Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47914 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 47914 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FLORIANI DOLORES N. IL 04/10/1945
avverso l’ordinanza n. 18/2010 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
24/06/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
ta;
1ette/set4i4G le conclusioni del PG Dott. 4,

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Uditi dif sor Avv.;

11c0 1-1_,A ,

Data Udienza: 07/11/2013

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 24.06.2011 la Corte di Appello di Venezia rigettava
la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da Floriani Dolores.
La Corte territoriale osservava che Floriani era stata ristretta per undici mesi
e quattro giorni in regime di custodia cautelare, in riferimento al delitto di rapina
impropria, relativa all’impossessamento di un litro di vino e di due paia di calzini da
un supermercato – in concorso con Pavani Alfio, la cui posizione era stata stralciata,
in sede di cognizione – impossessamento al quale avevano fatto seguito le minacce

profferite nei confronti del sorvegliante dell’esercizio commerciale. Il Collegio
rilevava che la Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 8.10.2008, in
riforma della sentenza del Tribunale di Verona del 25.02.2008, aveva riqualificato il
fatto in addebito come minaccia aggravata, fattispecie che non consente
l’applicazione di misure cautelari. Osservava, in particolare, che nella sentenza
assolutoria erano state valorizzate le seguenti circostanze, indicate dalla difesa,
nell’atto di appello: lo stato di ubriachezza della donna al momento del fatto;
l’evenienza che il mancato pagamento della merce fosse dipeso da una semplice
dimenticanza; il difetto di prova in ordine al fatto che la reazione della donna fosse
stata finalizzata all’impossessamento della merce.
Ciò premesso, il giudice della riparazione rilevava che dette evenienze non
risultavano indicate nell’ordinanza cautelare e che neppure erano emerse nel corso
della istruttoria dibattimentale svoltasi avanti al Tribunale di Verona. In particolare,
la Corte territoriale considerava che la Floriani, nelle spontanee dichiarazioni rese
all’udienza del 25.01.2008, non aveva altrimenti riferito di non aver pagato le calze
per dimenticanza e che neppure aveva dichiarato di avere reagito solo perché
infastidita dalle modalità con le quali l’addetto alla sorveglianza aveva effettuato il
controllo.
La Corte di Appello riteneva, pertanto, che il comportamento posto in essere
dalla donna, la quale aveva omesso di riferire nell’immediatezza circostanze a lei
note, idonee a contrastare l’accusa, rilevava sotto il profilo della colpa grave,
ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione. Osservava, al riguardo, che la
donna aveva pure mentito nel riferire ai Carabinieri le ragioni per le quali i predetti
calzini erano stati di poi rinvenuti nella sua camera da letto, con ciò contribuendo a
far apparire a suo carico la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.
2.

Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

Floriani Dolores, a mezzo del difensore. La parte rileva che la Corte di Appello
erroneamente ha ritenuto sussistente il profilo della colpa grave, ostativo
all’accoglimento dell’istanza, in considerazione dei seguenti comportamenti assunti
dalla Floriani: avere omesso di riferire, nell’immediatezza, che il mancato
pagamento dei calzini dipendeva da mera dimenticanza; non avere subito
2

A

,

giustificato la propria reazione come conseguenza del comportamento altrui; ed
aver mentito, riferendo di avere indossato una giacca appartenente alla nipote, ove
all’interno già si trovavano i calzini sottratti.
L’esponente deduce il vizio motivazionale; osserva che la prevenuta non si è
mai avvalsa della facoltà di non rispondere. E sottolinea che a fronte del quadro
indiziario emergente a carico della ricorrente – nomade, giostraia, pluripregiudicata
per reati contro il patrimonio – non risulta determinante

il contenuto delle

giudice della riparazione ha omesso di spiegare in che modo, una diversa condotta
processuale da parte della prevenuta, avrebbe potuto evitare al G.i.p. nel corso
della indagini preliminare ed al Tribunale di Verona all’esito del giudizio di primo
grado, di cadere in errore. Osserva che solo la maturità della Corte di Appello, in
sede di gravame, ha consentito di valutare correttamente la fattispecie ascritta alla
Floriani.
3.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte, rigetti il ricorso. Osserva la parte che il caso di specie rientra
nell’ambito applicativo dell’art. 314, comma II, cod. proc. pen. E rileva che,
secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, il
fattore ostativo connesso al dolo o alla colpa grave del richiedente, ricorre anche
nella ipotesi di cui all’art. 314, comma II, cod. proc. pen., nel caso di sottoposizione
a custodia cautelare in assenza delle condizioni di applicabilità della misura ex artt.
273 e 280 cod. proc. pen.; con il limite, individuato dalle stesse Sezioni Unite,
relativo al caso in cui l’accertamento della insussistenza, ab origine, delle condizioni
di applicabilità della misura cautelare avvenga sulla base degli stessi elementi di cui
disponeva il giudice che ebbe ad adottare il provvedimento cautelare, in ragione
esclusivamente di una loro diversa successiva valutazione.
Il Procuratore Generale, sulla scorta di tali principi, rileva che nel caso di
specie la Corte di Appello, nel riqualificare la condotta come minaccia aggravata, ha
valorizzato elementi di fatto indicati per la prima volta nell’atto di appello, da parte
della difesa. E considera che il giudice della riparazione legittimamente ha
qualificato le mendaci dichiarazioni difensive rese dalla prevenuta anche nel corso
del giudizio di primo grado (laddove la donna aveva riferito di avere indossato una
giacca all’interno della quale già si trovava la refurtiva), quale fattore ostativo
all’accoglimento della richiesta di riparazione.
4. La difesa ha depositato memoria, soffermandosi sulla nozione di dolo o
colpa grave osativi all’accoglimento dell’istanza nell’ambito del procedimento di cui
si tratta.

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dichiarazioni rese dalla Floriani alla Autorità giudiziaria. La parte considera che il

5. L’avvocatura generale, per il Ministero dell’economia e delle Finanze, ha
depositato memoria, chiedendo che la Suprema Corte dichiari inammissibile il
ricorso ovvero che lo rigetti.
6. La difesa della ricorrente in data 30.09.2013 ha depositato breve memoria
di replica.
Considerato in diritto
7. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.

valutazione della condotta posta in essere da Floriani Dolores, al fine di verificare
l’eventuale sussistenza del dolo o della colpa grave, rispetto alla adozione della
misura restrittiva; e ciò sebbene la Corte di Appello di Venezia, con sentenza in
data 8.10.2008, in riforma della sentenza del Tribunale di Verona del 25.02.2008,
abbia riqualificato il fatto in addebito come minaccia aggravata, fattispecie che non
consente l’applicazione di misure cautelari.
7.2 La questione che oggi occupa è stata specificamente esaminata dalle
Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 32383
del 27.05.2010, Rv. 247663). La Corte regolatrice, nel censire funditus l’istituto
della riparazione per ingiusta detenzione, ha considerato che risulta evidente
l’avvicinamento fra le ipotesi di cui all’art. 314 cod. proc. pen., commi 1 e 2, sotto il
profilo della possibile comune derivazione della “ingiustizia” della misura da
elementi emersi successivamente al momento della sua applicazione; e che
l’elemento della accertata ‘ingiustizia’ della custodia patita, che caratterizza
entrambe le ipotesi del diritto alla equa riparazione (diverse solo per le ragioni che
integrano l’ingiustizia stessa) ne disvela il comune fondamento e ne impone una
comune disciplina quanto alle condizioni che ne legittimano il riconoscimento. Tale
ricostruzione, conforme alla logica del principio solidaristico, implica in definitiva
l’oggettiva ‘inerenza’ al diritto in questione, in ogni sua estrinsecazione “del limite
della non interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia”
(Cass. Sez. Un., Sentenza n. 32383, cit.). Le Sezioni unite, nella sentenza ora
richiamata, hanno pure evidenziato che risulta legittima una disciplina normativa
che preveda l’esclusione dal beneficio in esame di chi, avendo contribuito con la sua
condotta a causare la restrizione, non possa esserne considerato propriamente
“vittima”; e che risulta perciò infondata la tesi che considera normativamente
inapplicabile all’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., la
condizione ostativa della causa sinergica discendente dal comportamento doloso o
colposo del richiedente. Le Sezioni Unite hanno poi evidenziato che “ai fini delle
verifiche di pertinenza del giudice della riparazione diviene, quindi, particolarmente
importante appurare se l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni
di applicabilità della misura custodiale sia avvenuto (vuoi nel procedimento
4

7.1 Certamente è consentito al giudice della riparazione di procedere alla

cautelare vuoi nel procedimento di merito) sulla base degli stessi precisi elementi
che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, o alla stregua di
un materiale contrassegnato da diversità (purché rilevante ai fini della decisione)
rispetto ad essi, posto che la problematica della condotta sinergica viene
praticamente in rilievo solo nel secondo e non anche nel primo dei suddetti casi”
(Cass. Sez. Un., Sentenza n. 32383, cit.). Le Sezioni Unite hanno quindi affermato
il seguente principio di diritto: “La circostanza dell’avere dato o concorso a dare

al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione anche nella
ipotesi, prevista dall’art. 314 c.p.p., comma 2, di riparazione per sottoposizione a
custodia cautelare in assenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e
280 c.p.p.; tale operatività non può peraltro concretamente esplicarsi, in forza del
meccanismo ‘causale’ che governa la condizione stessa, nei casi in cui
l’accertamento dell’ insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della
misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a
disposizione il giudice del provvedimento della cautela, e in ragione esclusivamente
di una loro diversa valutazione” (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 32383, cit.).
7.3 Tanto chiarito, deve rilevarsi che la valutazione effettuata dal giudice
della riparazione, nell’apprezzare la sussistenza di profili di colpa grave ostativi al
riconoscimento dell’indennizzo, risulta immune dalle dedotte censure.
Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di
merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa
con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli
elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di
condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione
di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che,
se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).
Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale
(grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del
provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio
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causa alla misura custodiale per dolo o colpa grave opera quale condizione ostativa

consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della
cognizione.
A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si
sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel
porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella
criminale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.
242760).

del suddetto quadro interpretativo.
La Corte di Appello di Venezia ha infatti riferito che solo in sede di gravame
la difesa aveva prospettato che il mancato pagamento del prezzo della merce fosse
dipeso da mera dimenticanza; e che la reazione della donna fosse stata provocata
dal comportamento posto in essere dal personale addetto alla vigilanza, in servizio
presso il supermercato.
Come si vede, il giudice della riparazione, nel ritenere che il comportamento
posto in essere dalla Floriani assumesse rilevanza sotto il profilo della colpa grave,
ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione, ha del tutto logicamente
considerato che la prevenuta aveva omesso di riferire, nell’immediatezza del fatto,
circostanze a lei certamente note, idonee a contrastare l’accusa; e che la donna
aveva pure espressamente mentito, nell’esporre le ragioni per le quali i predetti
calzini erano stati rinvenuti nella sua camera da letto. Sulla scorta di tali rilievi, che
risultano immuni dalle denunciate aporie di ordine logico, la Corte territoriale ha
conclusivamente rilevato che la richiedente aveva con colpa grave contribuito a far
apparire, a suo carico, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e che aveva
perciò concorso a dare causa alla adozione della misura cautelare ed al
mantenimento della stessa.
8. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali. La natura delle questioni controverse, giustifica l’integrale
compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di cassazione.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Compensa le spese tra le parti.
Così deciso in Roma in data 7.11.2013.

L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente nell’alveo

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