Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48017 del 27/09/2013
Penale Ord. Sez. 7 Num. 48017 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ANANINA KARINA N. IL 24/07/1983
avverso la sentenza n. 10410/2012 GIP TRIBUNALE di BOLOGNA,
del 19/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;
Data Udienza: 27/09/2013
Con sentenza emessa il 19/12/2012 ex art.444 cod. proc. pen. il Giudice delle indagini
preliminari del Tribunale di Bologna ha applicato alla Sig.ra Ananina Karina in relazione a
reato ex artt.81 cod. pen., 3 e 4 della legge 20 gennaio 1958, n.75 la pena di 10 mesi di
reclusione e 300,00 euro di multa
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.
I limiti che la giurisprudenza ha fissato circa l’interpretazione degli artt.129 e 444 cod. proc.
pen. e circa l’obbligo di motivazione del giudice sono costanti a far data dalla decisione delle
Sez.Un. Penali n.10732 del 27 settembre 1995, Serafino (rv 202270), secondo cui la motivazione può limitarsi a dare conto degli estremi del materiale probatorio dal cui esame il giudice
ha tratto la convinzione che non emergono gli estremi di non procedibilità ex art.129 cod. proc.
pen. così che in presenza dell’accordo delle parti non sono necessari ulteriori approfondimenti
(Sez.Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998, Messina, rv 212437).
A tali consolidati principi consegue che le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo
sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono legittimate a mettere in discussione
con successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo (principio costantemente
affermato fin dalla sentenza della Sez.1, n.1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la
conseguenza che il controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può
avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza
dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art.129 c.p.p. (per tutte, sentenza della
Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071) e che il ricorrente adempia all’onere di
fornire puntuale indicazione dell’errore compiuto dal giudicante.
Posto che nel caso di specie la motivazione non appare meritevole di censure, il ricorso deve
essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art.616
c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere
che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 27/9/2013
D .2.2*
Il Presi
ai TATA.
Avverso tale decisione è stato presentato ricorso con cui si lamenta difetto di motivazione in
ordine alla insussistenza delle condizioni che imporrebbero l’applicazione dell’art.129 cod. proc.
pen. e comunque la diversa qualificazione del fatto.