Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48009 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 48009 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE ANGELIS ANDREA N. IL 10/11/1935
avverso la sentenza n. 1862/2005 CORTE APPELLO di ANCONA, del
13/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 18/06/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per la rideterminazione
della decorrenza della prescrizione
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 13.2.2014 la Corte di Appello di Ancona dichiarava
non doversi procedere nei confronti di De Angelís Andrea per i reati a lui
ascritti per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili in
relazione ai reati di cui agli artt. 594 e 612 c.p. nei confronti di Paci Damiano.

proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, con i quali ha dedotto:
-con il primo motivo, l’intervenuta prescrizione dei reati avvenuta già in
primo grado e conseguentemente la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606
lettera b) c.p.p., con riferimento agli artt. 157-158 159 160 c.p. e 620 lettera
I) c.p.p.; invero, la consumazione dei reati risale al 2.11.1997, sicchè il
termine massimo invalicabile, secondo la normativa antecedente alla modifica
del d.l. 272/2005, andava a scadere in data 2.05.2005; essendo stata emessa
la sentenza di primo grado in data 20.5.2005 il tribunale avrebbe dovuto
dichiarare in quella sede l’avvenuta prescrizione, senza provvedere alle
statuizioni civili, sia di danno che di spese, per la costituzione di parte civile,
che in questa sede vanno revocate;
-con il secondo motivo, di ricorso, la ricorrenza del vizio dì cui all’art.
606 primo comma lett. e) c.p.p., per mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione della sentenza impugnata, atteso che la Corte
territoriale non considera che la minaccia non è stata riferita dal teste M.Ilo
dei C.C. Ragonese, il quale, ove l’avesse a ascoltata, l’avrebbe riportata cosa
che non è accaduta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
1.Ed invero l’imputato, pur considerando correttamente che il termine
massimo di prescrizione riferibile ai reati di ingiuria e minaccia oggetto di
giudizio è di anni sette e mesi sei, a decorrere dal 2.11.2997, secondo la
previgente formulazione dell’art. 157 c.p. applicabile in dipendenza della data
di pronuncia della sentenza di primo grado (20.5.2005), tuttavia omette di
aggiungere a tale periodo quantomeno il termine di sospensione dal
14.12.2001 al 5.7.2002 di giorni 203 per l’adesione del difensore di fiducia
all’astensione proclamata dall’Unione Camere Penali. Da ciò consegue,
pertanto, che alla data della pronuncia della sentenza di primo grado il
termine di prescrizione non era ancora spirato.

1

2.Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha

2.Manifestamente infondato si presenta, poi, il secondo motivo di ricorso
avendo la Corte territoriale con motivazione logica, immune da censure, dato
conto delle ragioni per le quali le dichiarazioni della p.o., Paci Damiano, sono
da ritenersi attendibili siccome coerenti intrinsecamente e conformi a quanto
esposto in querela, confermate da quelle della teste Presciutti Elisabetta,
laddove il teste m.11o Ragonesi non ha escluso la circostanza relativa alla
minaccia profferita dal De Angelis, essendosi limitato a riferire di non ricordare
i particolari, ma di essere pronto a confermare le circostanze avvenute in sua

illogica si presenta la valutazione, secondo cui le modalità di conduzione
dell’esame del teste non hanno consentito l’espressa conferma della
circostanza della frase minacciosa, e, comunque, le dichiarazioni del m.11o
non si pongono in contrasto con quelle della p.o. e della teste Presciutti e
non ne escludono, quindi, l’attendibilità.
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa
di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo
determinare in Euro 1000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso il 18.6.2015

presenza in occasione dell’intervento per i fatti di causa. In particolare, non

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