e 349 co.1 e 2
c.p. (capo b).
Propone ricorso per cassazione l’imputata, denunciando la violazione di legge e la
mancanza , contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza
ed alla determinazione della pena ex art.133 c.p..
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla
qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze,
sulla comparazione delle stesse, sull’entità della pena, su eventuali benefici. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non
emerga in modo evidente una della cause di non punibilità previste dall’art.129 c.p.p..
Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art.444
cpp, le parti non possono rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della
fattispecie perché essi sono coperti dal patte,ggiamento.
2.2) Il concordato tra le parti prevedeva il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche con criterio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante
per cui il Tribunale non poteva, pena lo stravolgimento dell’accordo, formulare un
diverso giudizio di comparazione.
Quanto al lamentato vizio di motivazione in ordine alla congruità della pena, secondo la
giurisprudenza di questa Corte “In mancanza di elementi macroscopicamente
rivelatori di incongruità, per eccesso o per difetto, il giudizio in ordine alla ritenuta
che la pena concordata può dirsi adeguatamente motivato, quando il giudice si limiti ad
esplicitare la propria valutazione in tal senso, allorchè risulti dal contesto dell’intera
decisione che, nella valutazione complessiva, egli ha tenuto presenti quegli elementi
che possono assumere rilevanza determinante, come le circostanze del reato e la
condizione personale dell’imputato” (cfr.Cass.sez.6, ord. n.549 dell’11.2.1994).
Sicchè “Nella motivazione della sentenza applicativa della pena richiesta dalle parti
appare sufficiente il rilievo che detta pena, ricompresa nei limiti di legge inderogabili,
è congrua: ciò dimostra l’avvenuto controllo da parte del giudice di tale rilevante
elemento dell’accordo intervenuto tra imputato e P.M. e la valutazione favorevole
operata ai fini dell’art.27 comma terzo Cost.” (Cass.sez.1 n.1878 del 28.3.1995).

1

OSSERVA

Il Tribunale ha effettuato il controllo richiesto, evidenziando che la pena concordata
appare congrua e correttamente determinata, rientrando la pena base nei limiti
edittali…”.
2.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro
1.500,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.500,00.
Così deciso in Roma il 27.9. 2013

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